Dopo aver esaminato i pochi metri che uniscono Sansepolcro a Città di Castello e le vicende relative alle isole amministrative di Ca’ Raffaello e di Monte Ruperto, nella nostra ormai stabile rubrica dedicata ai confini strani o comunque particolari che contraddistinguono il nostro territorio non poteva mancare un approfondimento sul segno lasciato dalla Repubblica di Cospaia. Quest’impronta, datata 1826, ha determinato buona parte di quello che attualmente è il confine tra Sansepolcro e San Giustino e quindi tra Toscana ed Umbria. Attraverso due articoli vedremo prima le dinamiche storiche dell’ex Repubblica di Cospaia e successivamente analizzeremo in che modo la soppressione del piccolo Stato ha inciso sull’attuale confine regionale.
Per una volta partiamo dalla fine. Il 26 giugno 1826 il piccolo borgo di Cospaia e gran parte del territorio della ex Repubblica passarono sotto il controllo dello Stato Pontificio. Le quattordici persone che firmarono l’atto di sottomissione e decisero per la fine della repubblica ottennero in cambio una moneta d’argento, un Papetto del valore di un quinto di Scudo, e il diritto a continuare a coltivare tabacco nelle loro terre. Ma non tutte le famiglie che all’epoca vivevano a Cospaia furono favorevoli al passaggio sotto lo Stato della Chiesa: una parte della famiglia Guerrini, il cui sangue scorre nelle vene di chi scrive questo racconto, decise di lasciare il paese ed “emigrò” a Sansepolcro, più precisamente a Pocaia. Ma ecco la parte principale dell’atto di sottomissione risalente a 194 anni fa:
“Noi Don Girolamo Bastianoni Parroco di questa Villa di Cospaia, Don Domenico Balicchi capellano, Gio: Patrizio Patrizi Sindaco provvisorio, Gio: Andrea Londei, Francesco Mori, Francesco Valenti, Cristoforo Chieli, Francesco Buscosi, Luigi Guerrini, Francesco Gustinelli, Pietro Tassini, Francesco Polcri, Gio: Batt: Balicchi, Andrea Magnani, componenti tutti come sopra la popolazione del territorio di Cospaia: inginocchiati avanti V. E. E. come Delegato Apostolico Pontifìcio e specialmente deputato ed incaricato a prendere il possesso di questa Villa e territorio di Cospaia, abbiamo riconosciuto e riconosciamo il Sommo Pontefice Romano Leone XII felicemente regnante, i suoi legittimi successori e la S. Sede per veri padroni e signori con mero e misto impero, con potestà di sangue e totale giurisdizione di questa Villa di Cospaia, ragioni e pertinenze, luoghi e persone […] Dato a Cospaia il 26 Giugno 1826.”
Il testo è tratto da Lo Stato libero di Cospaia nell’Alta Valle del Tevere, scritto da Filippo Natali nel 1892. Non è l’unico libro che racconta le vicende di Cospaia, ma risalendo agli ultimi anni del XIX secolo è frutto di un lavoro di confronto orale anche con molti di coloro, figli e nipoti dei protagonisti, che avevano fresco il ricordo degli eventi finali della vita della ex Repubblica.
