Silvano Fiorucci, corsa e grinta a tutto campo

Una brillante carriera sia da calciatore che da allenatore, facendosi apprezzare in ogni squadra per passione e professionalità. Su TeverePost la prima parte della storia calcistica di Silvano Fiorucci, quella sul terreno di gioco

Silvano Fiorucci negli anni settanta e ai giorni nostri

La storia calcistica di Silvano Fiorucci è ricca di momenti importanti vissuti su e giù per l’Italia, in campo e in panchina. Per raccontarla servirebbe un libro, quindi abbiamo pensato di dividere l’intervista in due parti. In questo primo appuntamento ripercorreremo la sua carriera da giocatore, cominciata nel settore giovanile del Città di Castello, proseguita in Serie B con la Spal e sviluppatasi poi prevalentemente in Serie C e Serie D. Nella sua avventura anche la convocazione nella nazionale Under 21 guidata da Azelio Vicini per degli stage fianco a fianco con alcuni dei migliori giovani calciatori di quel periodo: da Paolo Rossi a Cabrini, passando per Giordano, Beccalossi, Galli, Collovati e Manfredonia. Silvano, tifernate “doc” classe 1957, si è messo in luce fin dai primi anni di questo percorso per le sue doti fisiche, per la sua duttilità, per la sua personalità e per un carattere forte che lo ha sempre contraddistinto. Personaggio amato e uomo di valori, che ha fatto del suo modo sincero ed appassionato di vivere il calcio un marchio di fabbrica. Sempre e comunque, come lui stesso ha raccontato a TeverePost.

Partiamo dal Silvano ragazzo che si avvicina al mondo del calcio. Cosa ricordi di quegli anni?

Che avevo tantissima passione e che sognavo calcio. Da piccolo il pallone era uno dei pochi divertimenti che avevamo. Ogni momento era buono per giocare con gli amici e andare la domenica a seguire il “mio” Città di Castello. Ero minorenne e allo stadio da solo non mi facevano entrare, quindi all’ingresso prendevo per mano un adulto che gentilmente mi accompagnava dentro e se questo non accadeva seguivo la partita dal muretto. Lanfranco Chinea, che in quegli anni era tecnico al Castello, mi vide giocare e all’insaputa dei miei feci il provino. Erano altri tempi rispetto ad oggi. Superai il provino ed iniziai la trafila nel settore giovanile tifernate. Le cose andarono bene fin da subito.

Quali le soddisfazioni principali di quel periodo?

Con gli allievi arrivammo alle fasi nazionali perdendo però al primo turno, mentre con la juniores guidata da mister Borgo, il babbo di Renato attuale allenatore del Montone, arrivammo fino alle finali giocate a Grado e ci classificammo al 3° posto. Purtroppo perdemmo in semifinale, ma quello rimane ancora oggi il migliore risultato di una squadra giovanile tifernate a livello nazionale. Io giocavo esterno destro, avevo tanta corsa e segnai anche 4 gol. Oltre a Borgo ci sono state altre importanti persone nel vivaio tifernate che mi hanno aiutato: da Gareffa al mio maestro Vitaloni, senza dimenticare il prof Polenzani. Fu una crescita veloce visto che a 15 anni andavo in ritiro con la prima squadra e che a 16 debuttai in Serie D con il Castello.

Come fu l’esordio?

Ricordo tutto come fosse ieri anche se sono passati tanti anni. Giocavamo in casa con la Pistoiese che vinse quel campionato. Perdemmo 2-0, ma io disputati una bella prestazione da difensore centrale in marcatura su Bonfanti, uno degli attaccanti più forti del periodo. In panchina c’era mister Azzali che preferiva “dosare” l’impiego dei giovani e così le domeniche seguenti feci tante panchine. La consacrazione avvenne quando al suo posto arrivò Mannucci. Andavo ancora a scuola, ma saltavo i rientri pomeridiani per allenarmi e a fine seduta il mister mi teneva con sé per delle prove tecniche. Giocai sempre più spesso e ricordo un articolo di giornale dopo una partita esterna con il Figline in cui c’era scritto “Fonsidituri costretto a fare da stopper su Fiorucci”, dato che lo anticipavo sempre e che era lui a dovermi rincorrermi. Una bella annata che mi valse la chiamata della Spal in Serie B. Vuoi sapere come andò?

Una formazione della Spal. Fiorucci è il primo in piedi a destra.

Certo.

