Pallavolo, a venti anni dalla promozione del Sansepolcro in Serie B

Intervista ricca di aneddoti a Elvio D'Agostino, il mister che guidò l'impresa: “Si era creato un ambiente straordinario”

Elvio D'Agostino

“Mi viene un sorriso che va da orecchio a orecchio”. È questa la prima risposta di Elvidio D’Agostino, per tutti Elvio, alla domanda su che effetto faccia ripensare al campionato di Serie C maschile di venti anni fa, quello del 2000-2001, concluso con la promozione in Serie B2 della Pallavolo Sansepolcro allenata dal tecnico romano. “È stata una cosa bellissima, c’era tanto entusiasmo, si era creato un ambiente straordinario – ricorda D’Agostino – nonostante le difficoltà con cui tutto era partito. Io ero arrivato da poco da Roma e inizialmente ero stato preso da Brizzi all’Avis per allenare il gruppo giovanile e poi anche la Serie C, con cui nel 2000 arrivammo alla semifinale che perdemmo con il Città di Castello. L’anno dopo ci fu una sorta di fusione tra Asps e Avis e io dovevo allenare l’Under 18, ma l’allenatore designato per la prima squadra all’ultimo momento rifiutò perché non gli avevano preso il palleggiatore che voleva. Insomma fui incaricato di seguire quel gruppo per una casualità, e ne venne fuori una stagione straordinaria, costruita con giocatori che erano tutti di Sansepolcro, a parte Bocciolesi di Città di Castello”. Di quella squadra faceva parte anche l’autore di questa intervista, che divideva il ruolo di libero con Rodolfo Fossi, i palleggiatori erano Mirco Torelli e Marco Calchetti, i laterali Filippo Polcri, Filippo Foni, Fabrizio Matassi e Riccardo Trappoloni, gli opposti Francesco “Bomba” Zanchi e Alessandro Morvidoni, i centrali il già citato Andrea Bocciolesi, attuale coach della New Volley Borgo Sansepolcro, Giulio Morvidoni e Stefano D’Orazio. In panchina, a fare da vice a D’Agostino, Federico Rossi.

Proviamo a ripercorrere i momenti salienti di quell’annata.

Siamo partiti con le nostre difficoltà, ma il gruppo si è rapidamente amalgamato creando grande coesione, e di volta in volta cominciava a venire sempre più pubblico: mi ricordo Fabrizio Besi che faceva da capotifoso dentro un costume da leone, col tamburo a intonare cori tra cui, appunto, “Dodici, dodici, dodici leoni”. Abbiamo avuto risultati in crescendo e ci siamo qualificati a sorpresa per i playoff tra seconde, terze, quarte e quinte classificate dei due gironi toscani. Abbiamo superato bene i quarti di finale, poi in semifinale abbiamo vinto 3-1 in casa con il Pescia: erano convinti di venire da noi a vincere facile e quando si sono accorti che c’era gente che non gli faceva vedere palla hanno smesso di giocare, nel quarto set racimolando pochissimi punti. Questo è stato decisivo, perché al ritorno eravamo noi ad essere in difficoltà, e al quarto set, mentre perdevamo 2-1, stavamo tutti a fare calcoli sulla differenza punti. A un certo punto il Bomba mi viene vicino e mi chiede: “Quanti punti ci servono per passare?” Gli faccio: “Bomba, non te lo dico, non lo devi sapere, pensa a giocare”. Ma lui insiste, glielo dico, entra in campo e la prima cosa che fa è correre sotto i nostri tifosi a urlare: “Due punti ci mancano!” Sono stati i due punti più difficili della mia carriera, non cadeva un pallone. Ma li abbiamo fatti e siamo arrivati in finale, che abbiamo poi vinto con lo Scandicci qualificandoci per la final four interregionale che dava la promozione alla B. Era un girone all’italiana contro le vincenti dei play-off di Marche, Lazio e Sardegna, giocato in tre giorni a Deruta.

Time-out prima del match-point della finale regionale con lo Scandicci

Tre giorni indimenticabili.

Davvero. Vinciamo le prime due [la prima 3-0 con l’Ascoli e la seconda 3-2 con il Quartucciu, annullando numerosi match point consecutivi sull’1-2, ndr] e lo stesso fa il Tivoli, con cui ci incontriamo all’ultima giornata. C’erano giocatori che io avevo allenato, li conoscevo tutti perché a Roma avevo già fatto la B e li avevo incrociati. Avevano un opposto fortissimo a cui davano 20-30 palloni a set, un gioco monocorde. Il primo set fa 20 punti e vincono loro. Al cambio campo incrocio sotto rete il palleggiatore, che avevo allenato. Mi guarda e mi fa: “Ervio, oggi te rompo er culo!”. Aspetta a dirlo alla fine, no? L’opposto il primo set fa 20 punti, poi 15, poi 10, poi scoppia, non pervenuto. Arriviamo al tie-break, all’ultimo punto chiedo: “Ragazzi, chi la mette a terra?” Pippo Polcri urla: “La metto a terra io!” “E allora vai, Toro, palla a Pippo e non pensare a nient’altro”. Parte l’azione, Torelli alza a Polcri e palla a terra, Serie B, tifosi in delirio. Quando siamo tornati a Sansepolcro ci aspettavano in tantissimi con trombe e tromboni al palazzetto, e poi tutta la notte festa a casa Besi. Bei ricordi davvero! E come dico sempre ai miei atleti, la vittoria bisogna godersela, non è mai scontata, i campionati che vinci in una carriera di vent’anni saranno pochi e quelle occasioni bisogna sentirle proprie, raccontarle ai figli, sono cose importanti.

