Pubblichiamo oggi la seconda e ultima parte dell’intervista di TeverePost a Romina Bravaccini. Nella puntata precedente abbiamo parlato del trasferimento alle Canarie, della lunga e collaborativa costruzione di una casa nella natura secondo i principi della permacultura e dell’avvio di un avventuroso viaggio a piedi con il compagno Michael e i figli Balian e Noa. Durante il quale nel mondo si è diffuso il coronavirus.
Che tipo di problemi vi ha creato?
Quando è stato annunciato il lockdown qui in Australia noi ci trovavamo in una remota comunità nel nordovest della Tasmania dove stavamo facendo volontariato. Abbiamo avuto tanta fortuna ad essere lì, perché avevamo una casa tutta per noi e invece di rimanere due settimane siamo rimasti per tutto l’isolamento. Quindi non abbiamo vissuto il coronavirus come è stato vissuto per esempio in Italia. Vedevo dalle notizie la gente girare con le mascherine, i guanti, rispettare le distanze di sicurezza, qui invece eravamo in luoghi sicuri e non ce n’è stato bisogno. A metà maggio, dopo tre mesi che eravamo in Tasmania, abbiamo deciso di comprare un volo di ritorno per l’Italia via Melbourne e Francoforte. Durante il boarding a Melbourne ci hanno negato l’imbarco perché non saremmo potuti scendere a Francoforte con passaporto italiano. Io mi ero informata, il sito della Farnesina diceva che certo non si poteva andare in giro per la Germania, ma si poteva uscire dall’aeroporto per prendere l’autobus e rientrare in Italia. Ma la compagnia aerea non ha voluto sentire ragioni e ci ha rimborsato il biglietto.
E allora cosa avete fatto?
A quel punto ci abbiamo pensato su e abbiamo deciso di non ritentare e di rimanere in Australia. In fondo non avevamo ancora visto niente e la situazione era sufficientemente tranquilla. Il giorno dopo abbiamo chiesto l’estensione del visto per sei mesi ma è tutto fermo, comunque siamo ancora qui legalmente grazie a un bridging visa. Adesso penso che rimarremo per altri sei mesi e poi vedremo come si sviluppa la situazione.
Consiglieresti un’esperienza come quella del vostro viaggio?
Un mese fa circa abbiamo festeggiato un anno di viaggio a casa di Isabelle Barciulli a Sydney, ci siamo incontrati con un’altra “valtiberina nel mondo”! Ecco, in questo anno ci sono successe esperienze meravigliose, ci sarebbe proprio da scriverci un libro: ogni giorno è qualcosa di nuovo, si vive il momento e poi facciamo un po’ il riassunto di quello che ci è capitato, per condividere quello che abbiamo imparato di nuovo. Avrei tantissimi aneddoti da raccontare, esperienze che ti aprono il cuore. Mi ricordo soprattutto della Turchia, un Paese che mi ha emozionato per l’ospitalità, la grande umanità che c’è tra la gente, la voglia di condividere, la voglia di aiutare. Un giorno siamo arrivati in una spiaggia alla fine di un cammino. Era molto bella e abbiamo pensato di fermarci per due o tre giorni. Presto hanno cominciato ad arrivare molte persone, penso fosse un giorno di festa in Turchia, ed erano tutti incuriositi da noi che eravamo stranieri, poi con questi bambini, con gli zaini… Si avvicinavano, facevano domande, siamo diventati come il presepe vivente, hanno iniziato chi a portarci acqua, chi l’avanzo del barbecue, chi è andato apposta a comprarci verdure. Siamo rimasti in questa spiaggia una settimana per finire le provviste, e questo tipo di esperienza l’abbiamo vissuta più volte, tante volte ci è successo di incontrare gente che ci ha riempito gli zaini di cibo. C’è stato un altro momento in cui ci siamo dovuti nascondere tra le grotte della Cappadocia per poter finire le provviste, perché appena ci vedevano, appena conoscevamo qualcuno, ci riempivano di cose.
Tanta ospitalità e tanto calore, insomma, che spesso sono tra le cose che più colpiscono e restano dentro quando si viaggia.
