La compagnia Scimone Sframeli nasce nel 1994 dalla collaborazione artistica tra i messinesi Spiro Scimone e Francesco Sframeli. Spinti dalla necessità di ricercare nuovi linguaggi, in quell’anno mettono in scena l’opera prima “Nunzio”, scritta da Scimone in dialetto messinese. Rifacendosi a questa, hanno diretto e interpretato il film “Due amici”, vincitore del leone d’oro come miglior opera prima alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2002. Padrini di Kilowatt 2021, rappresenteranno la diciannovesima edizione del festival biturgense in programma dal 16 al 24 luglio. Con lo spettacolo “Il cortile”, premio Ubu 2004 come miglior testo italiano, apriranno la manifestazione venerdì 16 ore 20:15 al teatro Dante a Sansepolcro.
Da dove nasce l’idea di dar vita al duo artistico Scimone Sframeli?
Sframeli: La nostra idea nasce dall’esigenza di raccontare delle storie in modo diverso, con della verità e attraverso un corpo ben allenato. C’era una necessità, un’urgenza, come fosse un urlo disperato. Da qui è iniziato il nostro percorso artistico.
Quali sono le principali caratteristiche che vi legano e quelle che più vi differenziano?
Scimone: ci completiamo grazie alle nostre differenze, siamo sempre alla costante ricerca di scoprire cose nuove. Pensiamo che un gruppo artistico riesce a resiste negli anni solo se c’è sincerità nel dirsi le cose. Se qualcosa non va bene, bisogna farlo notare e da lì, con la crescita, bisogna sempre trovare il modo per migliorarsi e superare le difficoltà. Quando c’è sincerità, si va avanti fino all’infinito.
In un’intervista di qualche anno fa avete detto che “il teatro è finzione, però per conquistarlo bisogna raggiungere il massimo dell’autenticità”: cosa significa?
Scimone: si tratta di trovare l’autenticità nella finzione. Non è un lavoro semplice, ma è proprio questo che il teatro ti permette di fare. Quando trovi l’autenticità raggiungi la quinta essenza e tutto diventa magico.
Sframeli: per ricercare la verità nel teatro il corpo deve raggiungere dio. Questo viaggio è stimolante e ti trasforma sia il corpo che il pensiero. L’attore, in questo lavoro, deve essere sempre in crisi, sempre curioso e attento. Deve distillare le cose belle e brutte dell’umanità. Questo fa crescere, non esiste una verità nel teatro, ma bisogna cercarla.
Quali sono le difficoltà maggiori che si possono incontrare?
Sframeli: la difficoltà maggiore è trovare corpi non adatti al teatro. Se non cerchi la bontà e non curi il tuo corpo e la tua anima, non succede niente. Il segreto è lasciarsi andare, prendersi per mano. Il prodotto finale poi arriverà, ma non si può cercare solo quello.
Com’è cambiato il vostro lavoro in questi 27 anni insieme?
Scimone: Ci deve essere un’evoluzione per tenere vivo un gruppo e farlo vibrare di energia, ma sicuramente deve esserci anche il desiderio di non ripetersi mai, mantenendo ciò che hai costruito nel tempo senza mai fermarsi. Devi cercare di costruire altro, cose diverse che possono avere punti di contatto con quello che hai fatto precedentemente.
Sframeli: La crescita avviene nel conoscersi e nello scambiarsi emozioni in un rapporto continuo. Lavoriamo tanto con i giovani cercando di trasformarci insieme: il nostro non è più un duo, ma è teatro. I giovani di oggi hanno un copro che ha paura, ma c’è del talento in giro. Il teatro appartiene al corpo dell’attore, non appartiene a tutti e non possono farlo tutti.
Dopo le chiusure forzate causa Covid, su cosa è importante puntare per la ripartenza del teatro?
Sframeli: per quanto riguarda gli attori, devono ripartire dalla propria spiritualità. Spero che in questo anno e mezzo gli attori abbiano avuto cura del proprio corpo e della propria anima. Spero che le istituzioni riescano a far ripartire bene il teatro.
Scimone: il teatro vive dei rapporti fra le persone. Questo periodo ci ha tolto la necessità di stare a contatto con le persone, ci ha allontanato, ma ora diventa importante riavvicinarsi, non più in modo tecnologico attraverso gli schermi, ma con il contatto vero. Non esiste teatro senza pubblico, ci devono essere almeno tre elementi per farlo vivere: pubblico, attore e testo. Se manca uno dei tre, soprattutto il pubblico, non è teatro perché non c’è scambio di energia.
Quale sarà il vostro contributo a Kilowatt 2021?
Scimone: faremo un laboratorio con i ragazzi, è importante perché non solo portiamo qualcosa a loro, ma saranno loro stessi a donare qualcosa a noi. Sarà un lavoro che sicuramente ci stimolerà . Questo scambio è fantastico, ci porterà a trovare qualcosa di nuovo. Lavoreremo molto sul corpo dell’attore che va oltre l’aspetto prettamente naturalista. Non è il corpo che vedi nella vita reale, si tratta di trasformarlo e innalzarlo.
Sframeli: non bisogna portarsi dietro le espressioni della vita quotidiana, è importante che l’attore ogni volta riesca a riconoscersi . È fatica e sudore. Sei giorni non bastano, ma sono fondamentali per iniziare a conoscersi. Non bisogna pensare al prodotto finale, quello arriverà, ma ci si prende per mano e ci si incammina.
Su cosa punterà Kilowatt 2021?
Scimone: secondo noi, il festival ripartirà dalla necessità di individuare quegli artisti che fanno teatro, magari anche in maniera diversa fra di loro, ma con un denominatore comune, cioè la necessità di dar vita a qualcosa.
Vi esibirete venerdì con lo spettacolo “Il cortile”: qualche anticipazione?
Sframeli: “Il cortile” vuole rappresentare la dignità degli ultimi, quelli che non hanno nulla da perdere. Sentirsi bene anche nella miseria totale, sarà raccontato il rapporto vero e sincero fra tre personaggi. È importante guardare la vita evitando la superficialità, c’è un mondo fantastico da esplorare.