Nel XIX secolo Cospaia era sopravvissuta al passaggio delle truppe napoleoniche e incredibilmente anche al Congresso di Vienna. Se in qualche modo avesse resistito altri trentacinque anni, meno del 10% della sua secolare storia, e fosse arrivata al tempo dell’unità d’Italia, molto probabilmente avrebbe avuto la stessa sorte della Repubblica di San Marino, ed oggi nel cuore della Valtiberina ci sarebbe stato un elemento di curiosità: la Repubblica più piccola del mondo. Di certo negli ultimi anni di vita Cospaia aveva superato i limiti per i quali era stata tollerata per poco meno di quattro secoli. Le cronache dell’epoca raccontano che dopo il Congresso di Vienna (1814-15) Cospaia era divenuta una sorta di emporio. Non mancavano commercianti ebrei, poco tollerati dal Papato dell’epoca, come vi erano depositi di merci provenienti da tutta la penisola italiana. Ogni piccola stanza di ogni casa era piena di merci, naturalmente non destinate ai bisogni degli abitanti, ma a loschi traffici con i due Stati confinanti. Già nel 1785 Granducato e Papato avevano chiesto un arbitrato al Regno di Sardegna per definire il nuovo confine e sopprimere la Repubblica di Cospaia, ma poi affari più urgenti avevano portato al rinvio del problema. Nel 1825 la sorte dell’anomalia geografica era segnata e le commissioni incaricate di disegnare il nuovo confine erano già attive, mentre il parroco di Cospaia, don Girolamo Bastianoni, si occupava di convincere i capifamiglia a trattare la resa con la possibilità di conservare qualche vantaggio per la piccola comunità.
Le origini di una storia lunga 385 anni
La vicenda che ha portato alla nascita di questo scherzo della geopolitica è abbastanza nota. Nel febbraio del 1441, dopo che il territorio di Sansepolcro fu annesso alla Repubblica di Firenze per le conseguenze della Battaglia di Anghiari, ma soprattutto di un pegno di 25.000 fiorini d’oro che il Papa Eugenio IV non riscattò nei confronti dei Medici, due commissioni si mossero dallo Stato toscano e da quello pontificio con lo scopo di demarcare il nuovo confine. Entrambe cercarono un “rio”, ma in realtà la commissione toscana si arrestò nei pressi della Gorgaccia e quella papalina presso il Riascone, separati da una striscia di terra larga poco più di 500 metri.
La cosa curiosa in tutto questo è che fino a quel giorno Cospaia aveva un padrone, e questo era lo Stato Pontificio. Documenti datati 1360 ricordano come il piccolo paese dipendesse da Città di Castello. Quindi dobbiamo immaginare che la commissione toscana fece correttamente il proprio lavoro, non dovendo superare i limiti di Sansepolcro, mentre i papalini presero un discreto granchio fermandosi molto prima del previsto. Se l’anomalia dei due “rii” potrebbe essere compresa percorrendo la valle dalla strada principale, che era ed è tuttora il tracciato della ex Tiberina 3 Bis, oppure risalendo il Tevere, più strano è stato l’errore nell’andare a demarcare il confine risalendo i due piccoli torrenti, dato che scendono dallo stesso colle ma percorrendo due piccole valli diverse, una più a nord e una più a sud, con in mezzo il colle dove si trova Cospaia. Presto i due importanti vicini compresero il tipo di errore commesso, ma le potenziali problematiche diplomatiche e la mancanza di interesse a risolvere il problema dell’appartenenza di qualche ettaro di terra coltivabile e di poche centinaia di persone lasciarono Cospaia in un limbo geopolitico. Anzi, tutto sommato una terra di nessuno dove poter contrabbandare e fare cose non permesse dalle leggi granducali e pontificie poteva tornare utile a tutti. Di certo in quel giorno del 1441 gli abitanti di Cospaia non si sentirono appartenenti ad un nuovo soggetto giuridico, ma piuttosto capirono che non dovevano più pagare tasse a nessuno.
La forma di governo nella Repubblica di Cospaia
Nessuna forma di governo, nessun corpo di polizia, nessun controllo dei confini, nessuna politica fiscale e nessuna delle caratteristiche che oggi definirebbero uno stato erano presenti a Cospaia. La moneta era quella dei vicini se non addirittura il baratto, i problemi si risolvevano attraverso la consultazione degli anziani o l’incontro tra i capifamiglia, anche se in alcuni casi estremi si trovano tracce di situazioni risolte dai tribunali di Sansepolcro e Città di Castello, mentre per consultare il medico era necessario raggiungere Sansepolcro. Nessuna legge scritta se non il motto “Perpetua et firma libertas” (Perpetua e sicura libertà) presente sull’architrave del portone della chiesa. Bisogna anche sfatare il mito del nome di questa piccola aspirante nazione, dato che nelle carte geografiche dell’epoca non viene chiamata Repubblica di Cospaia, ma semplicemente “Villa di Cospaia”.
