“A 40 anni dalla strage di Bologna, il ricordo sempre vivo di mio cugino Roberto”

Il 2 agosto 1980, nella strage alla Stazione di Bologna, perdeva la vita Roberto Procelli. Lo ricorda Anghiari e lo ricorda Walter Farinelli in una commovente lettera rivolta alla memoria del cugino e degli zii

La stazione di Bologna dopo l'attentato. Nel riquadro Roberto Procelli

Sabato 2 agosto 1980, ore 10.25. Uno dei momenti che ha segnato la storia della nostra nazione e che rimarrà purtroppo per sempre impresso nel cuore e nella mente degli italiani. In quel preciso istante alla Stazione ferroviaria di Bologna si consumava infatti uno dei più gravi atti terroristici avvenuti in Italia nel secondo dopoguerra, che provocò 85 vittime e 200 feriti. Una strage di vite innocenti, spazzate via dall’esplosione di un potente ordigno, spezzate da un vile atto criminale. Erano gli anni di piombo, anni di terrore, di sangue e dolore. Tra coloro che persero la vita anche Roberto Procelli, un giovane anghiarese di appena 21 anni che stava effettuando il servizio di leva e che quel giorno stava tornando a casa, in licenza, per trascorrere un po’ di tempo con la famiglia e gli amici. Da quel drammatico 2 agosto del 1980 sono passati 40 anni, ma il dolore è ancora vivo e sempre lo rimarrà. Anghiari ricorda ogni anno Roberto, così come indicato dall’assessore Angela Cimbolini, presente alla commemorazione di Bologna in rappresentanza del Comune. “Il tempo si fermò alle 10.25 e cambiò per sempre le vite di coloro che, loro malgrado, vi si trovarono coinvolti, infrangendone i sogni e le speranze. Fra questi rimase ucciso un giovane militare di San Leo di Anghiari, Roberto Procelli. Il nostro pensiero è per lui e per i suoi genitori, Rinaldo e Elda, che con grande dignità e immane forza dovettero far fronte ad un dolore così devastante. A noi il compito di sostenere l’Associazione tra i Familiari delle Vittime e di tener vivo il ricordo di Roberto. Il paese non deve dimenticare perché senza verità e giustizia non possiamo essere una democrazia compiuta. Ogni anno nel nome di Roberto vengono assegnate borse di studio agli studenti più meritevoli di Anghiari e ogni 2 agosto al Cimitero di San Leo, dove Roberto riposa, alle ore 1900 viene celebrata la Santa Messa. Sarà così pure quest’anno con la partecipazione anche di Raffaele Chieli, che con la tromba eseguirà il Silenzio d’ordinanza, e di Simone Fava, che eseguirà Gabriel’s Oboe, musica di Morricone”.

Roberto è sempre vivo nel cuore e nella mente di Walter Farinelli, cugino, coetaneo e militare nello stesso periodo. A lui abbiamo chiesto un ricordo di Roberto, di quel terribile giorno e del modo in cui la vita di un’intera famiglia è stata stravolta. Un ricordo emozionante, un pensiero di amore che Walter ha indirizzato idealmente al cugino e agli zii.

Era uno splendido sabato di aprile, in quel 1980. Mi alzo, frettolosamente mi preparo e via di corsa destinazione San Leo. È una giornata speciale, mio cugino Roberto e mio zio Rinaldo devono tornare dalla concessionaria con la nuova auto. Eh sì, cari zii, sono lontani i giorni della vostra vita da emigranti in Svizzera, tutti quegli anni lontani dal vostro paese ma soprattutto da vostro figlio che cresce con la nonna. Sono lontani anche i giorni della tua lotta, caro zio, per evitare la cancrena ad una gamba dopo che cadesti dalla sommità del camion a cui stendevi il telone e che un autista distratto ed imprudente investiva violentemente. Sono giorni nuovi, con la vostra bella casa, frutto di quegli anni di lavoro intenso. Ora potete permettervi di regalare una nuova auto a Roberto. Il diploma è arrivato e ci sono buone prospettive per il lavoro. C’è un anno di militare di mezzo, ma si sa “un anno passa in fretta”.

