Il ciclo di interviste di TeverePost a personalità del territorio sul tema del referendum costituzionale in programma domenica e lunedì si conclude, per quanto riguarda le ragioni del no, con il sindacalista Luca Gabrielli, responsabile organizzativo della CGIL di Arezzo, già segretario di zona in Valtiberina.
Perché votare no?
Per le motivazioni con cui i sostenitori del sì chiedono di votare sì, ragionandoci e sviluppandole. Partiamo dai risparmi. A parte che uno studio ha quantificato in un caffè all’anno – per dargli anche un valore simbolico – il risparmio per ogni cittadino rispetto alla riforma, però nell’argomento del risparmio si nasconde un’altra volontà, che è quella di attaccare la democrazia parlamentare. Una volontà oramai strisciante da tempo nel Paese: ogni tipo di riforma cerca di minare quest’impostazione che i nostri padri costituenti hanno dato fin dall’inizio alla Costituzione. Se vogliamo abbassare i costi perché non intervenire sui regolamenti parlamentari abbassando i vitalizi? E i costi del Governo perché non si toccano? Nel 2019 è stato quantificato che il ministero del leader del Movimento 5 Stelle ha un costo che non ha mai avuto in passato, quindi perché non mettere un tetto anche alle collaborazioni della parte esecutiva? Insomma attraverso l’argomento strumentale del costo passa una volontà politica ben diversa. E se posso capire il M5S, che addirittura è arrivato a dire che del Parlamento si può fare a meno e che si può fare democrazia digitale, capisco meno chi fino all’altro giorno avrebbe votato no e invece adesso ritiene necessaria questa riforma. La cosa più fastidiosa è infatti che da più parti nemmeno ci si nasconde quando si dice che votare sì al referendum serve per fare in modo che non cada il Governo. Mischiare le necessità di un Esecutivo – che oggi c’è, mentre domani ce ne può essere un altro – con una riforma che di fatto stravolge lo spirito dell’Assemblea costituente è aberrante. Questa è una delle motivazioni assolutamente inaccettabili.
La riduzione del numero dei parlamentari può aumentarne la qualità media?
Assolutamente no. La qualità dei parlamentari la fa il loro legiferare, ma da tempo non vengono prese in considerazione le necessità reali della società. Si è deciso di togliere al popolo sovrano la possibilità di scegliere i propri candidati affidandola al leader del singolo partito; allora è chiaro che chi entra in Parlamento non ha bisogno di rispondere alle esigenze di un territorio o di un elettore ma ha bisogno di rispondere alle esigenze del suo leader, che lo ha messo lì per quel motivo. Nelle scelte degli ultimi anni c’è un filo conduttore che cerca di allontanare la gente dalla politica. Il M5S rappresenta un’idea di società completamente diversa dalla mia, che ha tuttavia una coerenza nel rispecchiare quel disagio che c’è rispetto alla politica, quel disinnamoramento. Ma, invece di indagarne le cause, con il taglio dei parlamentari tutto viene trasformato in un attacco alle Istituzioni.
Un Parlamento meno numeroso può funzionare in maniera più rapida ed efficiente?
Questa è un’altra menzogna, prima di tutto perché volendo valutare il lavoro del Parlamento a cottimo abbiamo uno dei Parlamenti che legiferano di più: il problema non è la quantità ma la qualità. E soprattutto, quando c’è stato bisogno di smantellare i diritti dei lavoratori – perché rimango comunque un sindacalista – leggi come il Jobs act o come la Fornero sono passate in un attimo, perché si legifera sempre più d’urgenza e si elimina la discussione in Parlamento. Chi propone queste riforme deve giocare a viso scoperto, dire che a suo avviso la Costituzione nata nel dopoguerra non è più adatta alla società. Io sarei un acerrimo nemico di questo ragionamento, ma almeno ci confronteremmo su un tema più reale.
Invece il dibattito latita perché diverse forze politiche non hanno il coraggio di prendere una posizione chiara, per timore di perdere consensi alle elezioni concomitanti con il referendum.
Vedo una regia ben studiata nella scelta di aver inserito il referendum in una tornata elettorale importante come quella per le regionali. Questo indubbiamente potrebbe mettere in difficoltà l’elettore, tanto più che il dibattito è limitato anche dall’emergenza Covid e dalle restrizioni che ne derivano. Però va riconosciuta la buona volontà di chi vota no nel tentare di portare la discussione nel merito e nel non lasciar passare tutto nel silenzio. Perché nel momento in cui si dibatte su queste cose a mio avviso le motivazioni del no sono notevolmente più forti. Il sì dovrebbe spiegare cosa migliora con questa riforma nella vita di tutti i giorni dei cittadini, ma non ci sono temi che reggono il confronto.
Quale risultato ti aspetti dal voto referendario?
Io ho molta fiducia perché gli elettori hanno dimostrato che quando si tratta della Costituzione sanno ragionare bene. Anche nel 2016, quando gli argomenti erano in parte uguali e in parte diversi, la sfida non era semplice. Certo in quell’occasione c’è stata più opportunità di fare confronti, mentre qui c’è l’aggravante di trovarsi a mischiare la riforma costituzionale a più argomenti, dalle elezioni regionali alla caduta del Governo, ma ho fiducia negli elettori. Credo che ognuno di noi che abbiamo deciso di votare no e di spenderci individualmente su questo tema abbia l’obbligo di convincere più persone possibile. Portiamo a casa anche questo no, perché paradossalmente la vera modernità sta nel conservatorismo: conserviamo il bene primario che è la nostra Costituzione, con i suoi valori, e poi impegniamoci tutti a fare un’altra cosa, e cioè applichiamola, la Costituzione!