Vacanze in Corea del Nord: un dettagliato racconto di viaggio

La rubrica Oltre il Tevere ospita un reportage da uno dei Paesi del mondo più difficili da visitare, con tutte le informazioni necessarie per coloro che volessero andare a vedere con i propri occhi la Repubblica Popolare Democratica

Una delle tante raffigurazioni di Kim Il-sung e Kim Jong-il a Sariwon

A fine luglio 2018 mi trovavo a Vladivostok. al giro di boa del viaggio dall’Atlantico al Pacifico percorso con un’auto dual fuel diesel-metano. Ero arrivato nella città dell’estremo oriente russo con circa una settimana di anticipo rispetto alla data in cui la nostra spedizione sarebbe dovuta entrare in Cina. Quel margine era stato calcolato per avere tempo per poter risolvere eventuali problemi meccanici durante il viaggio, ma fortunatamente non c’era stato bisogno di spendere questo “jolly”. L’attesa a Vladivostok – ero solo in una fase di “cambio della guardia” tra altri componenti dell’equipaggio – poteva quindi trasformarsi nella possibilità di visitare una nazione per nulla lontana da dove mi trovavo.

L’organizzazione del viaggio

L’idea di utilizzare la sosta a Vladivostok per provare a visitare la Repubblica Democratica di Corea era maturata circa due mesi prima di arrivare sulle rive del Pacifico. Per essere certo di riuscire in un percorso burocratico che immaginavo complesso mi rivolsi alla quelli che ritenevo i più competenti del settore. L’interlocutore fu Comecon, realtà svizzera con anni di esperienza nell’organizzazione di viaggi proprio in terra nordcoreana. Comecon dimostrò subito di essere in grado di riuscire a risolvere ogni problema attraverso mail, telefonate e un incontro di persona nel Canton Ticino durante la parte iniziale del viaggio verso Oriente. Anche il fatto che, contrariamente a qualsiasi europeo, non sarei arrivato a Pyongyang partendo da Pechino non costituì un problema. Mi fu offerto un volo da Vladivostok o in alternativa 24 ore di treno non disponibile ogni giorno della settimana. Per ragioni logistiche dovetti scegliere l’aereo, per ottimizzare i tempi. Sempre assieme a Comecon mi preparai al viaggio apprendendo cosa fare e cosa non fare per evitare di incappare in spiacevoli problemi una volta arrivato in Corea.

Panorama del fiume Teadong dalla torre Juche

L’arrivo a Pyongyang

Ammetto che quando ho visto gli interni del vecchio Ilyushin-62 che mi avrebbe portato a Pyongyang mi sono sentito dentro uno dei film della serie Airport. Allo stesso tempo, il fatto che volasse regolarmente dagli anni ‘80 significava che negli aerei della Air Koryo, compagnia di bandiera della Corea del Nord, la manutenzione era stata sempre fatta. L’arrivo all’aeroporto internazionale di Pyongyang è stato sicuramente differente rispetto ad altri voli effettuati nella mia vita di viaggiatore. Oltre alla modulistica compilata in volo, ho avuto un attento controllo del contenuto del bagaglio, compreso lo sfogliare la mia agenda cartacea e le foto e i video presenti nel cellulare. Il telefono lo avrei usato solo come macchina fotografica, vista l’assenza del roaming internazionale. Volendo avrei potuto comprare una scheda sim locale per poter usufruire dell’intranet coreano, una rete nazionale dove poter leggere informazioni, ascoltare musica, seguire lo sport, vedere film e anche scoprire ricette di cucina locale. Il tutto, naturalmente, con la supervisione delle autorità locali che decidono quali contenuti produrre o importare principalmente dalla Russia e dalla Cina. Per comunicare con casa avrei dovuto aspettare la possibilità di usare i telefoni internazionali dell’albergo. In ogni caso sapevo prima di partire cosa potevo portare con me e al controllo in dogana non ho avuto alcun problema. Varcata la porta che immette nell’area pubblica dell’aeroporto mi sono sentito per un attimo perduto, dato che dovevo trovare le guide che mi dovevano prendere in consegna. Ho aspettato qualche minuto prima che Miss Lee, in perfetto inglese, mi invitasse a seguirla. Subito dopo conosco Mister Kim e l’autista che mi porterà in giro con un modello di auto cinese per me sconosciuto. Su mia timida richiesta approfittiamo del viaggio fino all’albergo per ripassare quello che mi aspetterà nei prossimi giorni, e chiedo anche come devo comportarmi con le fotografie. A quest’ultima domanda mi viene risposto che non c’è alcuna limitazione se non il divieto di immortalare strutture militari e palazzi in costruzione. A Lee e Kim consegno il mio passaporto per vari adempimenti burocratici. Lo rivedrò poco prima della partenza. In contanti saldo il corrispettivo per i servizi che mi verranno assicurati comprendenti voli aerei, pasti, alloggio e auto con autista. Io in fin dei conti non spendo una cifra elevata e il governo locale avrà valuta pregiata utile ad aggirare le sanzioni internazionali. Il turismo qui serve anche per questo.

