Non è bastata la diminuzione del quorum, passato da due terzi alla metà più uno degli aventi diritto, per assistere all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Nelle passate tredici elezioni, tra prima e quarta votazione, il presidente era stato eletto sette volte mentre da ora in poi sarà necessario osservare le statistiche delle elezioni più lunghe. Oggi si procederà alla quinta votazione nella quale non è mai avvenuta l’elezione del Presidente. Alla sesta venne eletto Giorgio Napolitano nel 2013 per il suo secondo mandato e alla nona Antonio Segni nel 1962. Le elezioni più problematiche furono quelle di Sandro Pertini nel 1978 (16 votazioni), Giuseppe Saragat nel 1964 (21 votazioni) e Giovanni Leone nel 1971 (23 votazioni). Nel frattempo il mandato di Sergio Mattarella ha raggiunto i 2.751 giorni, a meno di una settimana dalla scadenza naturale del settennato prevista il per il 3 febbraio 2022 con relativo dubbio costituzionale su come procedere se per quella data non sarà possibile insediare il nuovo Capo dello Stato.
La quarta votazione ha visto la presenza di 981 grandi elettori e sebbene si sia risolta con l’ennesima fumata nera è stata portatrice di interessanti novità politiche. La prima è la mancanza di partecipazione al voto, rifiutando la scheda, di 441 deputati, senatori e rappresentanti regionali facenti riferimento ai partiti di centrodestra. Dopo la divisione alla terza votazione tra chi ha votato Crosetto e chi scheda bianca stavolta Salvini e soci hanno voluto contarsi senza rischi di franchi tiratori. È sicuramente servito a due cose: comprendere che 441 è un numero ancora lontano dalla maggioranza ed estinguere quasi del tutto una serie di voti di protesta, oltre a quelli burla sempre meno in voga col passare dei giorni.
Il centrosinistra e i Cinquestelle hanno rinnovato l’intenzione di votare scheda bianca, anche se le 261 schede senza voto, a cui si aggiungono 5 nulle, sono molte di meno dei grandi elettori in quota centrosinistra. Ben 166 voti sono andati al vincitore di giornata Sergio Mattarella che incrementa il proprio bottino dopo i 16, 39 e 125 dei giorni precedenti. Potendo controllare l’elettorato di centrodestra attraverso la plateale astensione, in barba a quella che dovrebbe essere la segretezza del voto, si può affermare che i voti all’attuale Presidente della Repubblica vengano quasi tutti da centrosinistra, Cinquestelle e parte del gruppo misto. Un segnale importante quello che continua a catalizzare consenso su Sergio Mattarella.
L’area degli ex grillini e parte del gruppo misto lascia il professor Paolo Maddalena per proporre il voto verso il magistrato antimafia Nino Di Matteo con l’intenzione, in parte riuscita, di andare oltre il proprio spazio politico, sebbene i 56 voti raccolti siano inferiori ai 61 che Maddalena aveva raccolto nella terza votazione. Oltre agli 8 voti a Luigi Manconi ci sono stati molti voti dispersi tra alcuni dei veri candidati al Quirinale. Tra questi Marta Cartabia (6), Mario Draghi (5), Giuliano Amato (4), Pierferdinando Casini (3), Elisabetta Belloni (2). Stavolta i goliardici o singoli ammiratori si sono limitati ad un voto per Alessandro Barbero, Alessandro Altobelli, Riccardo Muti, Roberto Mancini e Giuseppe Cruciani. Interessante cercare di capire chi sia l’elettore che ieri ha votato l’ex non conosciutissimo calciatore Luciano Manni mentre due giorni fa aveva probabilmente fatto qualcosa di simile sostenendo il sempre poco noto esponente del mondo del pallone Marco Tartari.
Infine, merita di essere citato lo sconosciuto che ha espresso la propria preferenza verso Matteo Salvini generando un voto nullo, perché forse non sapeva che coloro che hanno meno di cinquanta anni non possono essere eletti. Altra domanda che trova una risposta parziale nei problemi di anzianità e salute è quella sul perché all’appello in ogni votazione sono sempre mancati 32, 33, 31 e 28 grandi elettori.
Vertici, incontri, cene e telefonate per il momento non hanno prodotto alcun risultato significativo. I primi quattro scrutini hanno dimostrato l’assoluta impreparazione delle forze politiche verso l’individuazione di una personalità in grado di superare i quorum. Veti incrociati e calcoli sul futuro sono i protagonisti delle scelte e sembra, come spesso accade, molto difficile riuscire a programmare o immaginare il futuro politico dell’Italia. Perferdinando Casini, nonostante il fatto che sarebbe il candidato di maggiore esperienza, paga i veti di chi nel centrodestra gli rinfaccia di essersi fatto eleggere a senatore dal centrosinistra, mentre sull’altro fronte è visto come troppo legato a Renzi. Nella votazione di ieri è mancato il coraggio di vedere dove sarebbe potuto arrivare.
La Presidente del Senato Elisabetta Casellati continua ad essere una carta coperta del centrodestra, non apprezzata troppo dal centrosinistra e dal pianeta Grillo. Lascerebbe libera un’importante casella istituzionale da riempire con esponenti di chi potrebbe aiutare a farla eleggere.
Il Presidente del Consiglio Mario Draghi resta il jolly di tutti e di nessuno. Rimpiazzarlo a Palazzo Chigi è al momento un problema ancora più grande di chi far salire sul Colle. La coordinatrice dei servizi segreti, già diplomatica, Elisabetta Belloni gode di stima trasversale ma sempre in modo trasversale è giudicata povera di esperienza politica.
Altri nomi quotati nelle ultime ore sono l’ex giudice e ministro Sabino Cassese e l’ex ministro degli esteri Franco Frattini. Si avverte l’impressione di mancanza di strategia e di forte improvvisazione nelle mosse che giorno per giorno si susseguono. In tutto questo appare come una provocazione vuota di contenuti la richiesta di passare a due votazioni al giorno che, vista la situazione di stallo, servirebbero a poco. In ogni caso nel corso della mattinata di oggi sarà presa una decisione a riguardo. Sullo sfondo Giuliano Amato, silenzioso, riservato e da oltre venti anni sempre candidato a Presidente della Repubblica. Lui comunque andrà sarà Presidente, visto che domani assumerà l’incarico al vertice della Corte Costituzionale.