Tari, il coronavirus ritarda gli aumenti previsti

In quasi tutti i comuni della Valtiberina si sarebbe dovuto pagare di più, vediamo perché analizzando come funziona il sistema dei rifiuti

Cassonetti

Foto di Sei Toscana

Tra le scadenze che, a condizioni normali, si sarebbero dovute presentare nel mese di aprile c’era quella per l’approvazione da parte dei consigli comunali delle tariffe della Tari, la tassa che per legge copre tutte le spese sostenute dal comune nell’ambito della gestione dei rifiuti.

A presentare il conto alle amministrazioni locali è SEI Toscana, la società mista composta da soci privati e pubblici che ha ottenuto il servizio in appalto da ATO Toscana Sud, soggetto che riunisce i comuni delle province di Arezzo, Siena e Grosseto e di una piccola parte di quella di Livorno, per un totale di 104 municipalità.

Fra questi non c’è uno dei comuni della Valtiberina, Sestino, che rientra nell’orbita marchigiana. Considerando i restanti sei comuni, quasi tutti quest’anno hanno visto aumentare il costo del servizio rifiuti, con l’eccezione di Anghiari dove il dato è pressoché invariato. L’emergenza Covid-19 ha tuttavia spinto l’ATO a congelare temporaneamente gli aumenti del corrispettivo, mentre il decreto “Cura Italia” emanato dal Governo ha prorogato la scadenza dell’approvazione delle tariffe Tari da parte dei consigli comunali al 30 giugno, introducendo peraltro la possibilità di confermare quelle del 2019 senza procedere ai rincari previsti.

Ma cosa paghiamo con la Tari?

L’importo totale che ogni comune deve raccogliere con la Tari per pagare il servizio è composto da varie voci. Le due più corpose sono:

1) i servizi che annualmente i singoli Comuni acquistano da SEI Toscana, come ad esempio svuotamento dei cassonetti, trasporto dei rifiuti, ritiro degli ingombranti, pulizia delle strade, gestione delle isole ecologiche;
2) il costo del conferimento dei rifiuti presso gli impianti.

In pratica, il Comune incassa dai cittadini i soldi della Tari e li versa a SEI Toscana, che gira alle società che gestiscono gli impianti, come discariche e termovalorizzatori, la parte relativa al conferimento. A questo proposito bisogna tenere presente che gli stessi soggetti gestori degli impianti sono a loro volta azionisti di SEI e sono controllati da alcuni comuni, le cui esigenze sono quindi molto diverse da quelle degli altri comuni dell’ATO, come vedremo più avanti.

In questa fase, anche se l’effetto sarà ritardato dai citati interventi anti-coronavirus, a incidere pesantemente sui conti dei comuni della provincia di Arezzo è il rincaro del prezzo del conferimento negli impianti, in particolare per quanto riguarda i rifiuti non differenziati. Pesa soprattutto il fatto che la discarica di Podere Rota, nel comune di Terranuova Bracciolini, è prossima alla saturazione e può adesso accogliere quantità minori. In queste dinamiche si inserisce la polemica per il fatto che negli anni, a saturare gli impianti aretini, sono costantemente arrivati rifiuti da fuori ATO e in particolare dall’area fiorentina, carente di strutture. Concorre inoltre a far aumentare il prezzo del conferimento la lievitazione, nel corso degli anni, del costo di lavori connessi ad un vecchio ampliamento della stessa discarica valdarnese.

Insomma, ogni tonnellata di rifiuto non differenziato diventa più cara da smaltire. La riduzione del quantitativo di indifferenziato prodotto dal singolo comune è quindi sempre più rilevante non solo dal punto di vista ecologico ma anche da quello più strettamente legato al portafoglio. Va detto che al diminuire dei rifiuti complessivi il costo unitario aumenta, in modo che il gestore possa percepire in ogni caso la cifra prevista (mentre si innesca una sorta di guerra tra i singoli comuni, perché chi diminuisce di più le quantità fa alzare il prezzo agli altri). Ma in termini assoluti diminuiscono anche gli importi, proporzionali alle quantità di rifiuti prodotte, dell’ecotassa regionale e dell’indennità di disagio ambientale che viene pagata da tutti i comuni a quelli sede di impianto.

L’importanza di diminuire l’indifferenziato fa emergere una questione non secondaria, quella delle modalità di calcolo del quantitativo di rifiuti prodotti da ogni comune. A fornire questo dato sono gli stessi gestori, mentre alcuni comuni lamentano di avere pochissimi strumenti per verificarne la correttezza e di doversi fidare quasi alla cieca del conteggio effettuato da chi deve riscuotere.