Miss Lee e l’autista della nostra delegazione con la torre Juche sullo sfondo

Non potrò muovermi senza le mie guide al di fuori dell’Hotel Koryo dove soggiornerò, mentre all’interno della struttura posso usufruire di qualsiasi servizio, dal parrucchiere alla biblioteca, oltre che socializzare con chi voglio nei bar dotati di vini italiani e birre tedesche. Il programma del mio viaggio turistico è molto dettagliato, anche se poi assieme a Lee e Kim faremo delle modifiche per venire incontro alla mia curiosità. L’albergo è costituito da due torri alte 143 metri. Alloggio al ventesimo piano e la mia tv ha canali in inglese, arabo e russo. Non rinuncio a seguire un telegiornale del canale di stato con l’immancabile conduttrice in kimono che racconta il Giorno della Vittoria con particolare enfasi. Il mio arrivo coincide infatti con l’anniversario dell’armistizio del 1953 che mise fine alla Guerra di Corea, che qui viene vissuta come una vittoria. Al Koryo consumerò alcuni dei miei pasti e tutte le colazioni in uno speciale ristorante al terzo piano dove oltre a me ci sono altri, pochi, occidentali. Al secondo piano c’è il ristorante dove mangiano i cinesi, la quasi totalità dei turisti a Pyongyang. Da qualche parte devono mangiare anche i coreani, perché mi rendo conto che anche le mie guide e quelle degli altri gruppi alloggiano in questa struttura. Farò presente ai miei angeli custodi che mi piacerebbe anche mangiare assieme a loro in almeno qualche occasione. Mi viene detto che non è possibile ma, come racconterò più avanti, una volta cessata la reciproca iniziale diffidenza capiterà di trascorrere piacevolmente tempo nello stesso ristorante.

Balli di gruppo in piazza Kim Il-sung per il Giorno della Vittoria

Visita alla capitale

L’esplorazione di Pyongyang è avvenuta in più momenti del mio viaggio. Ogni volta che rientravamo da una destinazione fuori dalla capitale utilizzavamo le ore restanti per conoscere la più importante città della Repubblica Popolare Democratica di Corea. Quello che inequivocabilmente colpisce di questa città di oltre tre milioni di abitanti sono la pulizia, l’ordine e la quasi totale assenza di traffico se non quello di biciclette e mezzi pubblici, regolato dalle popolari ed eleganti vigilesse. Altro elemento inaspettato è l’ampia presenza di verde con parchi molto frequentati. Ulteriore segnale discordante rispetto a quello che ci immaginiamo di questo mondo è il fatto che è pieno di negozi. Naturalmente sono tutti a gestione statale, dal grande supermercato al gelataio per strada. Non mancano articoli di ogni genere di marche mai viste prima, spesso di provenienza locale oppure cinese, ma perfino arrivate da Singapore o dalla Thailandia. Ho potuto osservare da vicino i negozi per la gente del posto, anche se per i miei acquisti sono dovuto andare in quelli per stranieri dove si deve pagare in valuta. Capita di pagare in euro e avere il resto in dollari o moneta cinese. I cambi sono imposti dallo Stato e nonostante la moneta locale abbia una quotazione non realistica per noi occidentali i prezzi restano molto convenienti.

Murales nei pressi dello stadio

Uno dei primi luoghi che ho visitato è la metropolitana. Sedici stazioni collocate molto in profondità distribuite su due linee. Avevo letto in un libro di Tiziano Terzani che di solito ti fanno vedere solo due stazioni, e il noto giornalista ipotizzava l’assenza del resto dell’infrastruttura. Trovo il coraggio per raccontare la cosa a Lee e Kim che rimangono stupìti e si consultano tra loro. Alla fermata successiva scendiamo e mi chiedono quante e quali stazioni voglio vedere. Alla fine ne vedrò sei da me scelte casualmente. I vagoni sono prodotti nella vecchia Ddr e ho modo di entrare in contatto con le persone da vicino. Attraggo la curiosità di tutti i bambini presenti, mentre gli adulti alternano sorrisi a disinteresse.

