Docente di diritto in pensione, Mario Menichella è stato assessore a sanità e sociale a Sansepolcro nella legislatura 2006-2011 con il sindaco Franco Polcri e capogruppo consiliare di Forza Italia nel quinquennio successivo. Lasciato il partito, oggi continua ad interessarsi alla politica locale collaborando con il gruppo Cittadini per Sansepolcro. TeverePost lo ha sentito nell’ambito del ciclo di interviste a personalità del territorio sul tema del referendum costituzionale del 20 e 21 settembre.
Perché votare no?
In termini generali le ragioni che orientano il voto in questo referendum sono di natura diversa, si va da questioni strettamente attuali legate ai rapporti politici tra maggioranza e opposizione e ai dibattiti e contrasti in seno alla maggioranza, fino a ragioni politico-costituzionali e poi, approfondendo, a ragioni di carattere storico-culturale e anche educativo. Questo può sembrare strano, però più la persona è informata, è educata, anche nel senso di assunzione di responsabilità dirette, meno dà credito a soluzioni semplicistiche e comunque riduttive in una società che invece sappiamo essere molto complessa. Mentre per ragioni storiche intendo che dagli anni novanta si assiste a una demolizione della politica. I partiti della prima repubblica hanno gravi responsabilità, ma in una democrazia i partiti sono insostituibili, e invece hanno prevalso altri poteri e burocrazia. E la voce della politica che dovrebbe essere più pura, quella parlamentare, è stata schiacciata dal potere esecutivo, dal Governo. C’è poi la questione della rappresentanza: con il taglio si va ad alterare significativamente la proporzione tra gli eletti e gli elettori da rappresentare.
Uno degli argomenti del sì è che la riforma permette di tagliare i “costi della politica”.
I costi veri sono causati dalla burocrazia parlamentare, è quella che costa veramente parecchio, il risparmio di 80 o 90 milioni all’anno non risolve il problema. Se il ragionamento è questo allora togliamo i referendum, che costano molto di più. Questo fa parte del polverone che serve a nascondere a livello di informazione problemi più gravi. Per esempio secondo me avremmo già dovuto in passato accettare il finanziamento del Mes: un prestito a condizioni più favorevoli di altri, grazie a cui poter intervenire sulla sanità e sulle questioni direttamente e indirettamente connesse alla pandemia, su cui ci sono lamentele quotidiane. Che venga controllato come si spendano i soldi non è una limitazione della sovranità, è un normale rapporto tra debitore e creditore. Ecco, quindi quando hanno fatto la polemica su quattro parlamentari che hanno preso per due mesi 600 euro, va bene tutto, si può disprezzare, si può dire che sia vergognoso, anche se io non sono per questo scandalismo, ma serve solo a creare confusione e nascondere altre questioni, che sono anche problemi di conflitto. Il Movimento 5 Stelle con il referendum vuole salvare in parte la sua battaglia contro lo sperpero, mentre sul Mes vorrebbe salvare la posizione che aveva col Governo precedente, un po’ antieuropea, un po’ populista. Hanno ancora questa bandierina come la Lega, con qualche eccezione, e Fratelli d’Italia e forse anche alcuni ambiti di Forza Italia. Parlano di sovranità nazionale, ma cosa significa oggi? Va ridefinito tutto, la sovranità l’acquisiremo quando rimetteremo a posto il Paese noi, perché i problemi sono nostri, vedi la magistratura, le infrastrutture, la scuola.
Un minor numero di deputati e senatori può garantire uno snellimento delle procedure e un miglior funzionamento del Parlamento?
La Costituzione è un sistema complesso, non puoi intervenire su un pezzo solo e pensare che vada tutto meglio. Al precedente referendum ho votato sì a una riforma che aveva mille difetti ma almeno era un tentativo di intervento complessivo. I punti fondamentali sono il bicameralismo perfetto (va eliminato l’attuale sistema che prevede due camere identiche e con le stesse competenze) e la struttura partito. Noi dovremmo avere dei partiti che elaborano effettivamente progetti e programmi con una discussione collettiva, com’era una volta, con tutti i limiti che c’erano. Cose come la piattaforma Rousseau, senza essere offensivi, non possono sostituire una struttura come quella di un partito. Ma oggi c’è una persona, un leader, che utilizza il partito periodicamente perché ci sono le elezioni, non c’è una partecipazione vera. In questa situazione la riduzione del numero dei parlamentari rafforzerebbe il potere del leader e dei vertici dei partiti di nominare di fatto i candidati e i futuri parlamentari, mentre andrebbero reintrodotte le preferenze al posto delle liste bloccate. La riduzione dei parlamentari la puoi fare, ma la devi inserire in un contesto, devi capire quali sono le conseguenze. Per esempio per l’elezione del Presidente della Repubblica non cambia il numero dei rappresentanti delle Regioni, che quindi in proporzione incideranno molto di più. Può essere positivo, può essere negativo, ma lo sappiamo? Ci abbiamo ragionato? Tra l’altro la rappresentanza delle Regioni è falsata perché riguarda solo i partiti maggiori, le minoranze non sono rappresentate. I problemi sono complessi.
Quale sarà l’esito del referendum?
Penso vinceranno i sì, ma l’importante è che non sia una Caporetto per i no, che ci sia questa voce, per il dibattito politico. Anche Zingaretti ha deciso di ribadire il sì perché è alla base dell’accordo di Governo e quindi bisogna sostenere Conte. Non so se sia giusto o no in questo momento perché non si sa quali siano le alternative. Io comunque avrei rinviato le elezioni: per esempio dove ci sono le regionali ci saranno più voti al referendum, poi è assurdo che si riaprano le scuole e due giorni dopo si richiudano. E in emergenza forse era il caso di mantenere fino a marzo i governatori che hanno affrontato l’epidemia, a fronte delle scelte immediate da fare. Ma si torna al discorso del consenso e della demagogia che c’è dietro questo referendum.