Ieri sera è andato in atto, in videoconferenza, durante il consiglio comunale, un dibattito su un Atto d’indirizzo presentato dal Gruppo Consiliare Lega Nord sul “DDL ZAN che riguarda le misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. L’Atto di indirizzo, molto tecnicistico e respinto a maggioranza, chiedeva “una ferma opposizione all’approvazione di una legge che risulterebbe liberticida, perché andrebbe a violare la libertà di pensiero, la libertà di parola, la libertà di opinione, la libertà di associazione, la libertà di stampa, la libertà di educazione, la libertà di insegnamento e la libertà religiosa”.
Il dibattito si è sviluppato per lo più su aspetti riguardanti la natura giuridica del decreto, eludendo gli aspetti politici e culturali. Come dire: si è persa l’occasione per dibattere del nostro modello sociale connotato dai pregiudizi e dagli stereotipi.
Premesso che in un modello sociale caratterizzato dalla tolleranza intesa non come semplice accettazione della diversità (il termine accettazione è spesso sotteso a una percezione di sopportazione), ma rispetto della diversità, un decreto siffatto non avrebbe avuto modo di sussistere: e che, d’altra parte, forzare con un decreto un modello sociale frutto di un antico retaggio culturale sia del tutto inutile, se non controproducente, cerco di elaborare una breve analisi sulle paure di coloro che lo osteggiano.
Non credo che la paura del diverso, sia che la diversità riguardi il colore della pelle, il credo religioso o l’orientamento sessuale, palesata da alcune forze politiche come la Lega sulla spinta emozionale di alcuni settori della nostra società, sia solo il frutto di cattiveria e poca umanità. Non lo penso affatto. Credo che questo atteggiamento, invece, risenta del modo in cui funziona la mente umana che, cercando di difendersi dal mondo esterno, crea un meccanismo spontaneo di categorizzazione che permette, attraverso l’elaborazione di informazioni provenienti dall’ambiente esterno, di suddividere oggetti, eventi e persone in categorie mentali. E, se tale processo da un lato è fondamentale, perché il senso di appartenenza ad un gruppo omogeneo permette di costruire la propria identità e ridurre l’incertezza, dall’altro comporta relazioni conflittuali o di discriminazione verso gruppi differenti, i quali vengono visti come pericolosi o da evitare. Va da sé che la categorizzazione sociale è il processo che sta alla base della formazione del pregiudizio, dominato dall’abbondante uso di stereotipi.
Inoltre, la paura del diverso oltre, a riguardare una categorizzazione mentale, rappresenta, come premesso, una modalità difensiva che implica l’attivazione di una abbondante quantità di ansia derivante dalla minaccia che qualcosa di esterno e differente da sé possa mutare l’equilibrio interno e la propria identità sociale.
Tuttavia credo anche che il dato di fatto per cui i nostri meccanismi mentali ci portano ad avere timore della diversità e ad evitarla, non deve essere una giustificazione alla discriminazione e al disprezzo.
La colpa più grave di alcuni schieramenti politici è quella di condizionare la condotta sociale di settori della società rinfocolando i processi mentali di categorizzazione e di difesa ai fini della convergenza del consenso. A parer mio questo è un atteggiamento miope che ha provocato disastri sia in ambito politico che in ambito sociale.
Tra gli argomenti di quelli che osteggiano il decreto, denotando una certa preoccupazione, è rilevante la presa di posizione della CEI, improntata sul fatto che, come testè riportato sul documento prodotto, “ rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, …. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non a duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione.”…
Mi chiedo come possa coinvolgere e danneggiare l’organizzazione della famiglia un decreto che, seppure forzato non nel merito ma nel metodo, unicamente e banalmente amplia la platea dei soggetti discriminati vittime di intolleranza!
Con buona pace di tutti il concetto di famiglia ha solide basi antropologiche, pur nella diversità dei costumi dei popoli antichi, all’interno della cornice dell’evoluzionismo sociale rispetto ai meccanismi della procreazione. E per procreare, e dare continuità alla specie umana (homo sapiens sapiens, anche se ho molte perplessità sulla definizione), occorrono individui di sesso diverso.
Elementare Watson!
La diversità degli orientamenti sessuali era ben nota nei popoli antichi. Tantissimi documenti babilonesi, assiri, egiziani, dell’antica Grecia, israeliti, dell’antica Roma, etc., ci attestano come l’omosessualità fosse una pratica diffusa e tollerata. Ciò nonostante, questa circostanza non ha minimamente intaccato le basi antropologiche della famiglia e della continuità della specie umana.
Al contrario, penso che essere consapevoli di questo, ci permetterebbe di contenere determinati meccanismi mentali e di avere una flessibilità tale attraverso cui riconoscere le situazioni in cui la diversità non è un qualcosa di dannoso di cui aver paura, ma è invece un “mondo nuovo” da scoprire, a cui è possibile avvicinarsi con curiosità, confronto e vera tolleranza.
Ad maiora semper
Consigliere Giuseppe Torrisi