Perché Naval’nyj non è Mandela

Mentre la grande stampa occidentale è quasi sempre approssimativa, male informata o nel migliore dei casi disinformata su ciò che sta accadendo nel Paese, proviamo a ricostruire la storia di quello che è diventato il punto di riferimento dei detrattori della Russia

Foto di Evgenij Fel'dman (Novaja Gazeta - CC BY-SA 3.0)

Nell’ultimo periodo l’attenzione dei media internazionali verso la Federazione Russa non si limita agli studi sul funzionamento del vaccino contro il Covid-19 conosciuto con il nome di Sputnik V. Periodicamente torna prepotentemente agli onori della cronaca il blogger Aleksej Naval’nyj indiscutibile protagonista della narrativa dei media occidentali non solo dal presunto avvelenamento dello scorso agosto o per la recente sentenza di condanna penale di tre anni e cinque mesi da parte di un tribunale moscovita per non aver rispettato i termini della propria libertà vigilata.

Cercheremo di ricostruire la lunga vicenda di Aleksej Naval’nyj mettendo a confronto le diverse fonti a disposizione e allo stesso tempo parleremo di come si è arrivati ai fatti odierni. Vedremo anche perché sono decisamente fuori luogo alcuni paragoni fatti dalla stampa italiana con personaggi come Martin Luther King, Nelson Mandela o Gandhi, e lo stesso utilizzo della definizione “principale leader dell’opposizione”.

La premessa che non viene mai fatta

Per capire quello che accade nel più vasto Paese del pianeta è necessario contestualizzare i vari periodi storici e comprendere alcune dinamiche spesso poco conosciute in Occidente relative ai tre decenni di vita della Federazione Russa. Dal 1991 al 2000 la neonata Russia attraversa un periodo drammatico. In occidente passa la narrativa di un Paese dove sbocciano le libertà democratiche, in realtà un sistema corrotto svende tutto l’apparato economico ai privati e molte aree periferiche della nazione danno vita a conflitti militari per separarsi da Mosca. Nelle strade comanda la malavita e vivere per i cittadini diventa una lotta quotidiana. Tutte le sicurezze che il sistema politico sovietico garantiva svaniscono. La vita media delle persone diminuisce di quasi dieci anni e i problemi sociali dilagano, così come la diffusione di droga e Aids. Il tasso di interruzioni di gravidanza arriva a superare il numero dei bambini nati.

Tutto questo porta alle dimissioni di Boris El’cin dal potere e all’arrivo di un nuovo gruppo dirigente, con Vladimir Putin come nuovo presidente dal 31 dicembre del 1999. Inizia un decennio dove la tendenza si capovolge. Lo Stato torna ad assumere il controllo di settori strategici, il ruolo degli oligarchi viene ridimensionato, la malavita perde il controllo delle città e lentamente la Russia riconquista un prestigio internazionale svanito negli anni precedenti. C’è un braccio di ferro tra coloro che vorrebbero un ritorno alle dinamiche sovietiche e i fautori del nuovo liberismo. Putin è bravo a mediare tra le due fazioni e allo stesso tempo a trasmettere nuova fiducia al Paese. Sempre nella prima decade del nuovo millennio arriva una forzata stabilizzazione del Caucaso, con la conseguenza di attentati a Mosca e in altre città. La Russia cresce e il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche è evidente. Nell’ultimo decennio arriva la crisi economica anche nella Federazione, sebbene le vicende geopolitiche ucraine e l’annessione della Crimea distolgano l’attenzione dai primi rallentamenti che il Paese incontra. L’aumento delle tensioni internazionali, la svalutazione del rublo e la diminuzione dei prezzi di gas e petrolio, tuttora oggi cardini delle esportazioni e dell’economia russa, portano ad un clima di incertezza economica percepito dai cittadini. La pandemia di Covid-19, seppure forse gestita meglio rispetto ad altre nazioni, porta la Russia in recessione esattamente come tutti gli altri Paesi del mondo, trasmettendo tensioni sociali.

