L’epidemia raccontata attraverso le statistiche: intervista al professor Roberto Pancrazi

Docente all’Università di Warwick, Pancrazi pubblica ogni giorno sulla sua pagina facebook i suoi studi sull’andamento dell’epidemia in Italia

D​a qualche tempo numeri, statistiche e dati sono entrati di prepotenza nella nostra quotidianità. Nell’epoca del Covid-19, tutto passa inevitabilmente da loro.

Quanti nuovi contagiati ci sono stati oggi? E i guariti? Quante persone hanno perso la vita? Come si sta evolvendo l’epidemia? Sono queste le principali domande sulle quali i ricercatori e gli esperti di statistica di tutto il mondo stanno basando le loro accurate attività di analisi. Fra di loro vi è anche un nostro brillante concittadino, il professor Roberto Pancrazi.

Classe ’79, biturgense doc, Pancrazi si è laureato in Statistica all’Università di Firenze ed ha conseguito il dottorato alla Duke University negli Stati Uniti. Dal 2012 è docente alla University of Warwick nel Regno Unito, dove vive assieme alla famiglia.

Dal mese scorso, ha deciso di mettere le sue conoscenze al servizio dell’emergenza coronavirus. Questo, per offrire una mano ai cittadini a comprendere le reali dinamiche dell’epidemia e a contrastare scientificamente le innumerevoli teorie più o meno attendibili che si stanno costruendo attorno al suo andamento.

Al pari del bollettino quotidiano della Protezione Civile, il suo post Facebook delle 19:00 circa è diventato una sorta di appuntamento fisso per tantissimi valtiberini ed altre centinaia di utenti.

Come e quando è nata questa sua iniziativa di raccolta dati?

Intorno ai primi di marzo. I numeri dei contagiati erano sempre più alti. Si passava da un +800 a un +1200 e un mio amico, su WhatsApp, mi chiese “per te quanto durerà?”. Ovviamente non avevo una risposta, perchè quei numeri, da soli, non potevano dirmi più di tanto. Per capire come interpretarli, mi sono documentato un po’ su quella che è stata l’esperienza cinese, e in particolar modo su quali modelli statistici erano stati utilizzati per analizzare l’epidemia. Una volta individuati, ho voluto applicarli all’Italia condividendo il modo in cui, attraverso il modello, avrei interpretato i dati giorno dopo giorno.”

Immagino quindi che non abbia mai fatto qualcosa del genere in passato.

No, non avevo fatto niente di simile; pur usando costantemente modelli matematico-statistici nel mio lavoro, non li avevo mai utilizzati per un’analisi giornaliera di un fenomeno, né tantomeno condivisi sui social, non essendone un grande frequentatore.

Per chi ha difficoltà a comprenderne le dinamiche, cosa permette di ottenere questo studio?

Fornisce uno struttura per interpretare i dati che ci vengono forniti quotidianamente. Solo attraverso la lente di un modello epidemiologico, che descrive l’andamento naturale dell’epidemia, possiamo capire se un dato è particolarmente positivo e negativo. Altrimenti non avremmo alcun riferimento e un +4000 vorrebbe dire davvero poco.

Quali sono stati i risultati più sorprendenti – in positivo e in negativo – riscontrati in queste settimane?

In positivo è sicuramente il fatto che il centro-sud, almeno per il momento e facendo tutti gli scongiuri, ha evitato la catastrofe del nord. Sicuramente ha giovato il fatto che le maggiori restrizioni sono avvenute quando l’epidemia era ancora nella fase iniziale nel centro-sud. In negativo è la mancanza di dati pubblici dettagliati e puliti, che rende il lavoro molto più difficile. Sono sicuro che aver avuto accesso a tutti i dati registrati avrebbe aiutato molto nelle analisi.

Vive e lavora in Regno Unito. Com’è la situazione là? Cosa pensa delle strategie adottate da Boris Johnson?

In UK siamo indietro di un paio di settimane rispetto all’Italia, per cui credo che la situazione debba ancora peggiorare prima di migliorare. Su Johnson c’è poco da dire: se avesse agito subito nell’unico modo sensato avrebbe guadagnato molto tempo e messo meno in difficoltà il sistema sanitario.

Quali sono secondo lei le principali differenze tra la situazione inglese e quella italiana?

L’Italia ha avuto la sfortuna di mettere in evidenza agli altri paesi come la situazione si sarebbe evoluta, se non si fosse intervenuti. In pochissimi avrebbero pensato che quanto accaduto in Cina si potesse ripetere in Europa, ma dopo il caos in Lombardia è divenuto lampante. Per cui, in termini relativi, c’è stata un po’ più di attenzione qui, anche se non quanto era necessaria.

Le andrebbe di fare un pronostico su quand’è che potremo tornare a vivere in modo ‘quasi normale’, in Italia e non solo?

Difficile da dire. Con i dati odierni credo che verso metà/fine aprile si arrivi ad uno stadio dell’epidemia in cui sarà molto contenuta. A quel momento, forse, si potrebbe considerare di muovere alcuni piccoli passi verso la normalizzazione della vita. Ma sarà importante vedere il continuo miglioramento giorno dopo giorno fino a metà aprile.

Tutti gli studi del professor Pancrazi sull’andamento del Covid-19 sono disponibili sul suo sito www.robertopancrazi.com.

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