Kim Il-sung in metropolitana

Da 100 metri sotto il suolo a 170 sopra, grazie agli ascensori che portano sulla Torre Juche, dedicata all’ideologia che governa la Corea, da dove si gode un ottimo panorama sulla città. Da qui oltre che osservare parchi e condomini colorati vedo per la prima volta Piazza Kim Il-sung, dove più tardi avrò modo di godermi le danze di massa che onorano il Giorno della Vittoria. Nei giorni che seguiranno avrò modo di conoscere la versione nordcoreana sulla guerra che tra il 1950 e il 1953 rischiò di portare l’intero pianeta nel baratro. Naturalmente le nozioni che ascolto sono molto differenti da quelle che ho letto nei miei libri di scuola, e non ho alcun elemento per poter stabilire chi abbia veramente ragione. In ogni caso mi godo il giorno di festa ricevendo anche inviti a ballare assieme alle duemila coppie presenti nella piazza che siamo abituati a vedere come scenario di parate militari. Altra attrazione imperdibile a Pyongyang è il circo acrobatico, rigorosamente senza la presenza di animali. Inizialmente non avevo molto interesse ad andare a vedere quello che poi riuscirà a sorprendermi e strapparmi numerosi applausi. Sono in una tribuna assieme ai giovani pionieri del Partito Comunista russo che sono in vacanza in una zona balneare ad est di Pyongyang. Nei giorni passati nella capitale avrò inoltre modo di visitare stadi e monumenti, fare gite nel fiume Taedong in motoscafo e passare momenti di relax negli immensi spazi verdi.

Le sorprese del monte Myohyang

I centocinquanta chilometri per raggiungere il monte Myohyang, situato a nord di Pyongyang, sono la prima occasione di vedere come si vive fuori dalla moderna e apparentemente perfetta capitale. La differenza è grande e di certo i villaggi di campagna non trasudano dell’ottimismo che ho visto nei volti della gente di Pyongyang. Sempre con garbo lo faccio presente alle mie guide che prontamente mi rispondono che le alluvioni e l’embargo internazionale sono responsabili di un mancato sviluppo della qualità della vita in campagna. Auspicano che la stabilizzazione dei rapporti internazionali in atto possa dirottare parte dei fondi destinati alla forza di dissuasione (la bomba atomica) alla modernizzazione dell’agricoltura. Durante una sosta in un’area di servizio ho modo di assaggiare i prodotti della terra coreana oltre che gustare un non eccezionale gelato importato dal sud est asiatico. Attorno a me manca quasi completamente la pianura, ma nonostante questo ogni metro quadro della collina è coltivato, prevalentemente a riso e grano. Molti i terrazzamenti costruiti, così come sono presenti lungo il fiume numerose piccole dighe, delle quali alcune con centrale idroelettrica annessa. Le carestie degli anni novanta hanno dato una grossa spinta a questo tipo di riorganizzazione dell’agricoltura e delle risorse idriche.

Museo dell’amicizia sul monte Myohyang

Nello splendido scenario naturale del Monte Myohyang si trova il Museo dell’Amicizia, luogo dove sono esposti i doni ricevuti in settanta anni di storia dai capi di stato della Repubblica Popolare Democratica di Corea. Non mancano vere perle come una testa di orso donata da Ceaușescu, automobili sovietiche regalate da Stalin o un pallone da basket con la firma di Michael Jordan. Molto interessante è vedere numerosi doni dall’Italia, tutti portati in Corea da Giancarlo Elia Valori, noto personaggio originario di Sansepolcro e da sempre molto in confidenza con i leader coreani. Sempre al museo sono invitato a rendere omaggio alle statue di cera del Padre della Patria Kim Il-sung e di sua moglie Kim Jong-suk, che in Italia non conosciamo. Kim Jong-suk è stata un’eroina della guerra contro i giapponesi. In questa occasione avrò modo di sentire dalle mie guide le uniche parole riferite alla discendenza diretta dei leader coreani. “Solo due genitori come loro potevano mettere al mondo un figlio importante per la nostra storia come Kim Jong-il, il padre dell’attuale capo di stato Kim Jong-un”. Sempre nel mondo occidentale si pensa che la Corea sia piena di immagini del loro leader. La cosa è sbagliata, perché sono presenti in tutte le salse solo Kim Il-sung e Kim Jong-il, rappresentati in ogni scena possibile della loro vita, mentre Kim Jong-un non ha monumenti od opere iconografiche a lui dedicate.

