È stata celebrata oggi la Giornata di commemorazione dei fatti di Renicci, istituita nel 2018 dal Consiglio comunale di Anghiari individuando la data del 10 ottobre, il giorno del 1942 in cui arrivò il primo convoglio di deportati che sarebbero stati imprigionati nel locale campo di internamento fascista. Questa ricorrenza è andata a sostituire quella in cui precedentemente si teneva la cerimonia, cioè il 27 gennaio, Giornata della Memoria. L’evento si è svolto in piazza IV Novembre, che è stata scelta sia per ridurre il rischio di assembramenti che si sarebbero potuti verificare al Parco della Memoria, sia per per valorizzare uno spazio, quello antistante il Teatro, riqualificato di recente con gli interventi di ristrutturazione a Palazzo Corsi, simbolicamente inaugurato proprio stamani con il taglio del nastro da parte del sindaco Alessandro Polcri.
Oltre a quello del primo cittadino, l’appuntamento di oggi ha visto l’intervento dello storico Giorgio Sacchetti, che sul campo di internamento anghiarese ha promosso un importante convegno che si è svolto lo scorso anno e la costituzione di un Centro di studi internazionali. “Renicci è un paradigma del Novecento”, ha detto Sacchetti, “perché ci dimostra che la banalità del male è un qualcosa di strutturale nella società, e ci dimostra che, caduta la dittatura fascista, alcune questioni sono rimaste irrisolte, come quella dell’internamento degli slavi e degli anarchici a Renicci”. Lo storico ha poi spiegato che “da Renicci sono passate almeno 10.000 persone, quindi questo luogo costituisce un crocevia di storie di vita che dobbiamo conoscere, anche perché molti hanno curricula incredibili, che comprendono guerra di Spagna, carcere, esilio. Il lavoro che abbiamo fatto finora, che è ancora pochissimo”, ha detto, “è stato quello di individuare e pubblicare le biografie di 150 di queste persone, soprattutto italiani, anarchici e comunisti dissidenti, ma abbiamo intenzione di continuare con gli slavi, che erano per la maggior parte sloveni ma anche di altre nazionalità. E che hanno vissuto l’esperienza terribile di un campo”, ha aggiunto, “che non era propriamente di sterminio ma che di fatto, per i maltrattamenti, si poneva come tale, perché lì si moriva”.
Sacchetti ha poi posto l’accento sull’importanza di portare avanti, accanto all’attività di ricerca e alla pubblicazione di studi sulla vicenda di Renicci, lo sviluppo della public history, quell’approccio cioè che “richiede anch’esso un metodo scientifico nell’uso delle fonti ma che in più deve avere la capacità della narrazione, che non tutti noi storici abbiamo. Significa saper narrare un evento e suscitare le emozioni”. E proprio in questa direzione è andata la performance coordinata da Andrea Merendelli, che l’ha interpretata con Andrea Valbonetti, Fabrizio Mariotti e Rossano Ghignoni. Sono stati così letti testi tratti dai terribili ordini dei generali italiani in Slovenia e dai racconti degli stessi internati o dei testimoni diretti, come Odilio Goretti, poi fondatore del Museo della Resistenza di Sansepolcro. Particolarmente toccante il momento del canto Non c’è stata la dittatura, non c’è stata nessuna guerra, accompagnato alla tromba da Cesare Chieli, direttore della Filarmonica Pietro Mascagni. Che ha partecipato all’evento di oggi in una veste rinnovata anche nel vero senso della parola, visto che i musicisti hanno sfoggiato le nuove divise realizzate di recente richiamando l’uniforme tradizionale della banda di Anghiari.