Nella serie di interviste a personalità locali sul tema del referendum costituzionale in programma il 20 e 21 settembre, in concomitanza con le elezioni regionali, TeverePost ha incontrato l’avvocato Giacomo Moretti. Consigliere comunale di maggioranza ad Anghiari per due legislature, ha avuto un ruolo attivo su temi referendari già nel 2011, quando fu tra i promotori dei quesiti per la ripubblicizzazione del servizio idrico, e nel 2016, facendo parte del comitato nazionale per il no al referendum costituzionale sulla cosiddetta riforma Renzi.
Perché votare no?
Gli articoli della Costituzione che il Parlamento ha già modificato – modifiche che sono ora sottoposte alla conferma dell’intero corpo elettorale – riguardano la parte centrale dell’ordinamento della Repubblica e sono di primaria importanza. Lo svilimento del Parlamento travolge l’intero equilibrio dei poteri dello Stato. Nella fattispecie, se passasse questo taglio indiscriminato, cioè un taglio non accompagnato da una riforma organica, si accetterebbe una preminenza del potere esecutivo sul legislativo. Se a questo aggiungiamo che di fatto i parlamentari vengono eletti in base all’ordine di lista bloccato determinato a tavolino da leader politici, o presunti tali, senza la possibilità di esprimere le preferenze da parte dei cittadini, la deriva alla quale si va incontro è particolarmente pericolosa. Aggiungo che (fermo restando che in democrazia anche l’incoerenza fa in qualche modo parte del gioco) non capisco come chi respinse la “riforma Renzi” nel 2016 possa accettare tutto questo. Quella di Renzi, anche se non condivisibile, almeno era una riforma che prevedeva la riduzione del numero di parlamentari con una logica. Qui siamo davanti ad una capitozzatura della rappresentanza senza una logica, o meglio con la logica di rafforzare i gruppi di potere più o meno espliciti che si muovono nel Paese.
I sostenitori del sì mettono in evidenza che si tratta di un taglio ai costi della politica.
Per tagliare i costi della politica bastava una semplice seduta della Conferenza dei capiruppo di Camera e Senato, decidendo per esempio di dimezzare lo stipendio dei Deputati e dei Senatori. Si sarebbero dimezzati i costi all’istante, essendo le camere assolutamente autonome in queste decisioni, e si sarebbe tutelata la rappresentanza. Inoltre si continua ad essere recidivi rispetto a errori già ben chiari. Per esempio, per anni ci è stato fatto credere che tutti i mali dell’Italia dipendessero dalle province, così a furor di popolo sono state smantellate sottraendo loro fondi ma soprattutto annichilendo la rappresentanza. Risultato: i cittadini non votano più il presidente della Provincia e i consiglieri provinciali sono decisi a tavolino dalle varie forze politiche. Non mi pare che il debito pubblico sia calato e credo sia inutile inferire sullo stato delle nostre strade e sulle strutture scolastiche che proprio in questo momento sono al centro del dibattito nazionale. Si è tolta la rappresentatività e, specialmente in territori come i nostri, ciò provoca effetti devastanti in quanto sono venuti meno i contrappesi democratici rispetto ai vari consigli di amministrazione sorti a gestire ciò che doveva restare in mano pubblica. Non vorrei che una delegittimazione del massimo organo di rappresentanza popolare porti ad una sorta di privatizzazione della democrazia.
I sostenitori del sì parlano di uno snellimento, e quindi miglioramento, dei lavori parlamentari. È così?
