Un’attrice di nero vestita, introdotta da un semplice e asettico prologo femminile in cui viene spiegata la prassi funeraria del saluto al cadavere, attraversa in silenzio il pubblico per poi calcare il palco e fermarsi, di spalle, davanti a un altro palco, più piccolo e rialzato: quello dei burattini. L’immaginario collettivo tende a pensare al teatro di figura, in special modo quello dei pupazzi, come rivolto a un pubblico infantile o di ragazzi. Eppure le tematiche affrontate nello spettacolo proposto dalla compagnia Teatro Rebis sono giovanili soltanto nella misura in cui hanno come perno la figura di Pamela Mastropietro, diciottenne romana tristemente nota per essere stata uccisa a Macerata, fatta a pezzi e abbandonata dentro due valigie. Innocent Oshegale viene condannato all’ergastolo per aver commesso questa atrocità insieme a Desmond Lucky e Lucky Awelima, poi scagionati dalle accuse più pesanti: le vicende di questi personaggi si intrecciano con quelle dei burattini negri, come si autodefiniscono; un gruppo di uomini e donne dai nomi fittizi quali Neve o Villaggio che con ironia e solo apparente leggerezza si elevano a iconica e metaforica immagine della realtà. I luoghi comuni di cui questi fantocci in legno si fanno portatori generano numerose riflessioni di natura sociale nonché politica.
Un’attrice di nero vestita, con una lacrima nera che scende dall’occhio sinistro, racconta i fatti realmente accaduti strappando qualche amara risata al pubblico a cui direttamente si rivolge. Si racconta dunque di alcune conseguenze del terribile fatto: si racconta di Luca Traini, che compare sul palco vestito di una lunga bandiera italiana su cui si avvolgerà anche il personaggio scenico di Pamela; si racconta della sua candidatura politica, del primo attentato di matrice razzista in Italia, dei consensi sociali, delle giustificazioni popolari. Gli attori in carne ed ossa si alternano ai burattini nel racconto onirico e surreale, quando più realistico, quando più allegorico, che segue un po’ la cronaca e un po’ la letteratura ispirandosi alla pièce I Negri di Jean Genet a cui la compagnia è per più versi debitrice. Un processo immaginario e macabro portato avanti dai negri e dai bianchi allude, tra le altre cose, alle reali accuse fatte a Oshegale e gli altri di aver compiuto rituali voodoo sul corpo della ragazza che, personificata da Neve, viene infine adagiata su di un lenzuolo bianco tenuto dai quattro attori che compaiono sul palco e che con il cadavere del burattino dalla pelle nera, biondo e riccioluto, vestito di rosso, giocano al grido di “vola! vola! vola!” per poi concludere lo spettacolo così come era iniziato: un tetro, triste e surreale corteo funebre.