Pappardelle alla lepre: per gli amanti della cacciagione

L'associazione Le Centopelli ci svela i segreti di un piatto che celebra uno degli animali selvatici più diffusi in Toscana. La ricetta di Roberto Quarti

Mentre le tagliatelle sono una forma di pasta di tradizione prettamente emiliano-romagnola, le pappardelle, sebbene risentano dell’influsso emiliano, sono di tipica tradizione toscana.

La Lepre è un animale selvatico molto diffuso in Toscana, ambito da ogni cacciatore per la sua carne soda e saporita. Non facile da cucinare a causa del suo sapore forte e selvatico, trova il massimo del suo utilizzo con le pappardelle all’uovo. L’amico Roberto Quarti ci svela i segreti di questo piatto.

Ingredienti

Per le pappardelle (x 6 persone):

Per il sugo di lepre:

Preparazione

Pappardelle – Preparare la fontanella di farina sulla spianatoia e aprire le uova al suo interno. A seconda se la pasta ci piace più dura o meno dura, mettere le uova intere oppure 4 intere e due solo il rosso. Sbattere le uova con la forchetta ed incorporare piano piano la farina. Quando il composto sarà un po’ più sodo, iniziare a lavorare con le mani. Una volta finito, aspettare una ventina di minuti, avvolgendo la pasta in un canovaccio umido o nel cellophan. Stendere con il mattarello una sfoglia nn troppo sottile, lasciare di nuovo asciugare qualche minuto e tagliarla con il coltello a circa un centimetro e mezzo di larghezza. Adagiare le pappardelle in un posto asciutto senza ammassarle.

Sugo di lepre – Adagiare la lepre immergendola nel vino rosso ( meglio sangiovese toscano giovane, acido e tannico), con una cipolla tagliata in quattro, due carote tagliate a pezzettoni, una costola di sedano, qualche foglia di alloro, una manciatina di bacche di ginepro, 4 o 5 chiodi di garofano, per una nottata.

Lavare la lepre e tagliarla a pezzetti non troppo grossi.

Preparare un battuto con il sedano rimanente, le carote, la cipolla e iniziare a farli soffriggere. Se il gusto finale piace un po’ più “selvatico”, utilizzare gli odori della marinatura e anche il vino per sfumare tutto il soffritto. Altrimenti usarne di nuovi.

A parte, preparare un altro battuto fine con la mezza luna, con rosmarino (solo gli aghi), aglio, alloro, prosciutto crudo e qualche bacca di ginepro, e aggiungerlo al soffritto che sta già andando.

Sfumare con un bicchiere di vino e aggiungere i pezzetti di lepre e il sale.

Far rosolare ed insaporire la lepre girando spesso, in modo che tutti i pezzetti prendano colore e sapore.

Unire il pomodoro e il brodo di carne fino a coprire tutto, quindi abbassare il fuoco e lasciar cuocere.

Man mano che si ritira il brodo, girare la lepre, poiché i pezzetti di carne che rimangono scoperti, potrebbero risultare più durini o stoppacciosi.

Quando il brodo si è ritirato, provare a bucare con una forchetta vicino all’osso. Se si stacca agevolmente, la lepre è cotta. Altrimenti aggiungere nuovo brodo ( un ramaiolo), e provare più tardi.

Togliere la carne dal sughetto e disossarla aiutandosi con un coltello e sfilacciandola anche con le mani lasciando anche qualche pezzetto più grosso.

Rimettere la carne nel sughetto e lasciare insaporire per 5 minuti.

Scolare le pappardelle e unire il sugo facendole saltare in una padella. Lasciare da parte qualche cucchiaiata di sugo da aggiungere direttamente nei piatti.

Ais Delegazione di Arezzo – Gruppo operativo Valtiberina Toscana consigliano

a cura di Antonella Greco

Pappardelle alla lepre e Taurasi – Il vino che vi raccontiamo oggi, è prodotto con un vitigno arrivato in Italia con i coloni greci nel VII/VI secolo a.C. Prese il suo nome dalla polis di Elea ( famosa per aver dato i natali a Parmenide il primo filosofo ad applicare la logica ad un concetto filosofico), Eleanicus, che diventa Aglianico con la dominazione spagnola. Da questo vitigno prendono vita due importanti vini del Sud Italia: il lucano Aglianico del Vulture, e il campano Taurasi, entrambi insigniti di D.O.C.G..

In abbinamento alle pappardelle con la lepre, vi consigliamo il Taurasi, con il suo colore rosso rubino che diventa granato con l’affinamento, e il suo profumo vinoso, di confettura di marasca, rosa appassita, di viola, di spezie come il chiodo di garofano, e di tabacco. E’ un vino complesso, morbido e con una buona persistenza, tale da affrontare il gusto deciso della lepre e lasciare in bocca il giusto equilibrio. Nunc est bibendum!

I consigli di Augusto Tocci

Lepre (Lepus timidus)  un prodotto che fa parte della cacciagione da cespuglio

Piaccia o no, ambientalisti ed animalisti devono rendersi conto che la caccia ha contribuito all’alimentazione umana:  l’uomo da sempre si è rivolto al mondo che lo circondava per procurarsi gli alimenti che potevano fornirgli l’energia per la sopravvivenza.

Forse gli oppositori della caccia hanno qualche ragione riguardo ai comportamenti dei cacciatori di oggi, che tendono ad essere più che altro tiratori e distruttori di tutto ciò che passa davanti alle canne del  loro fucile. Tuttavia , non sempre è stato così e per comprendere l’importanza che la caccia ha avuto per secoli mi sembra significativo ricordare i racconti dei nostri vecchi che di questa operazione avevano fatto quasi una ragione di vita.

Questi mi raccontavano che nel territorio agreste, specialmente di collina e di montagna, ricco di boschi, intervallati da coltivi, talora di modeste dimensioni,  a prevalenza di cereali e di prati pascolo, la selvaggina (lepre in particolare) trovava un rifugio ideale e dell’ottimo cibo, come la lupinella ed il trifoglio, per vivere e riprodursi in abbondanza.

Questo accadeva, purtroppo, solo fino a quando l’ambiente non è stato alterato dall’avvento della meccanizzazione in agricoltura che ha disturbato notevolmente il beato vivere delle lepri. Ed è per questo che conviene soffermarsi su questo animale molto pregiato per la cucina di una volta tanto che già pellegrino Artusi  la declamava  in modo veramente nobile.

Oggi la caccia si sta orientando verso altri animali, introdotti forse affrettatamente, in un ambiente che non era il loro con danno notevole anche per la selvaggina che era tipica di una determinata zona.

Per ben cucinare questo animale conviene ricordare che le sue carni sono sempre ricoperte di pellicole che conviene accuratamente levare, prima di cuocerle, senza troppo intaccare i muscoli. Inoltre è buon uso provvedere a togliere quello che vien detto “il selvatico” tenendo in infusione la carne per una nottata in un liquido così preparato:  mettere al fuoco acqua e aceto (in parti 3 a 1) con scalogni tritati, foglie di alloro, prezzemolo, sale e una presa di pepe nero. Fatto bollire il tutto per  cinque minuti, si versa poi diaccio sulla lepre. Quando poi si toglie dall’infusione va cotta a fuoco lento  completando la giusta salagione.

Il mio consiglio è poi quello di fidarsi di selvaggina nostrale, difficilmente reperibile,  perché oggi ci viene sempre più proposta di importazione con la sicura difficoltà di conoscere la provenienza esatta.

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