Tommaso Inghirami: “Dopo le mascherine, l’obiettivo è quello di tornare a fare il nostro antico mestiere”

Il giovane imprenditore, intervistato durante TeverePost su Errevutì, ha raccontato le ultime attività intraprese dall’azienda di famiglia parlando anche del mercato cinese

Tra i brand del settore moda e fashion che hanno convertito la loro produzione durante l’epidemia di Covid-19 vi è anche Ingram, una storica azienda della Valtiberina che oggi, a pochi giorni dall’avvio della fase 2, si appresta ad affrontare una nuova sfida verso quello che sarà un lento e difficile ritorno alla normalità.

Nella puntata di TeverePost andata in onda giovedì scorso su Errevutì, i nostri colleghi Ilaria Lorenzini e Antonello Antonelli hanno raccolto la testimonianza di Tommaso Inghirami. Il giovane imprenditore, che attualmente si trova a Firenze per seguire un altro ramo dell’azienda di famiglia nel settore agricolo, ha illustrato le principali iniziative messe in piedi da Ingram durante la fase critica dell’emergenza, fornendo inoltre alcuni spunti riguardo al futuro del commercio e a quella che è la situazione del mercato cinese, dove l’azienda è presente ed operative ormai da diversi anni.

In questo momento la vostra azienda è aperta?

Sì. Attualmente siamo aperti e abbiamo riconvertito temporaneamente la linea di produzione di San Giustino. Siamo attivi, ma anziché le camicie in questo momento produciamo esclusivamente mascherine.

I dispositivi che producete dove vengono destinati?

In questo momento stiamo distribuendo quello che produciamo alle istituzioni locali. Ad esempio le abbiamo donate al Comune di San Giustino, al Comune di Citerna e ad altri enti locali.

È stata la nostra volontà, come azienda e famiglia, di fare la nostra parte e di donarle gratuitamente alle istituzioni. Abbiamo deciso di intraprendere questa attività pur senza ricevere una richiesta ufficiale, in segno di vicinanza alla comunità.

Quando ripartirete, invece, con la vostra produzione tradizionale?

Nell’ultimo mese, come detto, abbiamo prodotto soltanto mascherine. Con l’ultimo decreto, ci apprestiamo a riaprire la produzione ordinaria dal 4 maggio, giorno in cui anche per noi inizierà la fase 2 tornando a produrre capi di abbigliamento. In caso di necessità torneremo a fare altre mascherine, ma l’obiettivo è ovviamente quello di tornare a fare il nostro antico mestiere.

Quali sono le vostre previsioni in merito al mercato dell’abbigliamento?

La verità è che non lo sappiamo bene nemmeno noi. Ci siamo fatti un’idea confrontandoci con i fornitori di tessuti e con quelli che sono i nostri partner da tanti anni a questa parte. Purtroppo siamo tutti in una condizione molto difficile e pronti a questa fase di ripartenza. Ovviamente però non sappiamo come cambierà il modo di acquistare dei nostri clienti e il modo in cui affrontare ogni giorno il mercato. Noi abbiamo cercato di farci un’idea di quello che sarà lo scenario alla riapertura ufficiale del 18 maggio, però di fatto neppure un confronto con tutti i nostri partner e clienti può darci risposte certe.

In quanti paesi siete presenti con il vostro brand?

Operiamo in tutti i paesi europei, ma abbiamo un importante volume d’affari anche in America, Giappone e Cina. In quest’ultimo paese, il problema è stato affrontato già da tempo ma stiamo comunque parlando di un ‘paese-continente’. La città di Wuhan è stata chiusa, decine di milioni di cinesi sono rimasti in isolamento, però le città più importanti che costituiscono il cuore economico della nazione non sono mai state realmente bloccate. Ovviamente anche molti dei nostri partner hanno vissuto il lockdown, ma in sostanza quelle che sono le loro imprese più importanti non hanno mai chiuso continuando a rifornire tutto il mercato interno ed estero.

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