Da poco ho trovato una frase in un libro che riassume quello che io sento del viaggio, diceva che il viaggio non ti porta a scoprire nuovi posti ma ad avere nuovi occhi. Ecco, questo è quello che io sento quando viaggio. Abbiamo condiviso risate e pianti, non di dolore ma di gioia e di emozione per aver conosciuto persone che probabilmente non rivedremo più. Quello che a me rimane non è tanto l’immagine del posto, del luogo, dell’ambiente, ma è l’immagine delle persone che fanno questo ambiente. È bellissimo, mi sto emozionando proprio adesso mentre te lo dico! È per questo che è un’esperienza che consiglio a tutti, per abbattere questi muri di pregiudizio, di paura del diverso, per scoprire che il diverso non ti chiude le porte in faccia ma ti aspetta a braccia aperte. E se viaggi con i bambini, be’, è incredibile la forza che hanno i bambini ed è incredibile quante porte ti aprono. Poi in quest’avventura non c’è solo la bontà della gente, ma anche la bontà dell’universo. Molto spesso abbiamo proprio mentalizzato quello che volevamo in certe situazioni difficili e ci è arrivato, per cui penso che questo potere ce l’abbiamo, l’universo un po’ ci guarda. Non tutto si può pianificare, bisogna un po’ anche fluire, lasciarsi andare, trasportare da quello che viene.
Cosa serve a chi vuole provare un tipo di viaggio come questo?
Innanzitutto un buon paio di scarpe. E poi rispetto, per la natura, per sé stessi e per gli altri. Si devono studiare i percorsi ed essere preparati. Soprattutto nel momento in cui si sceglie di fare un tragitto di più giorni bisogna scegliere bene le cose da portare e le cose da non portare, considerare la variabilità del tempo, considerare la presenza di corsi d’acqua per rifocillarsi e anche per fare una bella doccia dopo una giornata di cammino. Essere responsabili e non strafare. È un’esperienza che consiglio ma non è per tutti, c’è da considerare il fatto che ci sono da fare certe rinunce. Per esempio viaggiando ultraleggeri noi abbiamo optato per un solo cambio di vestiti, questa già è una grande rinuncia per una persona, e non si dorme quasi mai in un letto morbido. Però dietro queste rinunce bisogna vedere il rovescio della medaglia: quello che guadagni dall’esperienza è molto più di quello che perdi. Camminare può essere duro, ma dove ti porta il cammino non ti ci porterà mai la macchina e neanche la bicicletta, per cui i posti dove arrivi sono posti unici che altrimenti non potresti vedere. Una piccola nota riguardo al cambio di vestito, tanti mi domandano: “Ma come fai, non ti lavi”? Certo, tutte le sere arrivavamo vicino a un corso d’acqua o vicino a una fonte o a una fontanella, ognuno si lavava il proprio paio di mutande, poi tante volte mi è capitato di lavare i panni al fiume. Mentre adesso, da quando stiamo viaggiando con Workaway, facendo cioè volontariato nelle famiglie, non abbiamo più il problema della lavatrice.
Come immagini il vostro futuro?
Intanto, per adesso sono contenta di essere rimasta in Australia perché se ce ne fossimo andati chissà quando avremmo avuto l’occasione di poter tornare, visto che a quanto dicono le cose non si stabilizzeranno fino almeno al 2023. Poi io cerco sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno, anche riguardo al coronavirus.
In che senso?
A parte i morti che purtroppo ha causato, cerco anche di trovare il lato positivo. Noi abbiamo avuto tanta fortuna, ci siamo sempre trovati in posti sicuri e ospitali, ma in generale penso che questa sia stata anche l’occasione un po’ per tutti per stare con sé stessi e ripensare alla propria vita. E penso che, almeno all’inizio, sia stato anche per l’ambiente un momento per poter tirare un sospiro di sollievo, con il blocco dei voli e del traffico. Era qualcosa di cui il pianeta aveva bisogno. Continuiamo a pensare di essere superiori ma siamo una specie animale come le altre e bisogna avere rispetto per la Madre Terra. Invece continuiamo a mancarle di rispetto, e questo è un po’ lo schiaffo che ci viene contro. Del resto credo che non ci sarà solo il coronavirus da affrontare nel futuro, ci saranno tante altre emergenze e una c’è già da anni, il cambio climatico, di cui probabilmente anche il coronavirus è una conseguenza. Bisogna agire già adesso, è da tanto che ce lo dicono però ora non si può più aspettare che le cose cambino dall’alto. Anzi, non ci si può mai aspettare che le cose cambino dall’alto, non credo più tanto alla politica, penso che il cambiamento che vogliamo vedere per il futuro dobbiamo farlo noi stessi. Noi dobbiamo essere il cambiamento, dobbiamo renderci responsabili delle nostre scelte, del nostro stile di vita, per poter creare delle condizioni migliori per un futuro più in armonia con la natura.