Le uniche istituzioni presenti erano il parroco, probabilmente il solo in grado di leggere e scrivere, con funzioni indirette di stato civile, visto che registrava nascite, battesimi, matrimoni e decessi. Vi è traccia di una bandiera o un drappo diviso in due parti uguali in diagonale, una bianca e una nera, e quattro denti sulla parte più lontana dall’asta. L’unica tassa era una raccolta annuale volontaria di fondi, in base alle risorse e alle esigenze di ogni famiglia, per pagare i servizi del medico.
L’arrivo dell’Erba Tornabuona
Il 1574 è l’anno probabilmente più importante della storia di Cospaia, perché dalla vicina Sansepolcro arriva il tabacco. Aveva trovato casa nel giardino del vescovado come pianta ornamentale quando il vescovo Alfonso Tornabuoni aveva ricevuto come dono dal nipote Niccolò Tornabuoni la strana erba arrivata dalle Americhe alla Spagna e da lì a Sansepolcro. Quindi il tabacco percorse pochi altri chilometri ed arrivò a Cospaia, dove invece che a scopo decorativo fu seminata con intenzioni commerciali. La redditizia pianta fu subito vietata nello Stato pontificio e ben presto la piccola Repubblica divenne la prima capitale italiana del tabacco. Gli abitanti di questo fazzoletto di terra, di per sé ricchi non dovendo pagare nessuna tassa, si dedicarono alla coltivazione di questa erba speciale con la quale avrebbero fatto affari d’oro. Se oggi la Valtiberina è tuttora coltivata principalmente a tabacco, merito e colpa è proprio della Repubblica di Cospaia. L’esigenza di avere acqua a disposizione portò alla creazione di un lago artificiale sbarrando uno dei due rii che avevano dato vita allo Stato. Con ogni probabilità dove oggi esiste il lago di pesca sportiva molti anni fa esisteva un lago simile con scopi agricoli. I due piccoli ruscelli ancora oggi alimentano il lago di Cospaia posto a sud del paese e il lago della Torraccia posto a nord, verso Sansepolcro.
Il riconoscimento “di fatto” arriva solo alla fine della storia
Non è mai esistito un formale riconoscimento dell’indipendenza di questo piccolo territorio, eppure la comunità di Città di Castello in più occasioni ha redarguito quella di Sansepolcro affinché si astenesse dal chiedere gabelle, senza però rivendicare gli stessi pagamenti per sé stessa: questa appare un’implicita forma di attestazione del fatto che a Cospaia non ci fosse né la sovranità di Firenze né quella di Roma. In ogni caso il massimo riconoscimento dell’esistenza di questa istituzione, con una storia di quasi quattro secoli, è lo stesso atto di sottomissione che i capi famiglia nel 1826 hanno firmato per legittimare l’annessione allo Stato della Chiesa. Ad allora risalgono i lavori di demarcazione del nuovo confine: il posizionamento di 80 cippi di pietra fatto da una commissione mista che a 385 anni di distanza ha rimediato all’errore del 1441 produce effetti ancora oggi, avendo segnato quello che è il confine attuale tra la Toscana e l’Umbria.
Il nostro viaggio storico-geografico proseguirà la prossima settimana con l’approfondimento dei criteri che portarono nel 1826 la commissione toscano-pontifica a delineare il nuovo confine tra Granducato di Toscana e Stato Pontificio. Un confine ricco di curiosità che meritano di essere conosciute, raccontate e anche tutelate, a pochi anni dal duecentesimo anniversario della fine della Repubblica di Cospaia.
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