Anche in questo caso non sarà così. Lo snellimento, ammesso che in democrazia sia giusto comprimere la discussione e il confronto democratico rispetto alle varie sensibilità riscontrabili nel Paese, lo si ottiene solo quando chi si trova ai tavoli sa esprimere il massimo livello sociale e culturale di rappresentanza e solo quando maturano volontà politiche condivise. Non è il numero ad impedire questo, anche due persone intorno ad un tavolo se non vogliono decidere o trovare una mediazione non la trovano. Leggo inoltre di esempi caricaturali con altri stati e spesso vengono citati gli Stati Uniti. Bene saper che negli USA i parlamentari, tra quelli statali e quelli federali, sono poco più di 8.000. Lo Stato dell’Alabama con 4 milioni di abitanti circa ha una Camera con 105 deputati e un Senato con 35 senatori, oltre i propri rappresentanti federali. Consiglio a chi sostiene così convintamente la causa del taglio dei nostri parlamentari di non proporre un taglio di rappresentanza agli statunitensi: ci provarono gli inglesi e non gli andò particolarmente bene.
Meno parlamentari significa un innalzamento della qualità media?
Dubito fortemente che riducendo il numero dei parlamentari si innalzi la loro qualità, anzi. I capi partito saranno in grado di determinare con più precisione chi sarà eletto e dunque le prime file saranno riservate ai “signorsì” e a coloro che, guardando alla propria carriera personale, faranno di tutto per compiacere il leader di turno per essere non rieletti ma rinominati. I capi e capetti chiamati a compilare le liste saranno più facilitati a far entrare i propri adepti piuttosto che persone di qualità, anche perché la qualità di una persona di solito va di pari passo con la capacità di elaborare anche posizioni proprie e di mettere se necessario in discussione anche gli ordini di partito. La verità è che meno parlamentari significa avere un Parlamento più controllabile. Ricordo che oltre al potere legislativo i parlamentari rappresentano anche un potere di controllo sulle promanazioni dei poteri dello Stato. Ad esempio nei confronti dei servizi segreti o sulle attività militari, ma si potrebbe continuare a lungo. Meno parlamentari significa meno rappresentanti del popolo presenti nei posti della decisone politica. È in tal senso che la P2 nel suo “Programma di rinascita nazionale” voleva, oltre al superamento del bicameralismo perfetto, anche una riduzione del numero complessivo dei parlamentari portandolo a 700. Se il 20 e il 21 settembre passa il taglio proposto ne avremo solo 600. Questo fa riflettere. Come fa riflettere che in alcune regioni una forza politica per eleggere un senatore dovrà raggiungere il 13% dei suffragi, o ancora il forte squilibrio dell’elettorato chiamato ad eleggere il Presidente della Repubblica che vedrebbe le regioni fortemente rafforzate nel potere conferito alla propria rappresentanza in tale sede. Insomma un pasticcio enorme, e con la Costituzione non si può scherzare.
Secondo te quale sarà l’esito del voto?
Difficile dirlo. Posso però parlare per esperienza. Quando si parla di Costituzione gli italiani sono sempre molto attenti. Inoltre quando furono indetti i referendum abrogativi in materia di ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, i sondaggi pronosticavano il mancato raggiungimento del quorum e furono al contrario referendum partecipatissimi con un risultato nettissimo e senza precedenti. Quando nel 2016 fu proposta la riforma Renzi tutti davano per scontata la vittoria del si. Mi verrebbe da dire e da auspicare che non c’è due senza tre.
A proposito di sondaggi: risultano ancora moltissimi indecisi, che appello vuoi rivolgergli?
La Costituzione non è una norma qualsiasi, è la norma sulla quale fondiamo il nostro vivere e convivere civile. Voluta e scritta da chi usciva da anni terribili. La Costituzione si può modificare ma per farlo serve rispetto e cautela. Poco contano i ragionamenti in merito alla tenuta o meno di un Governo. Il Governo si regge se ha una maggioranza parlamentare pronta a sostenerlo, non a seguito del risultato referendario. I governi passano, le modifiche alla Costituzione affrettate e superficiali restano. Inoltre, in territori come il nostro, dovremo pensarci bene prima di autoescluderci da una rappresentanza parlamentare. Se la riforma dovesse passare la Provincia di Arezzo difficilmente vedrebbe un proprio rappresentante a Roma. È vero, in questi anni ci hanno tolto molto: contribuire con il nostro voto a toglierci anche la rappresentanza parlamentare non credo sia un atto intelligente.