L’anno dopo invece fu tutto più difficile.

Sì, se vuoi mantenere il livello non basta quello della Serie C. Se eri in C c’era un motivo. Avevi maturato una mentalità vincente, un entusiasmo, ma poi tutto si stressa, la B richiede un approccio tecnico diverso, alcuni non sono pronti e devi andare a cercare altri giocatori, questo crea malumori e difficoltà. Ma soprattutto ti scontri con realtà che sono forti, che hanno tradizione, non sei più nel tuo orticello regionale. Quindi per noi che abbiamo fatto sempre tutto con minimi mezzi e guardando molto al budget i risultati che abbiamo ottenuto sono stati tanta roba, perché in sei anni abbiamo fatto tre campionati di B e su qualche decina di atleti avuti in quel periodo ce ne sono stati sei o sette che venivano da fuori, gli altri tutti dalle giovanili. L’acquisto più importante fu Damiano Carchedi, che avevo allenato da piccolo e che ci aiutò tantissimo, essendo tra l’altro l’unico tra quelli che venivano da fuori a rimanere in serie C dopo la retrocessione dalla B. Al secondo anno di C poi siamo tornati direttamente in B vincendo il campionato dopo aver avuto per tutta la stagione un punto di vantaggio sul Centro Incontri Firenze. Dopo altri due anni di B sono andato via perché quel ciclo importante secondo me era terminato. Tra l’altro non c’era soltanto il vertice, con l’Under 16 abbiamo vinto per tre volte il campionato provinciale, che il Sansepolcro in passato aveva vinto solo una volta con la generazione 1981.

Elvio D’Agostino dà istruzioni ai suoi durante i play-off 2000-01

La tua carriera com’è proseguita?

Dopo ho fatto cinque anni a Città di Castello e poi sono tornato al Borgo perché c’era la vecchia dirigenza con cui c’era anche affetto. Il presidente Bellucci mi ha chiamato a gestire il femminile dopo che era andato via l’allenatore. Passare dalla C maschile di Castello alla D femminile fu straniante, perché in un caso è tutta tattica e potenza fisica, e se non cade il primo pallone cade il secondo, mentre le ragazze giocavano venti azioni ogni scambio, e allora l’approccio doveva essere molto diverso. Poi alla fine di quella stagione sono tornato anche ad allenare la C maschile del Sansepolcro per i play-out, anche lì era andato via l’allenatore. Adesso sono allo Star Volley, una realtà piccola in cui facciamo la Serie D femminile e stiamo andando benissimo, almeno in zona vinciamo tantissimo, siamo riusciti a tirare su una base tecnica importante e competitiva. Poi quando esci è diverso, servono altezza, numeri, un background che ti aiuta nei momenti di difficoltà. Si chiama àncora, quella che ti fa dire: “Questa situazione l’ho già passata e ho vinto”.

Come è cambiato negli anni il tuo rapporto con la pallavolo?

“Mi sono adattato, ho seguito l’onda, i mutamenti non li ho mai respinti. Il rally point system al posto del cambio palla, il net sulla rete, la difesa in palleggio, tante cose sono mutate ma le ho trovate sempre positive. Devi stare al passo, devi studiare, non sederti. Con la mia Under 15 femminile in vallata non abbiamo mai perso, ma a ogni allenamento dico sempre che quelle che abbiamo battuto ieri da oggi in poi si allenano per batterci la prossima volta, e se noi ci sediamo la prossima volta ci battono. Questo è un po’ il mio credo, anche a Sansepolcro la prima cosa che feci fu organizzare un’amichevole a Falconara: perdemmo 5-0 ma dissi ai ragazzi: “Se volete avere un riferimento vi dovete confrontare con quelli più forti, non con quelli più scarsi, perché se battete quelli scarsi siete i più bravi, ma degli scarsi”. Dobbiamo alzare sempre l’asticella. E conta tanto l’aspetto mentale: ci sono quattro concetti, l’aspetto tecnico, tattico, fisico e motivazionale, e per arrivare a una prestazione ottimale la parte motivazionale serve! Tutto questo per dire che ho fatto un percorso, non sono rimasto l’allenatore di venti anni fa. Ci sono cose che non faccio più e cose che faccio diversamente, adattandomi a quello che richiede la pallavolo moderna. L’unica cosa che mi dispiace è che comunque devi avere il fisico: fino a poco tempo fa giocavano anche atleti relativamente bassi come Samuele Papi, lo stesso Claudio Nardi. Oggi l’altezza e la preparazione fisica hanno elevato tantissimo la prestazione e quindi ad alto livello è più bella da vedersi la pallavolo femminile, soprattutto da far vedere a chi impara, perché il gesto tecnico è molto più curato. Invece a livello maschile c’è bisogno di guadagnare decimi rispetto al muro e quindi viene fatto tutto quello che è possibile, anche giocando tecnicamente sporco. Però in generale sono contento di dove sta andando la pallavolo”.

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