“Una grande evoluzione in circostanze oggi non ripetibili”

Marcello Brizzi si racconta nella prima parte dell'intervista a TeverePost. Ex Cose di Lana, “il coronavirus è arrivato non appena l'avevamo rimessa in corsa, ma stiamo ripartendo”

Marcello Brizzi

Incontriamo Marcello Brizzi nel suo ufficio presso l’ex stabilimento Cose di Lana, oggi Maglificio Brizzi&Co. E proprio il salvataggio, lo scorso anno, della storica azienda di Sansepolcro è inevitabilmente uno degli argomenti trattati nell’intervista di TeverePost. Nella prima parte della conversazione ripercorriamo inoltre l’intera storia imprenditoriale di Brizzi e della sua BMA. Nella seconda parte analizzeremo invece l’emergenza coronavirus e le prospettive di ripartenza, per poi toccare l’esperienza amministrativa del nostro interlocutore, che nella scorsa legislatura ha fatto parte del Consiglio comunale biturgense.

Partiamo dall’inizio del tuo percorso come imprenditore del tessile e della moda.

Ho lavorato in questo settore come dipendente di aziende private per dieci anni qui a Cose di Lana e per cinque anni in un maglificio in Umbria. Poi nel 2005 abbiamo preso la decisione di partire con un’attività in proprio. Eravamo in una fase di trasformazione, con i paesi dell’Est e la Cina che stavano avanzando. Nel settore del tessile era in atto una forte crisi produttiva più che finanziaria. Le banche inizialmente ci avevano un po’ preso sul ridere, poi l’azienda giapponese Shima-Seiki, che credeva in me come programmatore, ci ha dato i macchinari in comodato d’uso gratuito per alcuni mesi. Li abbiamo subito messi in produzione, ci siamo impegnati tanto, lavoravamo giorno e notte, sabato e domenica, e abbiamo iniziato a generare i primi fatturati. Con zero costi, a parte l’energia, visto che le macchine non ci costavano niente e dipendenti non ne avevamo. Inoltre in quel periodo c’era il bando toscano Giovani Imprenditori. Non davano nulla a fondo perduto ma contributi in conto interessi e soprattutto le garanzie: la Regione Toscana garantiva l’80%, quindi con il fatturato generato dall’azienda e la garanzia della Regione le banche hanno cominciato a darci fiducia. Abbiamo iniziato a comprare i macchinari che avevamo in comodato, e intanto l’azienda giapponese ci dava altre macchine ad affitti bassi o comodato gratuito. Il fatturato aumentava, c’era ancora la garanzia della Regione e quindi potevamo comprare nuovi macchinari. Con questo equilibrio siamo riusciti ad acquistare macchine da maglieria per milioni, poi abbiamo iniziato a mettere il primo dipendente e ad oggi abbiamo complessivamente circa 80 persone che lavorano con noi. È stata insomma tutta un’evoluzione, una serie di circostanze che oggi non potrebbero ripetersi.

Come mai?

Soprattutto perché sono cambiate le politiche regionali. Nel quinquennio che sta finendo hanno puntato molto sulle tecnologie 4.0, e il nostro settore manufatturiero si sposa poco con questi incentivi. Inoltre l’azienda giapponese adesso non darebbe le macchine in comodato d’uso gratuito: con i problemi che ci sono stati, di insolvenze e quant’altro, oggi devi acquistare.

Invece per voi la collaborazione con Shima-Seiki è stata fondamentale da più punti di vista.

Sì, è un’azienda leader nel settore della maglieria. Io sono stato loro ospite in Giappone due volte, nel 2005 e nel 2011, come programmatore emergente italiano, e ho visto quanto quest’azienda fosse tecnologicamente avanzata, ho visto la funzionalità dei loro macchinari. Parallela a quest’azienda ce n’era un’altra che faceva ricerca e sviluppava innovazione di continuo. La nostra scelta vincente, oggi posso dirlo, è stata quella di essere rimasti legati al loro modo di pensare, alle loro tecnologie. Abbiamo sempre comprato macchinari di ultima generazione, tutte le nuove uscite, ogni volta che c’era un modello nuovo di computer lo compravamo, e ogni anno una o due volte facciamo corsi di aggiornamento con i giapponesi. Insomma sfruttiamo tutta la loro ricerca, oltre che comprare i macchinari abbiamo usato il loro modo di lavorare. Questo oggi ci rende un’azienda all’avanguardia nel settore della maglieria. Ho insieme a me dieci programmatori bravissimi che sono cresciuti con me e sono oggi la nostra ricchezza. Siamo un’azienda ricercata per quello che riusciamo a offrire nel mercato della moda, perché da noi chi viene può trovare tutto quello che può offrire il mercato. Non ci siamo specializzati su una tipologia di lavorazione, abbiamo sempre cercato di avere tutto. Nel 2005 facevamo un pezzetto del ciclo produttivo, dopo c’è stata la crisi della maglieria, collegata poi alla crisi finanziaria che è venuta negli anni successivi. I maglifici grandi sono tutti scomparsi e noi piccoli siamo diventati a nostra volta maglificio. Quindi oggi il grande brand non ha più la parte produttiva all’interno, ci siamo noi che gli facciamo tutto quello che gli serve, dai capi fatti a mano all’applicazione di tessuti, strass, perle, qualsiasi cosa. Nel 2005 facevamo solamente la tessitura, un decimo della lavorazione; oggi facciamo i dieci decimi. E così siamo diventati importanti per i brand del lusso mondiale.