Nonna Anita, zia Elda ed io aspettiamo quando un suono di clacson, insistente quanto festoso, annuncia l’arrivo di Roberto e del padre. Roberto è alla guida di quella vettura lucida e fiammante, poi parcheggia, esce e lascia la portiera aperta. Dalla cassa acustica della portiera esce una musica da ballo popolare. Ricordi Roberto? Abbracci la nonna per ballare con lei e…. lei, con il suo accento romagnolo, ti dice “Ste prove l’avrè da fare con una più giovina”. Tu ridi, la sollevi e la fai piroettare più volte, lei ride, tutti ridiamo. Sorrisi che da lì a poco saranno sostituiti da disperazione e da un dolore così infinito come solo la sofferenza sa essere. È il 2 agosto del 1980. Tu partisti a maggio Roberto e, dopo il Car a Rimini, ti aggregarono al 121° battaglione di Artiglieria leggera di stanza a Bologna. Io partii a giugno di quello stesso anno e dopo il Car ad Albenga mi aggregarono al 23° battaglione Bersaglieri di stanza a Tauriano del Friuli. Ci sentimmo pochi giorni prima di quel 2 agosto, destinato a passare alla storia come una delle peggiori pagine della Repubblica Italiana. “Dai Roberto, sei stato fortunato – ti dissi – io sono qui al confine e tu con poche ore di treno puoi essere ad Arezzo”. Non ho più detto a nessuno “sei stato fortunato”. Ci scambiammo la reciproca promessa di far combaciare una futura licenza per rivederci e magari per farci deliziare dalle meravigliose tagliatelle di nostra nonna.

Cari zii, quella mattina del 2 agosto (non c’erano i cellulari ancora) aspettavate una telefonata di Roberto. “Forse ce la fa a venire” e tu caro zio vuoi essere pronto alla stazione di Arezzo appena lui scende dal treno. La telefonata non arriva e un’edizione straordinaria del telegiornale dà la notizia di una terribile esplosione alla stazione di Bologna. Ci sono tante vittime. La prima a venir riconosciuta è un militare di leva, per la medaglietta metallica con l’identificativo, appesa al collo. Un suono assordante comincia a vorticare nelle vostre teste, un’inquietudine cupa avvolge il vostro spirito. “Ma no, dai, proprio Roberto”, è una voce latente, ma che non vi convince e di lì a poco vedete una pattuglia dei Carabinieri davanti al cancello di casa. “Elda abbiamo perso nostro figlio” dice mio zio e l’urlo straziante della madre echeggia tra quelle mura, mai sopito. Mi cercano in caserma, mi arriva la notizia, mi fanno partire immediatamente per Bologna. Affronto quelle ore in treno con mille domande sulla testa e una soprattutto mi dilania: “ma tutti i sogni e i progetti di Roberto dove sono andati a finire e che sarà la vita dei miei zii dopo la perdita dell’unico figlio?”

Un paio di anni dopo sono dai miei zii e vedendo quel dolore che cominciava anche a lacerare il loro corpo dico, cercando una soluzione plausibile per far cessare tanta sofferenza: “Ci vorrebbe che domattina vi svegliaste e non ricordaste più nulla della vostra vita passata”. Mia zia rispose: “Eh no, Tato (mi chiamava così), io non voglio dimenticare mio figlio. Per quanto io possa soffrire, solo ricordandolo lo sento vivo ed accanto a me”. Parole che con il tempo avrei compreso sino in fondo.

Oggi, a quarant’anni da quel giorno terribile, mi guardo allo specchio e l’immagine non è più quella del ragazzo di allora, ma di un sessantenne dai capelli bianchi. Cerco di immaginarti, Roberto: “Come saresti adesso?” Ma non riesco, la tua immagine è immutata, sei un giovane militare di leva, come in quelle foto che solo la domenica prima decidesti di fare per aggiornare il tuo album fermo a scatti di tanti anni prima. Ti facesti accompagnare dai tuoi amici, forse per quelle strane coincidenze della vita, come per fare un ultimo regalo a tutti noi, con il tuo sorriso rapito dall’obiettivo della macchina fotografica.

Zio Rinaldo, zia Elda, non ci siete più, ma quanto vi sono debitore per il vostro coraggio e la vostra lucidità nel cercare non la vendetta, ma la verità e la giustizia, perché nessun genitore debba mai più piangere il figlio per una circostanza analoga. La vita vi ha riservato tanta altra sofferenza fisica, cari zii. Che volontà, zio, a non arrenderti al male che ti corrodeva. Quanti, venti o più, interventi operatori? Mi dicevi “Walter, non è che io abbia paura della morte, figurati, nulla è peggiore della morte del proprio figlio, ma non voglio lasciare sola tua zia a vivere questa sofferenza” e poi aggiungesti “Walter, la vita ti può dare molto e togliere tutto, come è successo a noi, ma l’unica cosa, ricordalo sin che campi, che non puoi permettere alla vita di toglierti è la dignità”. Molti quando parlano di Roberto lo definiscono un eroe, ma lui era semplicemente un ragazzo che aveva ancora molto da navigare nel mare della vita. Un ragazzo con un bellissimo sorriso come nelle ultime foto. Di quella domenica a Canoscio. Ognuno di noi sceglie degli eroi come riferimento io ho scelto i miei genitori, tua sorella Candida che tu adoravi, caro zio, e tuo cognato Gualtiero. E ho avuto il privilegio e l’onore di poter scegliere voi due. Zio Rinaldo e zia Elda, grazie.

Nel ricordo a 40 anni dal 2 agosto 1980.
Un abbraccio Roberto,
tuo cugino Walter

Roberto Procelli (immagine gentilmente concessa da Walter Farinelli)

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