Chi è Naval’nyj

Aleksej Naval’nyj, classe 1976, appare nella scena della politica russa all’inizio degli anni 2000. All’epoca fa parte di Jabloko (Mela), un partito di ispirazione liberale dal quale verrà successivamente espulso per posizioni razziste e xenofobe. Fonda un suo movimento chiamato Narod (Popolo) e diventa sostenitore del risentimento verso le persone di origine caucasica. Oltre che apparire in un popolare video dove spiega che per eliminare gli scarafaggi basta una scarpa mentre per eliminare gli attivisti caucasici ci vuole la pistola, diventa partecipante fisso della “Marcia Russa”, un evento che annualmente si svolge a Mosca al quale partecipano nazionalisti, xenofobi, neofascisti e persone convinte della superiorità dei russi sulle altre etnie della Federazione. Nel 2008 è un attivo sostenitore della guerra contro la Georgia, invitando la Russia ad espellere tutti gli immigrati georgiani dalla nazione paragonandoli a “topi di fogna”. Nel secondo suo decennio di attività politica sposta la propria attenzione dalle tematiche etniche e razziste a quelle economiche e legate al mondo della corruzione. Acquista azioni di molte realtà economiche, prevalentemente a maggioranza statale, e apre un blog per informare da azionista su quello che accade all’interno delle compagnie. Allo stesso tempo si attiva per raccogliere informazioni, sempre attraverso il blog, su episodi di corruzione e frodi negli apparati statali. Cominciano in questo periodo le donazioni, molte cospicue e dall’estero, alle attività di quella che in futuro diventerà la Fondazione Naval’nyj. In questa fase di transizione dalle politiche etniche a quelle economiche non risparmia le ultime campagne dedicate alla necessità di interrompere il sostegno della Federazione Russa alle aree caucasiche ed interviene su episodi di cronaca locale in difesa di russi che si erano scontrati con georgiani e ceceni. Nel 2014 non si schiera a favore dell’annessione della Crimea, anche se in successive interviste afferma che non potrà essere restituita all’Ucraina con la celebre frase “la Crimea non è un panino al prosciutto che si prende e si restituisce”. Pochi sanno, inoltre, che Naval’nyj è stato per un anno anche membro del consiglio di amministrazione di Aeroflot, e per circa quattro anni consulente del governatore della regione di Kirov a nord-est di Mosca. Quest’ultimo venne arrestato proprio per un episodio di corruzione.

Naval’nyj nel 2013 è stato candidato a Sindaco di Mosca riuscendo ad ottenere il 27% dei consensi. Dopo aver cambiato più volte nome, oggi il suo movimento prende il nome di Partito del Futuro. Fortemente in contrasto con Russia Unita, il partito che sostiene Putin, si autodefinisce un partito di ispirazione liberale e democratica ed è riuscito ad eleggere alcuni rappresentanti nelle assemblee regionali. L’attivista era intenzionato a prendere parte alle elezioni presidenziali russe del 2018 ma condanne e processi in corso hanno portato la commissione elettorale a rigettare la sua candidatura. Impossibilitata a partecipare, la forza politica a suo sostegno decise di boicottare le elezioni. Alle elezioni per il consiglio comunale di Mosca Naval’nyj e colleghi decidono di provare ad invitare al voto utile. L’obiettivo è quello di votare qualunque candidato che possa battere nei collegi uninominali quelli proposti da Russia Unita. Il gioco funziona dato che alla fine Russia Unita, pur mantenendo il controllo del consiglio, perderà 13 seggi e non sarà il partito più votato nella città, superato di pochi voti dal Partito Comunista della Federazione Russa, che beneficerà del voto utile eleggendo 8 consiglieri in più. Questa tattica viene poi ripetuta anche in modo del tutto spontaneo in successive elezioni per i governatori regionali portando alcuni soggetti federati sotto il controllo di partiti diversi da Russia Unita.

Leader dell’opposizione?

