Premetto che chi scrive non è un no vax, anche se per una serie di circostanze è costretto a vivere e comportarsi come chi ha rifiutato la vaccinazione, almeno in Italia e in molti altri Paesi. Ho avuto il Covid nell’autunno 2020 senza particolari sintomi o conseguenze, almeno finora. A tarda primavera, una volta verificata la diminuzione degli anticorpi, mi sono vaccinato con entrambe le dosi a distanza di tre settimane. Questo è avvenuto in Russia, il Paese dove risiedo la maggior parte del tempo. Quindi sono vaccinato con Sputnik V, come la maggior parte dei cittadini della Repubblica di San Marino. Ho un certificato di vaccinazione in lingua russa e inglese ma – qui viene il bello – non è riconosciuto dalle autorità europee. Questo significa che nella maggior parte dei paesi facenti parte dell’Unione Europea sono considerato privo di vaccino. Alcune nazioni come Grecia, Estonia, Slovenia, Cipro, Ungheria, ma anche Serbia e Montenegro al di fuori dell’Unione, fanno eccezione e andando contro le indicazioni di Bruxelles hanno deciso di riconoscere Sputnik. L’Italia e la maggior parte dei paese UE non hanno fatto la stessa scelta. Quindi per muovermi in Italia su un treno che sia più veloce di un regionale devo ogni volta, o almeno ogni 48 ore, fare un tampone. Idem in Francia dove lo stesso test è riconosciuto per 72 ore ma è indispensabile anche per sedersi sui tavoli esterni di un ristorante. Inutile sottolineare che cinema, teatri e qualsiasi luogo al chiuso restino un miraggio. In alcuni Paesi perfino in albergo non si può entrare senza certificato di vaccinazione riconosciuto dall’Europa o senza un tampone fatto nelle ore precedenti. Se dovessi lavorare in Italia questa sarebbe un’ulteriore complicazione, e sono a conoscenza di casi del genere.
Una questione politica
Naturalmente più che un problema scientifico-sanitario abbiamo a che fare con un problema politico che si inserisce nei complicati rapporti tra Russia ed Europa. Quanti cittadini si trovano nella mia stessa condizione? Più di quanti si possa pensare. Non si parla solo del turista russo in Italia o dell’italiano che come me vive in Russia e ogni tanto ritorna in Europa, ma di migliaia di camionisti, badanti, studenti costretti a spendere dai 10 ai 30 euro ogni due giorni per un tampone antigenico. Perfino la maggior parte del personale delle ambasciate europee in Russia è vaccinato con Sputnik. Ribadiamo che contrariamente a chi rifiuta il vaccino, i casi come il mio appartengono alla categoria dei discriminati, parola forte che rende l’idea. Discriminazione è quando due persone nelle stesse condizioni ricevono dalla stato italiano un trattamento diverso. Per far comprendere in modo semplice perché c’è una differenza tra cittadini basti pensare che coloro che hanno effettuato la stessa vaccinazione Sputnik nella Repubblica di San Marino hanno avuto diritto al Green Pass fino allo scorso 15 ottobre. Successivamente i sammarinesi hanno potuto prolungare la certificazione verde fino al 31 dicembre e con questa possono muoversi in tutta Europa. Due pesi e due misure per persone vaccinate con lo stesso vaccino. Se Sputnik è un prodotto non affidabile per l’Italia lo deve essere anche per coloro che entrano in Italia dal Monte Titano. Se invece, come probabile, Sputnik funziona esattamente come i vaccini riconosciuti dall’Europa, un camionista bielorusso vaccinato deve essere messo nelle condizioni di muoversi nel vecchio continente alla pari di un sammarinese.
Il giochino dei mancati riconoscimenti incide in modo pesante sulla qualità della vita delle persone e naturalmente anche sulle tasche a causa dei numerosi tamponi che si è costretti a pagare. Sebbene le due dosi di Sputnik costino tre volte meno dei vaccini usati in Europa e osservando attraverso le strutture sanitarie italiane l’effetto non negativo del vaccino russo sulla popolazione di San Marino, viene da chiedersi perché ci si ostini a voler continuare a creare problemi alle persone o pagare di più un farmaco con la stessa apparente efficacia di uno più economico. Finora abbiamo preso in esame l’esempio del vaccino russo ma la stessa cosa vale per quello cinese. Non mancano in Italia persone che per lavoro si sono vaccinate in Cina o nei paesi arabi e hanno come risultato quello di non veder valere il proprio status all’interno dell’Unione Europea.
Quando ho chiesto delucidazioni ad un medico in Italia su cosa fare nella mia situazione mi è stato consigliato di vaccinarmi anche con un vaccino europeo! Ammetto che sono scettico di natura e che non ero entusiasta di vaccinarmi per i motivi che possono aver attraversato la mente di tante persone, ma pensare di fare un’ulteriore vaccinazione a pochi mesi di distanza dalle prime due dosi e con un prodotto diverso mi lascia molto perplesso. Piuttosto vorrei che le istituzioni si facessero carico della problematica che vivo assieme ad altre migliaia di persone vaccinate in Russia, Cina, Argentina, Emirati Arabi e tanti altri paesi. Non siamo dei no vax, ma di fatto viviamo nella stessa loro situazione, con l’enorme differenza di non averlo scelto.