Per esempio?

Lavoriamo prevalentemente con la Francia, con Parigi, quindi Louis Vuitton, che l’anno scorso ha fatto una crescita pazzesca, Chloé, Nina Ricci, Loro Piana, che è un marchio italiano ma sempre del gruppo LVMH di Louis Vuitton. Ormai lavoriamo per l’estero al 60-70%, poi lavoriamo per marchi italiani come Agnona, che è la linea donna di Ermenegildo Zegna, Marina Rinaldi del gruppo Max Mara, Luisa Spagnoli, Ermanno Scervino, Dolce&Gabbana. Per una clientela di alto livello, insomma.

L’anno scorso siete stati protagonisti della vicenda Cose di Lana.

Il 2019 è stato per la BMA un anno importante perché l’azienda è cresciuta di fatturato del 20-25%, un quarto di produzione in più. Nel 2018 eravamo già saturi, quindi non sapevamo come fare. Per l’appunto Cose di Lana era in situazione di difficoltà e tra fine 2018 e inizio 2019 il sindaco di Sansepolcro mi ha invitato a valutare se avevo del lavoro per aiutare quest’azienda in crisi. Ci siamo quindi messi in contatto con l’azienda Supermaglia, come si chiamava in quel periodo, per iniziare una collaborazione. Tornavo in contatto con quest’azienda dopo 20 anni da quando avevo smesso di lavorarci come dipendente. Era in amministrazione controllata e aveva avuto una proroga a lavorare fino al 28 febbraio. Abbiamo collaborato fino a quella data, poi la mia produzione doveva continuare, ma il 1° marzo ci hanno comunicato che il giudice aveva purtroppo rifiutato un’ulteriore proroga. Sono andato in azienda a riprendere il mio filato in lavorazione e lì ho trovato tutto il personale che era disperato; in quel momento è arrivato anche il sindaco, che ha detto alle maestranze che avrebbe fatto di tutto per trovare una soluzione. L’8 marzo ero a Parigi per lavoro, il sindaco mi continuava a chiamare dicendo che la situazione era drammatica, chiedendomi se conoscessi qualcuno che poteva fare un’offerta di acquisizione di ramo d’azienda, e alla fine mi ha fatto la proposta indecente: se me la sentissi io di fare quest’offerta. Per me è stato uno sconvolgimento, mai sarei arrivato a pensare di poter provare ad acquistare l’azienda da dove ero partito, un’azienda storica di Sansepolcro. Ho iniziato a pensarci, anche per dare speranza a dei colleghi, a elaborare i numeri, e abbiamo trovato il coraggio di fare una prima offerta. Ci siamo anche affrettati sperando che avremmo potuto operare fin da subito, invece non è andata così, ci sono state complicazioni burocratiche e ci hanno potuto dare l’azienda solo a giugno. Prima come affitto di ramo d’azienda, mentre l’acquisto reale è avvenuto a fine agosto, quando abbiamo acquisito macchinari, know-how, tutto tranne la struttura. Questo periodo da marzo a settembre ci ha fatto perdere una fetta importante di produzione del 2019 ma soprattutto ci ha fatto perdere la possibilità di generare campionari. Quindi a settembre siamo ripartiti con una struttura di 25 persone ma senza lavoro. Quei mesi comunque sono serviti a rimettere a posto l’azienda, a produrre dei capi per lo spaccio aziendale che avevamo riaperto nel frattempo e a lavorare ai campionari per la stagione successiva del gennaio 2020. In quei quattro mesi siamo riusciti a sopravvivere e da gennaio 2020 sono cominciati ad arrivare ordini importanti. Quindi eravamo contenti perché eravamo riusciti a rimettere in corsa quest’azienda, il ciclo aveva cominciato a girare.

Poi è arrivato subito il coronavirus.

Sì, ai primi di marzo si è bloccato tutto un’altra volta e oggi ci troviamo nella stessa situazione dell’anno scorso, perché i nostri clienti per scelte legate al coronavirus hanno annullato tutti i prossimi campionari e le sfilate. Probabilmente, quindi, ci ritroveremo di nuovo senza una produzione a meno che non si inventeranno cose particolari, però lavoro programmato sarà difficile averne. Comunque appena è stato possibile con lo sblocco del lockdown siamo ripartiti, fortunatamente, e stiamo cercando di lavorare il più possibile e darci da fare con grande impegno.

Leggi la seconda parte dell’intervista:
Marcello Brizzi: “Davanti crisi ma anche opportunità, importante che non ci siano ricadute”.

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