Uno dei titoli che spesso si leggono relativi ad Aleksej Naval’nyj è la definizione “leader dell’opposizione” o “principale avversario di Putin”. Queste sono definizioni decisamente approssimative e più o meno inconsapevolmente tendenti a sopravvalutare il personaggio. In Russia ci sono tre partiti presenti in parlamento diversi da Russia Unita. Fuori dalla Duma ve ne sono altri che hanno comunque un’organizzazione territoriale e partecipano alle elezioni. In alcune regioni e città i partiti alternativi a Russia Unita hanno vinto delle elezioni locali ed esprimono governatori di regioni. La possibilità che Naval’nyj infiammi i cuori dei cittadini russi sono molto basse, soprattutto perché per la maggior parte della gente è un personaggio troppo vicino ad avversari della Russia o più semplicemente non si sente rappresentata da lui per la sua controversa storia politica. Un elemento che non deve essere trascurato nel modo di pensare dei cittadini russi è il terrore di tornare all’instabilità politica e relative conseguenze socio-economiche degli anni ‘90. Molti, pur delusi dal momento economico, preferiscono la stabilità garantita dall’attuale classe politica che avventurarsi in un futuro non chiaro e potenzialmente pericoloso. Forse Naval’nyj è più un detonatore di un malcontento che al momento esiste realmente nel Paese e che non ha radici particolarmente diverse dalle stesse perplessità che hanno in questo momento storico anche i cittadini europei o americani. Con la differenza che in Russia negli ultimi venti anni la classe politica è più o meno rimasta la stessa, mentre nelle altre realtà le forze politiche si sono alternate, pur portando avanti programmi del tutto simili. Molti di coloro che sono scesi in piazza il 23 e 31 gennaio non lo hanno fatto per sostenere Naval’nyj, ma per manifestare un disagio nei confronti delle Istituzioni russe. I manifestanti sono tendenzialmente giovani, molti dei quali hanno conosciuto una sola classe dirigente e che non hanno vissuto gli anni ‘90. Tra le poche persone meno giovani che hanno partecipato ai cortei non autorizzati alcune avevano con sé bandiere dell’Unione Sovietica, addirittura dell’Impero Russo o anche degli Stati federati della Russia. In ogni caso i numeri delle due manifestazioni sono tra i più bassi di sempre guardando anche alle mobilitazioni promosse in precedenza dal movimento che fa capo all’attivista russo. Anche il fatto che i media russi, in particolare modo quelli locali, abbiano dato spazio agli eventi, non fa pensare che la cosa sia vista con seria preoccupazione dal Cremlino. Il Partito Comunista della Federazione Russa, l’unica forza politica presente alla Duma che non ha votato la fiducia all’attuale governo in carica, ha stigmatizzato la reazione a volte violenta della polizia nei confronti dei manifestanti, ma ha anche sottolineato come il dualismo Putin-Naval’nyj allontani i russi dalla comprensione dei veri problemi del Paese.

Manifestazione pro Naval’nyj a Tallinn, gennaio 2021. Foto originale di Ave Maria Mõistlik (CC BY-SA 4.0)

Il presunto avvelenamento

Tutto quello che è accaduto dal malore di Naval’nyj ad oggi non viene raccontato allo stesso modo dalla stampa occidentale e da quella russa. L’attivista politico si sente male durante un volo mentre tornava dalla città siberiana di Tomsk dove aveva svolto un’iniziativa legata alle elezioni regionali del settembre 2020. Ha un malore e perse conoscenza. Viene fatto un atterraggio di emergenza nella città di Omsk e il politico viene portato nell’ospedale locale dove viene dichiarato in coma. Fin da subito le persone vicine a Naval’nyj parlano di avvelenamento e in un primo momento si pensa ad un tè consumato prima di salire a bordo del volo. In ospedale non viene mai detto che c’è un avvelenamento in corso, ma si parla di crisi ipoglicemica. Su richiesta della famiglia viene permesso il trasporto del malato in Germania. I medici tedeschi sostengono di aver trovato tracce di veleno nel sangue di Naval’nyj, ma fino ad ora alle richieste russe di mostrare prove non è stato dato seguito. Nel mese di dicembre l’attivista sostiene di aver dimostrato il proprio avvelenamento grazie ad una telefonata da lui fatta, nella quale un uomo dei servizi segreti racconta di aver messo la sostanza avvelenante nelle mutande della vittima. La Russia sostiene che sia una prova costruita artificialmente con il supporto di servizi segreti occidentali. In tutto questo si inserisce anche l’improvvisa morte, pochi giorni fa, del cinquantacinquenne medico che lo soccorse ad Omsk dopo l’atterraggio di emergenza.

Ville, stili di vita e condanne

Sempre in Germania, Naval’nyj realizza il presunto scoop sulla villa di Putin sul Mar Nero. L’esistenza di questo luogo era già al centro di un’inchiesta avvenuta una decina di anni prima. Sebbene il video sia stato visto da oltre cento milioni di persone nel mondo, in Russia è emerso il vero proprietario del complesso edilizio destinato a diventare un albergo di lusso. Le recenti immagini girate all’interno della struttura da parte di troupe televisive mostrano un cantiere e gli interni del palazzo sono molto diversi da quelli che il blogger racconta nel suo filmato. Di fatto sembrerebbero non esistere la gran parte delle cose che nel video di Naval’nyj vengono ricostruite artificialmente con l’ausilio dell’informatica.