Il confine con la Corea del Sud e il confronto tra i sistemi economici

Il riposo domenicale è un aspetto molto importante nella vita lavorativa coreana, mentre negli altri giorni si lavora circa otto ore. Questa volta le mie guide e l’autista dovranno fare un eccezione portandomi proprio di domenica nella zona demilitarizzata al confine con l’altra Corea. Vengo rassicurato che questo giorno di ulteriore lavoro verrà recuperato nella settimana successiva. Il viaggio verso il sud è contraddistinto da lunghe conversazioni nella nostra auto sui sistemi economici dei rispettivi paesi di provenienza. Mostrano grande stupore nel sentire che in Europa si paga per avere una casa, che l’istruzione non è gratuita e che perfino la sanità prevede una compartecipazione dei costi, per non parlare del fatto che paghiamo le medicine. Sono letteralmente inorriditi da queste cose che per loro sono inconcepibili, e di conseguenza sono ancora più convinti della giustizia del loro percorso politico. Pur non essendo un difensore del sistema capitalistico faccio presente anche alcuni vantaggi del modello in vigore in occidente, ma mi viene risposto che è assolutamente ingiusto che un nuovo individuo debba avere una vita già segnata in base alla ricchezza dei suoi antenati. Anche la mia maggiore libertà di movimento sembrerebbe non apparire una cosa prioritaria per le loro esigenze. La meritocrazia è comprensibile anche per loro, e si deve basare sui risultati scolastici e sulle capacità di servire il paese. In ogni caso nessuno può essere lasciato senza una casa o un lavoro e neppure privato della possibilità di crescere attraverso lo studio o di essere curato. Il loro sistema è meritocratico partendo dalla scuola. Solo i migliori proseguiranno alle università, mentre agli altri sarà garantito un lavoro dopo il lungo servizio militare.

Le casette azzurre della zona demilitarizzata

Panmunjon è il villaggio dove nel 1953 fu firmato l’armistizio ancora in vigore. Qui poco prima del mio viaggio si sono incontrati sullo scalino che segna la divisione delle due coree Kim Jong-un e il sudcoreano Moon Jae-in. Pochi mesi dopo sempre qui Kim incontrerà il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Non mancano numerosi posti di controllo per accedere a quest’aerea che permetterebbe a chi ha un buono scatto in velocità di varcare il confine senza dare il tempo alle guardie di sparare. Ci sono luoghi e oggetti simbolo che ricordano gli eventi del 1953, organizzati in appositi spazi museali. Qui le due Coree si guardano e comitive di turisti possono osservarsi a pochi metri di distanza dall’uno all’altro lato. All’interno delle casette azzurre si incontrano le famiglie divise dalla guerra, ciascuna persona restando dalla propria parte del tavolo e quindi nel proprio paese. Il momento di massima vicinanza alla linea di divisione corrisponde alla massima allerta dei soldati di guardia, disposti in una formazione tesa a favorire il placcaggio di eventuali folli che volessero scherzare col fuoco. La cosa è già successa in passato, scatenando sparatorie tra le due parti del confine. Anche per questo prima di accedere alla zona demilitarizzata si firma un documento dove si accetta che le autorità declinino ogni responsabilità per il potenziale rischio che si può correre. Dal balcone che domina dall’alto questa area lo scenario è emozionante e allo stesso tempo assurdo. Su quel piccolo scalino passa una linea che non solo divide la penisola coreana, ma l’intero mondo, oltre che i due sistemi politici che hanno caratterizzato il XX secolo. Mi viene in mente come la colpa di questa divisione e l’enorme militarizzazione di questa parte di mondo non sia imputabile al popolo coreano, ma proprio alle dinamiche economiche e politiche che contraddistinsero la fine della Seconda guerra mondiale. “Se le due Coree sono ricche di arsenali nucleari, uno auto-prodotto dal nord e l’altro sotto il controllo degli Stati Uniti, non è una scelta della popolazione locale, che sicuramente preferirebbe essere unita e denuclearizzata”, sostengono le mie guide.