La Spal aveva messo gli occhi su di me così come altre società blasonate tipo il Modena e mi chiamò per un provino dopo lo 0-0 in trasferta con la Pistoiese nella gara di ritorno di campionato. Azelio Renzacci, storico presidente del Città di Castello, mi portò a comprare un vestito e poi mi accompagnò con Calagreti e Azzali, rimasto in società, al provino, che terminò dopo appena 5 minuti. Pensavo fosse un brutto segnale, invece era stato Paolo Mazza, presidente della Spal, a chiedere che uscissi perché non voleva che altre società si inserissero. Avevo corsa e grinta, ero una forza della natura. All’inizio della stagione seguente andai in ritiro con la prima squadra a Nocera Umbra sotto la guida di Petagna, lo zio dell’attuale attaccante del Napoli, e mi misi in luce segnando in amichevole il primo gol della stagione della Spal. Ero uno dei pupilli del mister e le cose andavano bene, ma ero giovane e avevo nostalgia di casa e così dopo 15 giorni lasciai il ritiro. Oggi riconosco che quello fu l’errore più grande della mia carriera di calciatore perché poi rimasi fermo un anno, cosa che pagai a caro prezzo negli anni a venire.

La stagione seguente tornasti però alla Spal in Serie B e ti ritagliasti un ruolo da protagonista, vero?

Andai in ritiro e iniziai molto bene, guadagnandomi la stima di mister Guido Capello e dei compagni. Giocai tutte le partite di pre stagione e debuttai a Cagliari nella prima di campionato. Fu una grande emozione, ma direi minore rispetto all’esordio assoluto tra i grandi con il Città di Castello. Vero che ero in B, ma facendo parte della squadra mi sembrava normale. Di certo andavo forte, tanto che Ottavio Bianchi, mio compagno in quella Spal, diceva che avevo 7 marce in più. Una bella soddisfazione fu il gol che segnai contro il Rimini su lancio proprio di Bianchi che io controllai di sinistro con uno stop orientato per poi calciare di destro all’incrocio opposto, alle spalle di Franco Tancredi, allora portiere dei romagnoli. In quella stagione alla Spal successero un sacco di cose, a partire dalla mia convocazione nella nazionale Under 21 di Azelio Vicini.

Spal 1976-77. Fiorucci è il secondo da destra in piedi

Raccontaci un po’.

Alla fine della gara con il Brescia di Altobelli e Beccalossi il nostro segretario Ballico mi disse di non tornare a casa perché il martedì sarei dovuto andare al raduno con l’Under 21. Fu una grande gioia, ma mi arrabbiai un po’ perché volevo tornare a casa e da lì andare a Coverciano. Invece dovetti restare e fu Ballico che mi accompagnò. I giorni in nazionale furono meravigliosi, il top, con campioni come Paolo Rossi, Virdis, Cabrini, Beccalossi, Collovati, Fanna, Galli, Giordano, Guidolin e Manfredonia. Ci allenavamo e mangiavamo insieme, si era creato un bel rapporto con tutti e fu un altro importante step della mia crescita. Impossibile pensare che l’anno prima ero stato fermo e lo stesso Vicini non ci voleva credere. Il conto si presentò nel periodo successivo. Pagai l’inattività con una serie di fastidi muscolari che mi impedirono di giocare con continuità.

Come mai quello alla Spal fu un anno intenso?

Guido Capello fu esonerato e Ottavio Bianchi divenne allenatore-giocatore, ma non fu esperienza fortunata né per lui né per la squadra. La società cercò una nuova guida e ottenne la disponibilità di Nereo Rocco. Noi perdemmo 4-1 a Pescara e nel frattempo Rocco fu richiamato al Milan. Ovviamente tornò in rossonero e al suo posto arrivò Luis Suarez, fuoriclasse della “Grande Inter” di Herrera e che da allenatore ha avuto meno fortuna di quella che meritava. Era all’avanguardia nella gestione della rosa e con Lamberto Giorgis è stato un maestro. Particolari anche le poche settimane con in panchina Bianchi. Il sabato veniva in camera a dirci la formazione e prima delle partite con Vicenza e Atalanta mi disse che avrei giocato. Entrambe le volte mi tenne in panchina invece. Mai capita questa cosa.

Quali i giocatori più forti affrontati quando eri alla Spal?

Giocammo un’amichevole a Ferrara contro l’Inter di Mazzola e Facchetti, poi in Coppa Italia eravamo stati inseriti nel girone con Milan, Napoli e Bologna. Contro gli emiliani facemmo l’unico punto in classifica, con il Milan di Rivera perdemmo 2-0 in casa e a San Siro. Ho giocato anche contro Bettega e Anastasi della Juve e il giovane ma già fortissimo Mancini.

A fine stagione cosa accadde?

La Spal mi dette in prestito al Lecco, ma era l’anno del militare e dovevo andare all’Audace San Michele. Il Car lo feci a Portogruaro dove il Maggiore della Caserma era Memi Casarotto, presidente dello Jesolo che mi voleva portare nella sua squadra in Serie D. Poi fui trasferito a Verona, ma la caserma mi sembrava un bunker e accettai la proposta di Casarotto, giocando a Jesolo e facendo il militare a Portogruaro. Mi trovai benissimo in entrambi i casi.

