TAKE FIVE. Alzi la mano chi di voi non ha mai orecchiato, canticchiato o fischiettato, almeno una volta nella vita, il tema di questo meraviglioso brano. Ogni volta che lo si ascolta la reazione è un sorriso, un’espressione di piacere sul volto. Ma quasi nessuno sa che questo pezzo iconico ha avuto come antefatto… la guerra fredda. Si perché tale conflitto non fu combattuto solo con minacce atomiche, con attività spionistica, con competizione spaziale ma anche con utilizzo della cultura e a tal proposito in America si pensò di utilizzare il jazz come vera e propria “arma segreta”.
Il Dipartimento di Stato USA sperava che, promuovendo la popolare musica americana in giro per il mondo, non solo questa avrebbe suscitato attenzione da parte del pubblico verso la cultura statunitense, ma avrebbe potuto conquistare alleati ideologicamente schierati nella guerra fredda. Così negli anni 50 e nei primi 60, inviò in giro i propri musicisti nell’Europa dell’est, nel Medio Oriente, nell’Asia Centrale in Africa e nel subcontinente indiano. Questi tour avrebbero permesso a leggende del jazz come Louis Armstrong e Dizzy Gillespie di diffondere, attraverso la loro maestria nel suonare la tromba, i valori americani negli stati di recente decolonizzazione in Africa ed Asia. Lo scopo era sempre lo stesso, tenere le derive comuniste sotto controllo ovunque fosse stato possibile. L’iniziativa fu bruscamente interrotta nel 1963 a causa dell’assassinio del presidente Kennedy.
Al Dave Brubeck quartet furono assegnati, nel 1958, 12 concerti in Polonia e prima, nel 1954 alcune date in Turchia ed è in questo paese che Dave ebbe modo di ascoltare musicisti di strada che suonavano una musica con tempi dispari. Brubeck raccontò poi testualmente: “Ero in Turchia e, a piedi, mi dirigevo a una stazione radio in cui dovevo essere intervistato. M’imbattei in un gruppo di musicisti di strada che suonavano un brano in 9/8, ma non suddiviso in 3+3+3, come di consueto, bensì in 2+2+2+3. Così mi dissi che, al ritorno a casa, avrei provato a scrivere un pezzo basandomi su quel ritmo. Ecco come nacque l’idea base”. A quel tempo il pianista californiano era già molto famoso in patria al punto che, sempre in quello stesso 1954, era stato il primo musicista jazz a ottenere l’onore della copertina della prestigiosa rivista TIME, ma questa idea di usare tempi dispari cozzò contro l’impossibilità da parte del resto della band, in modo specifico la parte ritmica, di seguirlo in questo suo modo di intendere la composizione; tutti tranne il sassofonista Paul Desmond che riusciva ad interagire con le elucubrazioni musicali di Brubeck; non che anche per lui, all’inizio, fosse stato facile capire lo spirito delle improvvisazioni del pianista. A tal proposito In un’intervista del 1953, aveva commentato così il suo primo incontro con Brubeck: “Iniziammo a provare, ma dopo un quarto d’ora ero a pezzi: avevamo prescelto un blues in si bemolle, ma al primo chorus (cioè al momento di ricominciare da capo il giro di accordi) lui prese un sol maggiore. Dato che io non conoscevo nulla della politonalità, pensai in realtà che lui fosse solo un pazzo da legare, impressione assolutamente confermata dal suo aspetto: aveva i capelli arruffati e picchiava sui tasti del pianoforte come un sioux inferocito. Mi ci volle molta pazienza e un lungo ascolto prima che iniziassi a comprendere che cosa intendesse fare”.
Brubeck e Desmond: diversi e complementari
Brubeck proveniva da solidi studi classici, aveva appreso e ben digerito dodecafonia e contrappunto mentre Desmond aveva imparato a suonare sax e clarinetto prevalentemente in casa, seguendo gli insegnamenti del padre pianista commentatore musicale di film muti.
Desmond, che in realtà si chiamava Paul Emil Breitenfeld, proveniva da una famiglia di origine morava il cui nonno era emigrato in America, era all’interno del quartetto la naturale contrapposizione nonché il completamento del pensiero musicale di Brubeck. Laureato in letteratura inglese con velleità di scrittore ma di carattere pigro cinico e autoironico, è rimasto noto oltre che per le sue qualità musicali, per le innumerevoli citazioni e autocitazioni che lo hanno accompagnato fino in punto di morte. Come autore di libri diceva di se: “Non divenni uno scrittore perché riesco a scrivere solo sulla spiaggia, e mi si riempie la macchina da scrivere di sabbia”. In ogni caso Si era dedicato, anche se molto lentamente, a scrivere un libro in cui aveva iniziato a descrivere la sua esperienza nel quartetto di Brubeck, libro che aveva un titolo spiritoso ”How many of you are in the quartet?”, cioè “Quanti di voi fanno parte del quartetto?” una domanda che i quattro si sentivano rivolgere spesso negli aeroporti dai servizi di sicurezza.