E tornando al vostro futuro prossimo?
Be’, facendo questa esperienza di volontariato ci è capitato spesso di ricevere lavori proprio perché abbiamo ormai acquisito, soprattutto il mio compagno, una certa professionalità, una certa maestria, in particolare nel campo delle energie rinnovabili. Viaggiamo più che altro tra comunità che stanno cercando di realizzare percorsi diversi, e ci piacerebbe continuare a partecipare alla realizzazione di certi tipi di comunità, certi tipi di vita alternativa, soprattutto nella parte organizzativa e progettuale. A me personalmente piacerebbe inoltre continuare ad insegnare yoga. E un’altra cosa che è un po’ il mio sogno è comprare un pulmino con cui viaggiare tra i vari festival e mercatini vendendo le mie creazioni in macramè, perché sono anche un’artigiana di macramè. Penso che si possa benissimo far coincidere tutti questi desideri. Invece non vedo un futuro in Italia, almeno per il momento. Il nostro nido sono le Canarie, la nostra casa è a Gran Canaria, l’abbiamo costruita noi e lì c’è il nostro cuore. Però da lì ci piacerebbe continuare a muoverci come stiamo facendo adesso.
A proposito di Italia, ogni quanto tempo torni in Valtiberina?
Normalmente torniamo in Italia una volta all’anno, quindi una volta all’anno torno anche in Valtiberina. Non penso che tornerò a viverci, me la sento un po’ troppo stretta, l’ho sempre sentita troppo stretta, però non chiudo le porte a niente, mai dire mai. E in Valtiberina ho i miei affetti, i miei parenti, tanti amici.
Cosa ti manca di più?
Mi manca la mamma, la mamma è sempre la mamma! A volte combatto con questo sentimento di aver dato un po’ di delusione alla mia famiglia, nel senso che non sono lì, non cresco lì i miei figli, sono lontano da casa. Per mia mamma specialmente, ma anche per mio papà, è un po’ una sofferenza, sono diventati nonni e non possono godersi i nipoti. Però d’altro canto penso che siano molto orgogliosi di quello che sto facendo, di come sto crescendo i miei figli, mi appoggiano molto. Quando torniamo in Italia spesso lasciamo i bambini un po’ dai miei e un po’ dai miei suoceri in Alto Adige, così noi possiamo godere di un po’ di tempo da soli e i nonni possono godere dei loro nipoti. E i bimbi di tutto quello che i nonni possono dare e anche dell’ambiente. In questo modo possono riscoprire le mie radici e le radici del papà. Ah, un’altra cosa che mi manca è la pizza, appena arriviamo in Italia mi vado sempre a mangiare una pizza. E la cucina in generale: c’è da dire che la cucina italiana è imbattibile!
Naturalmente.
Mi sembra di aver parlato tantissimo però ci sono anche tantissime cose che ancora sentirei di voler dire…
Diciamone ancora una, allora.
Prima di partire per il viaggio abbiamo partecipato a una conferenza a cui era invitata una famiglia che da 18 anni viaggia per il mondo, si chiama famiglia Zapp, sono abbastanza famosi. Loro sono partiti in macchina appena sposati e durante il viaggio sono nati i loro quattro figli in quattro diverse parti del mondo. Durante questa conferenza hanno detto una cosa secondo me molto toccante: quando parlavano dei sogni, dei desideri, hanno detto che arriviamo in questo mondo con un biglietto in fondo al quale, molto piccolo, c’è scritto che è un biglietto di sola andata. Molto spesso non ci si pensa, ma come spendiamo questo biglietto dipende solo da noi stessi.
Leggi anche la prima parte dell’intervista a Romina Bravaccini.