Luca Giovagnoli, nato a Sansepolcro nel 1980, lavora da circa 15 anni come tecnico teatrale. “Ho iniziato per gioco al Circolino”, ricorda, facendo riferimento all’ex Metamultimedia di Via Cherubino Alberti, allora gestito dall’associazione Mea Revolutionae: “Allestivamo il palco per le serate del fine settimana, era un divertimento, un passatempo che piano piano ho fatto diventare un lavoro”. Attualmente si occupa principalmente di direzioni tecniche di festival teatrali. “Ho quattro direzioni tecniche in Italia”, conferma: “dopo anni a lavorare fisicamente sul palco trovo molto interessante dedicare più tempo e attenzione al livello organizzativo”. Impossibile non fare riferimento a Kilowatt Festival: “È la manifestazione che mi ha fatto crescere”, spiega, sottolineando la complessità gestionale della parte tecnica: “È un festival che comincia ad avere decine di spettacoli, e ci sono 13-14 tecnici da gestire in modo tale che quella data cosa avvenga nei tempi in cui sei obbligato a farla avvenire”.
Quest’anno a complicare tutto ci si è messo il Covid.
Certo, con la chiusura è stato tutto sospeso, chi ha annullato eventi, chi ha provato a spostarli rimandandoli all’autunno. E qui ci sarà da capire cosa succederà. Poi ci sono state quelle poche realtà che invece sono andate avanti a testa bassa e hanno detto “facciamolo ugualmente”, e mi riferisco ovviamente a Kilowatt. È stato uno dei primi eventi medio-grandi in Italia dopo la chiusura, era un’incognita che abbiamo affrontato chiedendoci un po’ “chissà che succederà”.
Ed è andata bene.
Sì, però di base il problema è che non c’è una certezza su quello che ci attenderà, non ci sono linee guida che ci dicono in che modalità riusciremo, forse, a ripartire. È il settore che per primo ha chiuso e che di fatto per ultimo riapre, se riapre. Riaprirà ovviamente, ma quando, come e in che modalità non è dato saperlo.
Quali sono stati gli effetti della chiusura?
Si sono fermate le stagioni teatrali, e tutti i tecnici che erano in tournée da un giorno all’altro si sono visti annullare 10, 20, 60 date, e quindi fondamentalmente sono dovuti andare a casa senza sapere che sarebbe successo. E poi produzioni completamente bloccate, che significa che non saltano solo i 15-20 giorni inerenti strettamente la produzione, salta un lavoro che va avanti nei mesi successivi. Infatti in questo periodo di solito avevamo i calendari già pronti per l’anno a venire, adesso ancora non sappiamo niente riguardo a eventuali aperture di stagioni o tournée. Chi ha spostato i festival a ottobre adesso lavora per fare festival, ma che certezza abbiamo? Per assurdo era meglio il periodo di luglio, quando è stato fatto Kilowatt, piuttosto che ora: ora c’è veramente un sacco di incertezza.
Che tipo di tutele hanno i lavoratori del vostro settore?
Non abbiamo un lavoro riconosciuto, quindi non abbiamo nessun tipo di tutela, nessun tipo di garanzia, non siamo inquadrati in niente. Colpa anche un po’ nostra, perché abbiamo fatto in modo che negli anni il nostro lavoro rimanesse un po’ in una sorta di bolla a parte, però ora ci siamo veramente accorti della problematica. Non a caso aspettavamo che i resoconti settimanali di Conte parlassero di noi e siamo arrivati alla fantastica frase “gli artisti che ci fanno tanto ridere”. Un sacco di risate, ma stringi stringi che si deve fare? Che ci dite riguardo al futuro?
Dunque si tratta di un problema che viene da lontano, da prima del coronavirus.
È una cosa che viene da anni indietro, da prima che facessi questo lavoro. Sono anni che lavoriamo senza realmente essere inquadrati in una categoria. Poi si trovano gli escamotage per lavorare in regola, questo è ovvio, però non abbiamo garanzie. Una cosa positiva in questo periodo di Covid è che tante persone, probabilmente stando a casa e avendo poco da fare, hanno cominciato a ragionare sul problema. In tutta Italia sono nati gruppi di lavoro per informarsi su come provare a cambiare le cose e si è sentito parlare per la prima volta di discorsi sindacali riguardo al nostro settore. A Milano, Pisa, Perugia, Roma, è stato anche bello vedere gruppi di persone, 100-150 persone del settore che magari non si conoscevano ma dialogavano su come fare per cogliere l’occasione di sbloccare questa situazione, di intervenire su questa mancanza che viene dal passato. Non è un argomento facile, non sarà semplice portarlo avanti, però per lo meno abbiamo iniziato. Naturalmente richiede tempo, attenzione, impegno, quindi quando il settore, forse, ripartirà ci sarà meno modo di dedicarcisi. Immagino la fuga verso la ricerca del lavoro, sperando però di non ripetere gli errori del passato.
Cosa vi aspettate dalle Istituzioni?
Dovrebbero fare la cosa che fanno in tutto il resto d’Europa: riconoscere questi lavoratori come lavoratori specifici di quel settore, riconoscere la professionalità di quel lavoro lì. Lo Stato dovrebbe realmente riconoscere il valore che ha quel determinato tipo di lavoro, che è solo quello, che non è il lavoro di un operaio e non è qualcosa di artistico, è quello, fine. Noi siamo tecnici dello spettacolo, non siamo altro. Magari hai i turni di lavoro massacranti, non hai una continuità nell’anno, quindi devi essere inquadrato in un tipo di contratto particolare. Non si tratta di fare un part-time, un tecnico dello spettacolo non può fare un part-time tre ore al giorno, è incompatibile col tipo di lavoro. Insomma quello che ci si potrebbe aspettare dalle istituzioni è quell’attenzione particolare che finora non c’è mai stata.
Attualmente quindi come siete inquadrati?
Abbiamo diverse soluzioni, ci sono lavoratori a partita Iva, lavoratori che fanno parte di cooperative più o meno grandi che raggruppano un tot di tecnici, ci sono persone assunte con contratto a chiamata. Lo scenario è molto diversificato, quindi trovare una soluzione valida per tutti è complicato, con tutti i problemi annessi a ogni singola situazione. Io spero veramente di cuore che venga fatto quasi un reset di quello che c’è stato finora e che si possa ripartire nero su bianco, dando delle linee guida molto precise, specifiche per il nostro settore.
In queste dinamiche come si pongono gli artisti con cui collaborate?
Nel mondo del teatro, ma anche della musica o del cinema, anche l’artista in sé ha subito molto, forse più di tutti. È vero però che noi abbiamo bisogno di loro, in questa fase sarebbe molto interessante usare la loro voce per far parlare un po’ di noi, che lavorando sempre dietro le quinte siamo sconosciuti. Però tu lavori per il nome, e il nome è quello che se dice una cosa magari viene ascoltato. Qualcuno in effetti l’ha fatto, ha cercato di fare conoscere all’opinione pubblica la nostra posizione, il nostro ruolo, le nostre difficoltà di sopravvivenza e l’esigenza di vederci riconosciuto un ruolo lavorativo.