Come musicista, malgrado l’apprezzamento e l’ammirazione nei suoi confronti da parte di mostri sacri come Charlie Parker e Charles Mingus, Desmond era scarsamente considerato dai critici musicali per il suo modo di suonare che a molti appariva troppo rilassato, troppo cool. Lui ci faceva sopra dell’autoironia, a proposito della quale riportiamo alcune sue frasi: “Ho vinto parecchi premi come il più lento alto sassofonista del mondo e nel 1966 una onorificenza speciale per la tranquillità”, “Io ero già fuori moda prima ancora di essere conosciuto”; “ Ho provato ad esercitarmi per qualche settimana e come risultato ho finito per suonare troppo veloce” ; e la più famosa: “Credo di aver sempre desiderato di avere un suono simile a un Martini dry”. E su questo penso avesse pienamente ragione, dal momento che il suono del suo sax alto è secco, elegante, sensuale e vellutato come un Martini servito ben freddo. Sul segreto del suo timbro aggiungeva: “Onestamente non saprei, deve aver a che fare con il fatto che io suono illegalmente”. In una conferenza stampa, di fronte all’ennesima domanda banale sull’argomento, sarcasticamente rispose: “Io sono il sassofonista del quartetto di Dave Brubeck. Lo sono da anni. Sono entrato a farne parte nel periodo immediatamente successivo alla guerra di Crimea. Durante i concerti potete riconoscermi dal fatto che quando non suono, e mi succede molto spesso, per ragioni d’età mi appoggio al pianoforte”.
La svolta all’interno del quartetto avvenne fra il 1956 e il 58 quando entrarono a far parte del gruppo il batterista Joe Morello e il contrabbassista Eugene Wright, quest’ultimo afroamericano con una preparazione jazzistica di tutto rispetto. Gran portatore di tempo, alfiere del “walking bass”, tassello fondamentale nell’economia musicale del gruppo. Affidata a lui la funzione di dettare la direzione musicale, sostenere il discorso, essere il collante fra i membri del quartetto.
Joe Morello, era invece un italoamericano, strumentista di una modestia unica, ma anche assoluto fuoriclasse dello strumento. Un autentico virtuoso, capace di assoli mozzafiato e interazioni con il solista di turno sul suo stesso piano espressivo. Ma Joe era soprattutto un musicista, non un semplice drummer che vuole mostrare i suoi muscoli e il suo valore. E soprattutto interessato pure lui come Brubeck ai tempi dispari.
Come suona una slot machine
Durante una sessione in sala d’incisione fra la fine del 1858 e l’inizio del 1959, Morello iniziò, quasi per scherzo, a ritmare un tempo di 5/4 alla batteria e a quel punto Desmond, reduce da una infruttuosa puntata ai casinò di Reno nel Nevada, si ricordò del rumore che faceva una slot machine che gli aveva succhiato molti soldi e riprodusse al sax le note che gli suonavano ancora nelle orecchie adattandole al tempo dispari di Morello; così nacque “TAKE FIVE”.
Paul Desmond raccontò “Take Five è un rapido schizzo in 5/4 inteso soprattutto come siparietto a beneficio del pentagonistico assolo del mio batterista preferito, Joe Morello. Il contributo di Joe alla versione registrata è purtroppo assai più breve di ciò che lui stesso è capace di fare dal vivo, ma basta a rendere l’idea. Se tenere il tempo di questo brano può crearvi qualche problema – e ci può anche stare – potete sempre ricorrere alle dita di una mano (partendo dal pollice). La melodia in quanto tale è una mia invenzione tirata su in cinque minuti nel corso della seduta d’incisione, ed è formata da svariati frammenti ripescati qua e là, in particolare mentre mi trovavo davanti a una slot machine a Reno, che continuava a mangiarmi spiccioli rumoreggiando con un minaccioso 5/4. ” E non a Caso “Take Five”, per tutta la durata del pezzo, nient’altro è se non un continuo assolo di batteria su un tempo dispari..
Il pezzo fu inserito nell’album “TIME OUT” uscito nel 1959 che, inaspettatamente anche per i componenti del quartetto, ottenne un successo planetario, tanto che del 33 giri si vendettero due milioni di copie, mentre il singolo, ovviamente “TAKE FIVE”, che sulla facciata b conteneva il pezzo “BLUE RONDO’ A LA TURK”, in tempo di 9/8, omaggio di Brubeck a Mozart e a quella prima intuizione avuta in medio oriente, pubblicato all’insaputa della band, ottenne vendite per oltre un milione di copie: (di Blue Rondò a la Turk esiste una rivisitazione di Emerson Lake e Palmer in chiave progressive e in 4/4).
La maggior parte dei pezzi di “Time Out”, tutti strumentali e tutti in tempi dispari, portano la firma di Dave Brubeck, mentre “Take Five” fu attribuita a Desmond.
Desmond, timido ma dedito all’alcool, al gioco e ad insidiare le donne degli amici, morì nel 1977 poco più che cinquantenne, per un cancro ai polmoni ma, appena appresa la notizia della sua malattia, continuò col suo atteggiamento fra il cinico e l’autoironico rallegrandosi di avere un fegato in ottime condizioni: “Come nuovo, uno dei migliori fegati esistenti. È a bagno nel Dewar (una marca di whisky) e scoppia di salute”. In punto di morte ricevette in ospedale la visita di Charles Mingus che vestiva con mantello e cappello neri; Desmond si svegliò e, citando il “Settimo Sigillo”, film dove un cavaliere gioca a scacchi con la morte ammantata di nero, apostrofò Mingus dicendo: “Ok, prepara la scacchiera”
Dave Brubeck è morto nel 2012 all’età di 92 anni.
I diritti di Take Five, furono lasciati, per volontà dello stesso Desmond, alla Croce Rossa che da quel momento incassa in media 100.000 dollari all’anno, dal momento che il motivo viene puntualmente programmato sia come sigla radiotelevisiva che come jingle pubblicitario un po in tutto il mondo, Italia compresa.