Il problema della mancata possibilità di controllo ha tuttavia caratterizzato in senso più ampio un po’ tutto il rapporto tra ATO pubblica e gestore, tanto che la “Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti”, istituita durante la scorsa legislatura e tuttora operante, nella relazione sul caso toscano presentata alle Camere nel marzo 2018 affermava che “l’attività di controllo dell’ATO Toscana Sud sull’esecuzione del contratto da parte di SEI Toscana è del tutto carente” (vedi Relazione territoriale sulla Regione Toscana, pag. 67), anche per i “limiti oggettivi derivanti dall’incertezza e dalla complessità strutturale del contratto di appalto” (ibidem, pag. 57). Un appalto la cui assegnazione, risalente al 2012, è tra l’altro attualmente oggetto di un’inchiesta della procura di Firenze per turbativa d’asta e corruzione.

I limiti di ambiti territoriali sempre più grandi

La relazione della Commissione fotografava un momento particolarmente difficile per l’ATO, visto che, alla luce della citata vicenda giudiziaria, il ruolo di direttore generale era rimasto vacante per quasi un anno e SEI era stata commissariata. Tuttavia l’attuale modello di gestione dei rifiuti, così come disegnato dalla legge regionale n. 69 del 2011 che regola anche il servizio idrico, sembra soffrire di intrinseche problematiche di carattere più generale, legate in particolar modo alle vaste dimensioni territoriali, alla tendenza all’accentramento verso Firenze (la Regione punta perfino a un’ATO unica), al rapporto tra pubblico e privato.

La struttura di ATO Toscana Sud, che ha più di 900.000 abitanti suddivisi in oltre cento comuni con caratteristiche ed esigenze differenti tra loro e difficilmente conciliabili, mostra quanto sia complesso operare con unità d’intenti. Non si tratta solo di differenze geografiche e territoriali, ma anche dello squilibrio che si viene a creare tra i comuni che non sono sede di impianto, che pagano e basta, e quelli che lo sono, che traggono dagli impianti introiti che permettono di contenere la pressione fiscale. Facciamo l’esempio del termovalorizzatore di San Zeno, nel Comune di Arezzo: il gestore della struttura, AISA Impianti, ha negli anni erogato al Comune di Arezzo (e in misura molto minore ad altri soci pubblici) importanti dividendi, e il comune capoluogo percepisce inoltre, a spese degli altri comuni, la già citata indennità di disagio ambientale, con cui la municipalità aretina può limitare la Tari. Lo stesso, perfino in proporzioni maggiori, dicasi per il comune di Terranuova Bracciolini per quanto riguarda Podere Rota.

L’altra grande protagonista della vicenda, SEI Toscana, era al momento del bando di gara un raggruppamento a maggioranza pubblica, ma in breve l’assetto è cambiato a vantaggio della componente privata. La parte pubblica sta cercando di recuperare terreno, con Estra che ha recentemente rilevato uno dei soci privati, tuttavia la composizione della compagine societaria è talmente complessa che appare impossibile determinare i reali equilibri.

Sull’operato di SEI hanno gravato fin da subito le problematiche finanziarie delle proprie componenti maggioritarie, e l’azienda ha sempre avuto interesse a minimizzare i costi (negli anni sono state oggetto di accese vertenze le reiterazioni di contratti interinali ai dipendenti o le esternalizzazioni a cooperative); al contrario, non sembra avere altrettanto interesse ad ottimizzare laddove è automaticamente protetta dalla Tari pagata dai cittadini: ad esempio, la raccolta differenziata potrebbe avere un effetto molto migliore sui conti pubblici rispetto a quello che ha se solo SEI Toscana fosse in grado di valorizzare maggiormente il prodotto finale del riciclo. A questo proposito, l’assemblea dell’ATO ha addirittura dovuto approvare a febbraio una delibera per esortare SEI ad “aumentare la capacità di produrre ricavi dalla cessione delle frazioni differenziate recuperate”, sottolineando come in caso contrario si corra “il grave rischio di demotivare l’utenza” rispetto all’impegno richiesto dalla raccolta differenziata. Ma proprio il fatto che tutto sia comunque coperto dalla Tari senza incidere sui conti di SEI disincentiva l’azienda dall’andare in quella direzione, mostrando in ciò un significativo limite di questo tipo di gestione rispetto all’interesse pubblico.

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