Poi un quadriennio alla Paganese in Serie C. Quali i momenti più belli?

Mi presero come riserva e arrivai a Pagani a ritiro iniziato, ma mister Montefusco mi dette fiducia e io seppi sfruttare la chance. Alla prima da titolare giocai a destra nel 3-5-2 e vincemmo 5-0. Io segnai, guadagnai un rigore e giocai molto bene. Correvo tanto, ero un combattente e potevo fare più ruoli tanto che in carriera ho giocato difensore centrale, terzino, tornante, centrocampista in marcatura sull’avversario più pericoloso. Al primo anno vincemmo il campionato di C2, poi 3 anni di C1 in cui giocai sempre, l’ultima stagione con al braccio la fascia da capitano. Ho tanti amici e tanti ricordi. Adesso sono direttore tecnico del Tiferno e poco tempo fa a farci i tamponi per il coronavirus c’era un uomo che mi guardava come se mi conoscesse. Mi ha detto che era di Pagani e mi ha chiesto se ci fossimo incontrati, così io gli ho detto “può darsi visto che ho giocato 4 anni alla Paganese”. Il suo commento? “Ma certo, Fiorucci, la freccia del sud”. Altra soddisfazione nel 2002, quindi 20 anni dopo la mia ultima volta a Pagani, al play out Nocerina – Benevento con 1000 tifosi di Pagani nella curva giallorossa che mi dedicarono un coro. Tifavano Benevento e si ricordavano di me.

Fiorucci, primo da sinistra accosciato, alla Paganese

Anche i 3 anni in C1 a Casarano furono intensi?

Lamberto Giorgis mi voleva e andai rispettando la parola data. Il primo anno lottammo fino alla fine per la vittoria del campionato, ma nelle ultime partite perdemmo con la Casertana e pareggiammo 2-2 contro la Civitanovese già retrocessa. Nel Casarano ho giocato con Fulvio Navone, uno tra i calciatori più forti che ho visto e che per me avrebbe meritato una carriera top. Nel 1984-1985 vincemmo la Coppa Italia di Serie C battendo la Carrarese di Orrico. Che gioia! All’andata successo 2-0 a tavolino per noi con gara sospesa per guasto all’impianto elettrico, al ritorno gol mio e trionfo finale anche se perdemmo 2-1.

Ti ricordi quel gol?

Avanzai a sinistra e dopo essermi accentrato calciai. Il portiere respinse, ma io proseguì la corsa e arrivai per primo sulla respinta ribadendo in rete. In quella edizione della Coppa Italia segnai anche agli ottavi di finale con il Catanzaro ai calci di rigori. Sentivo troppo la tensione dal dischetto, quindi in carriera solo 3 volte ho tirato penalty, realizzando altrettanti gol però: tra i giovani nella sfida tra la rappresentativa umbra diretta da Corrado Bernicchi e quella toscana segnai a Giovanni Galli, con lo Jesolo segnai al Venezia e poi appunto al Catanzaro con la maglia del Casarano.

Casarano 1985-86. Fiorucci è il terzo da destra in piedi.

Gli ultimi anni della tua carriera?

Galatina e Celano in Serie C2, poi una stagione purtroppo poco fortunata con il Città di Castello in Serie D e sempre in Serie D l’anno dopo a Vigevano dove invece feci molto bene. Nell’ultima giornata giocavamo con il Pinerolo e si sapeva che sarebbe stata la mia ultima partita. I tifosi allora mi prepararono uno striscione in cui c’era scritto “Fiorucci rimani con noi”. Fu molto gratificante per me. L’anno dopo in Eccellenza Umbra al Torgiano giocai le ultime partite ed intanto allenavo la juniores. Ero ancora giovane, ma smisi perché volevo iniziare il mio percorso da tecnico. E anche qui di cose raccontare ce ne sarebbero.

Di questo parleremo nella seconda parte dell’intervista, domenica prossima. Nel frattempo per chiudere ti chiedo un giudizio finale sulla tua carriera da calciatore.

Sono contento di quanto ho fatto. Ho vissuto esperienze che al momento mi sembravano normali e che ora a distanza di anni mi danno grandissima gioia. Ho commesso errori, così come quando lasciai il ritiro con la Spal perché mister Petagna stravedeva per me. Se non fossi rimasto fermo un anno le cose forse sarebbero andate in maniera diversa, cosa che sarebbe potuta accadere anche quando ero a Pagani e mi cercò Santin per portarmi al Lecce in Serie B, passaggio che saltò per il suo esonero. Nessun rimpianto e molti momenti belli, come l’anno in B con la Spal, il raduno con l’under 21, gli anni da protagonista in Serie C, i gol siglati in tutte le categorie dalla Serie D alla B. Nella vita si può sempre fare meglio, ma non mi posso lamentare.

L’intervista a Silvano Fiorucci prosegue nella seconda parte, dedicata alla carriera da allenatore:

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