In vista della consultazione referendaria del 20 e 21 settembre prossimo, TeverePost ha deciso di intervistare personalità del territorio a sostegno delle tesi del sì e del no. Il primo interlocutore a favore della riforma è Franco Mollicchi. Militante sindacale e politico di lunga data, ex consigliere comunale a Sansepolcro, è oggi un esponente del Partito Democratico.
Perché votare sì?
Ho maturato la decisione di votare sì perché ogni elezioni è un dato politico. Attraverso il voto i cittadini esprimono il consenso su di un progetto e su degli obiettivi, e questo è un fatto politico. Uno dei compiti della politica è organizzare il consenso per raggiungere degli obiettivi. Poi ho maturato anche questa convinzione: ogni volta che si tende ad introdurre elementi di novità nel nostro sistema istituzionale – che come è riconosciuto da tutti ha bisogno di aggiustamenti – si crea un’alleanza che copre tutto l’arco costituzionale per dire di no. Io penso che l’Italia debba iniziare a ragionare nello spirito del cambiamento, che è uno degli elementi fondanti di questa società.
Ma con una riduzione del numero dei parlamentari non si rischia una contrazione della rappresentanza per i cittadini e i territori?
La riduzione dei parlamentari in sé non risolve i problemi, è un segno politico, ma occorrono una serie di riforme. L’accordo per la riduzione dei parlamentari è elemento fondante per la costruzione del Governo Conte II: il PD era contrario a questa operazione e chiede in cambio la riforma della legge elettorale e dei regolamenti parlamentari e tutta una serie di passaggi successivi che devono portare ad un aggiustamento per la rappresentanza. D’altra parte la società moderna si deve porre il problema della democrazia di oggi. Se cioè la rappresentanza è solo all’interno del Parlamento o delle istituzioni elette oppure se ci sono anche altri momenti di rappresentanza che incidono sulle scelte che riguardano l’interesse generale. Ci sono i corpi intermedi, ci sono le associazioni, ci sono i movimenti culturali, ci sono i grandi e piccoli giornali. È compito della politica tenere insieme i vari meccanismi della rappresentanza, e questo si fa solo con i partiti, solo che si ha paura a dirlo: solo un vecchio socialista come me può dire che i partiti sono fondamentali e necessari. E se i partiti non recuperano questo ruolo la rappresentanza sarà sempre monca. Poi si apre il problema del quadro politico nei confronti di questo referendum.
Cioè?
Si sta organizzando un appuntamento elettorale che è micidiale per il quadro politico nazionale. Si vogliono utilizzare questi voti per far saltare il Governo. È legittimo, però è bene che si sappia e che si dica. Dopo lunghi periodi di grande incertezza noi oggi abbiamo la possibilità di costruire due schieramenti. Quello di centrodestra è costruito, litigano ma è lì. Quello di centrosinistra è in via di costruzione e lo può costruire solo un recupero complessivo della galassia della sinistra – perché ci sono milioni di voti che non confluiscono nella sinistra riformista – e i 5 Stelle, che possono essere una parte della costruzione di un centrosinistra. Una vittoria del no avrebbe gli effetti che ha avuto su Renzi il referendum del 2016, perché secondo me salterebbe il quadro politico, i partiti non riuscirebbero a gestire la situazione e allora si chiuderebbe la strada, per un lungo periodo, a costruire i due schieramenti. Dal mio punto di vista si creerebbe quindi un centro potente fatto dai tecnocrati, dai finanzieri e dalla grande industria, e attorno a questo centro dovrebbero girare tutti gli altri. Questo non è foriero di garanzia dei diritti fondamentali e di benessere per tutti.
Ma allora perché all’interno del PD molti non si esprimono a favore del referendum?
Perché il PD è un partito che ancora non ha trovato la sua ragion d’essere in termini di visione ideologica della società. È chiaro che se ci si sta per convenienze personali si cerca di distinguersi. Perché non si sta dentro un meccanismo condiviso dove ci tiene uniti l’obiettivo.
Tornando alla rappresentatività, un Parlamento meno numeroso significa anche più difficoltà ad entrarvi per le forze minori. Per chi punta al bipolarismo può essere positivo, ma si escludono molti elettori e molte sensibilità.
Non può essere influente il numero, il problema è la qualità di quello che vogliamo rappresentare, ma non in termini di valori personali, bensì di qualità della capacità della rappresentanza. E allora dobbiamo modificare la legge elettorale. L’abbiamo detto, è fondamentale, perché se non si modifica la legge elettorale è una tragedia.
Però intanto si tagliano i parlamentari, poi vedremo…
Il PD ancora non ha riscosso nulla, ma questo è un problema di chi ha fatto il patto. Il PD rispetta la sua parte, perché bisogna tornare anche a riaffermare il valore della parola data.
Come dovrà essere la legge elettorale?
Si deve puntare al superamento dei collegi regionali per l’assegnazione dei seggi al Senato, visto che il problema si pone soprattutto al Senato, e quindi collegio unico nazionale o quello che tecnicamente sarà più adatto; diritti di tribuna, perché si possono istituire anche dei diritti di tribuna; sostegno ai gruppi parlamentari più piccoli, anche con risorse. Però c’è anche da dire che non si può utilizzare la rappresentanza per garantire un lavoro al parlamentare, la sua sistemazione sociale. Bisogna trovare aggregazioni e numeri che consentano al Parlamento di funzionare.
Qual è la sensazione sull’esito del referendum?
I pronostici sono sempre incerti anche perché queste elezioni si giocano nell’ultima settimana. Io sono molto preoccupato perché vedo schierati i grandi poteri, i poteri forti. Purtroppo di forte non c’è niente in Italia, però vedo schierati tutti i gruppi di interesse che hanno tutto da guadagnare a non modificare mai niente.