L’arco autostradale dedicato alla riunificazione coreana

La fattoria modello

Ho modo di visitare Kaesong, grande città sul confine con il sud che ospita un’area economica congiunta dove le due Coree cooperano cercando di trarre rispettivi vantaggi. Qui c’è un ex Palazzo Reale della dinastia dei Goryeo, forse l’unica cosa rimasta in piedi alla fine dell’estate del 1953. I Goryeo sono la casa regnante sotto la quale la Corea divenne uno stato unitario. Il resto della città colpisce meno di Pyongyang ma anch’essa è pulita, ordinata e molto vivace. Il pranzo a Kaesong sarà l’unico che non mi entusiasmerà rispetto agli altri, che ho sempre trovato deliziosi. Sulla tavola sempre molte verdure, naturalmente riso, carne e pesce e su mia richiesta non manca mai la discreta birra locale. Tra Kaesong e la capitale c’è Sariwon, dove si trova una fattoria agricola modello. La responsabile mi illustra tutto quello che c’è da sapere partendo dall’intuizione di Kim Il-sung di fare una ristrutturazione aziendale che ha portato ad aumentare la produzione e scongiurare il rischio di allagamenti. Si produce riso, grano e frutta, si lavora sia in estate che in inverno e vengono occupate quasi 1.800 persone per lavorare circa settecento ettari. Incontro anche le maestranze durante il cambio turno. Sono sorridenti dopo otto ore di lavoro e molti di loro non devono fare neppure molta strada per tornare a casa, perché l’intera Sariwon è abitata proprio da chi lavora nella fattoria modello. Qui rispetto ad altre zone che ho visto nei giorni passati non mancano i macchinari agricoli. Ho modo di visitare anche una casa di una famiglia di lavoratori dove casualmente era stato anche Kim Jong Il qualche decennio prima di me.

Scorcio dell’area agricola di Sariwon

I miei angeli custodi

Verso la fine del mio viaggio abbiamo instaurato un clima di apparente fiducia. Ora ceniamo assieme e ci lasciamo andare anche a qualche bevuta dopo cena, parlando anche di vita privata e di come le mie guide passano il loro tempo libero. Mi viene detto che Pyongyang offre molte alternative come il cinema, il teatro, il balletto o una miriade di ristoranti dove passare il tempo con i fidanzati o gli amici. Anche gli eventi organizzati dal Partito non sono male, sono buone occasioni per conoscere gente. Le loro vacanze avvengono per due settimane all’anno sul mare o in montagna, naturalmente restando in Nord Corea. Mi vengono fatte molte domande sull’Italia e sulla Russia, e li colpisce molto il fatto che sia sposato con una donna di una nazionalità diversa dalla mia e che presto nascerà una figlia con due passaporti. Su questo tema si uniscono alla conversazione anche altre guide di altri gruppi. L’ultima sera ceniamo in un ristorante dove non vedo l’ombra di turisti. Forse mi hanno finalmente portato in un luogo frequentato da gente del posto, o perlomeno questa è l’impressione anche osservando gli sguardi su di me degli altri commensali. Sarà un momento molto piacevole dove ci sarà l’occasione di guardare le foto dai rispettivi telefoni, così finalmente conosco anche le famiglie dei miei tre accompagnatori. Ascolto anche i loro sogni e in che modo sperano di continuare a servire la propria nazione. L’autista è contento della propria vita, è padre da pochi mesi ed è un uomo apparentemente felice. Miss Lee sogna di occuparsi di politica, sperando anche di ricoprire ruoli istituzionali nel futuro. Ritiene che per far crescere una nazione sia indispensabile anche il punto di vista delle donne. Kim è avviato verso una carriera diplomatica, parla molte lingue ed è fortemente convinto dei valori della sua nazione. La conversazione è serena e mi convinco che siamo diventati in qualche modo amici. In tutto questo mi viene chiesto di scrivere il testo di O sole mio, l’unica canzone italiana che conoscono. Lo faccio con enorme difficoltà specificando che è scritta in un dialetto e che io non conosco bene le parole. Mentre torniamo verso l’Hotel Koryo abbiamo modo di cantare O sole mio improvvisando tutti assieme un karaoke all’interno della nostra auto.

Un intero capitolo del libro Eurasia – Dall’Atlantico al Pacifico con il gas naturale (se ne parla qui su TeverePost) è dedicato all’esperienza dell’Associazione Torino-Pechino in Corea del Nord.

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