Intanto, gli avversari del blogger sollevano da sempre perplessità sul tenore di vita di Naval’nyj, raccontando anche il quantitativo di donazioni economiche importanti, soprattutto dall’estero, che la sua fondazione riceve costantemente. La presunta appropriazione a fini personali di parte di questi soldi è al centro di più di un caso giudiziario. Quello presente nella stampa in queste settimane è il caso “Yves Roches”, una vicenda conclusasi con la condanna di Aleksej e suo fratello Oleg a tre anni e mezzo di detenzione per frode e riciclaggio. L’azione legale venne promossa dalla stessa multinazionale dei cosmetici francese e secondo Naval’nyj su preciso ordine del Cremlino, in cambio di agevolazioni. Il risultato è che Oleg Naval’nyj è finito in carcere mentre per Aleksej sono scattati provvedimenti di limitazione della libertà. Al suo rientro dalla Germania Aleksej era assolutamente consapevole che sarebbe stato arrestato per aver violato più volte l’obbligo di firma relativo alla condanna comminata. Deve essere chiaro che il periodo di effettiva cura in Germania non è conteggiato. Nei giorni scorsi un tribunale di Mosca ha cancellato la messa alla prova di Naval’nyj rimettendolo in carcere e suscitando le proteste di molte cancellerie europee e degli Stati Uniti. In questi giorni il quadro è caratterizzato da ulteriori elementi come il processo che l’attivista sta subendo per aver offeso via internet un veterano della Seconda guerra mondiale impegnato nella campagna referendaria della scorsa estate sulla riforma della Costituzione russa. Il procedimento non avrà conseguenze penali, al massimo una sanzione, ma non gioca a sicuramente a favore della simpatia verso l’attivista. Infine, notizia di dicembre, l’inizio di un ulteriore processo relativo all’uso personale delle donazioni effettuate alla Fondazione Naval’nyj. Secondo l’accusa il politico avrebbe utilizzato per sé e la sua famiglia due terzi dei sei milioni di euro ricevuti dall’ente. Alla ricca fedina penale vanno aggiunti circa trenta ulteriori brevi arresti per aver organizzato manifestazioni non autorizzate. La legge russa prevede, esattamente come quella italiana, precise regole per poter effettuare manifestazioni pubbliche. Aleksej Naval’nyj ha spesso sfruttato la repressione, non sempre pacifica, di queste iniziative per guadagnarsi attenzioni e consensi soprattutto oltre confine.

Putin e Naval’ny. Foto di Il’ja Isaev (CC BY-SA 3.0) e di Kremlin.ru (CC BY-SA 4.0)

Venti anni insieme

Indiscutibilmente Vladimir Putin e Aleksej Naval’nyj fanno parte di venti anni di storia della Federazione Russa, soprattutto di quella narrata dai media occidentali. Nello stesso periodo hanno iniziato la loro attività politica pubblica, anche se per i primi dieci anni non hanno vissuto l’uno con le attenzioni dell’altro. Mentre Putin, alternandosi tra il ruolo di Presidente e Primo Ministro, ha consolidato il consenso politico grazie ad una prima decade per la quale la quasi totalità dei russi ancora oggi lo apprezza, Naval’nyj ha trovato visibilità grazie alle bizzarre azioni xenofobe che lo hanno caratterizzato almeno fino al 2012. La decisione di Putin di candidarsi per il terzo mandato da Presidente, dopo la pausa di quattro anni resa obbligatoria dalla Costituzione, ha scatenato le prime serie e partecipate proteste guidate dal blogger divenuto paladino dei piccoli azionisti delle grandi aziende di Stato e non. Da quel momento il loro dualismo ha permesso a Naval’nyj di costruirsi attorno un consenso frutto di convinti sostenitori e più in generale di delusi dai problemi irrisolti del Paese. Putin in rarissime occasioni ha pronunciato il nome di Naval’nyj e quasi sempre senza mai riconoscerlo come avversario politico. Naval’nyj, invece, deve tutto a Putin e alle battaglie contro i collaboratori del Presidente. Oggi, dal carcere di Mosca dove si trova, è diventato un punto di riferimento dei detrattori della Russia e di tutti coloro che fuori dal grande Paese vorrebbero un cambio della guardia al Cremlino. In Russia però questa percezione è diversa, anche se questa vicenda potrebbe in un qualche modo influire sulla solidità elettorale di Russia Unita alle elezioni politiche del prossimo settembre. Con o senza Naval’nyj alcune questioni come l’annessione della Crimea, le politiche di vicinanza e interesse verso gli altri stati dell’ex Urss, l’importanza di un forte esercito, il ritrovato ruolo di protagonista in scenari internazionali, il timore della Nato o il controllo dello Stato in numerosi settori economici in ogni caso non cambierebbero. In primis perché anche la maggioranza di chi è sceso in piazza in queste ultime settimane non lo ha fatto perché crede ai valori occidentali, e in secondo luogo perché anche se una parte di russi è stanca dell’attuale situazione economica e politica nessuno, se non qualche oligarca, vorrebbe un ritorno alla situazione che il Paese ha vissuto nei suoi primi dieci anni di vita.

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