“Sono momenti difficili, io credo che in questo momento tutti dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza: da chi fa le mascherine e le deve vendere a un prezzo equo e non a 8 euro, fino a chi offre i soldi agli imprenditori. Purtroppo il Covid-19 non l’ha voluto nessuno, ma non è colpa neanche degli imprenditori o dei dipendenti. Per cui o ci diamo una mano tutti, o ci ridimensioniamo tutti, o sennò non si riparte”. Comincia con queste considerazioni l’intervista di TeverePost a Nicola Cestelli, imprenditore di Sansepolcro che opera nel settore turistico, ed in particolare nel campo dell’importazione e della produzione di souvenir. Con lui affrontiamo a tutto tondo il tema delle conseguenze economiche dell’emergenza coronavirus. “Per la prima volta questa crisi mette in ginocchio anche le grosse aziende”, spiega Cestelli. “Fino ad oggi a risentire di più delle varie crisi sono stati i piccoli negozianti, i piccoli imprenditori, le piccole partite Iva. Noi siamo in contatto con tante realtà, dalla Spa con 2000 dipendenti fino al bottegaio di paese che è da solo, e ci siamo resi conto che tutti in proporzione hanno problemi molto gravi. Questo è preoccupante, perché pensare che da questa crisi un’azienda grossa ne esce a pezzi come una piccola, significa pensare a migliaia di posti di lavoro. Spesso con contratti ultra-precari, quindi gente che viene mandata via senza neanche la possibilità di cassa integrazione. Questa crisi è preoccupante proprio per questo, perché ha colpito veramente tutti”.
Come valuti gli interventi del Governo?
Il decreto liquidità, la famosa “potenza di fuoco” di Conte, se da un lato non regalava niente agli imprenditori, perché comunque ti saresti dovuto indebitare, però sembrava una cosa equa: lo Stato anticipava 400 miliardi agli imprenditori a interessi prossimi allo zero, con la garanzia del 90% di Sace. Tutti quelli che non avevano problematiche pregresse avrebbero potuto accedere. Si sarebbe trattato di un debito sostenibile e un’azienda avrebbe potuto fare un piano di rientro in sei anni senza pagare interessi al credito. Quindi quel decreto l’avevo accolto con entusiasmo. Tradotto nella fattibilità, però, intanto le banche possono aderire o no, quindi tantissime non aderiscono, a parte i grossi gruppi che sono alla fine Unicredit e Intesa San Paolo. Che però ti riportano alla realtà dicendo che gli interessi prossimi allo zero sono quelli che paghi a Sace per la garanzia del 90%, poi in base al tuo rating la banca applica i propri interessi. Quindi ci sono imprenditori che potranno accedere a quei soldi – con una burocrazia ben più lunga rispetto alle annunciate 72 ore – a un interesse complessivo intorno al 3%. Altri invece non ci potranno proprio accedere perché gli interessi saranno molto più alti. Quindi diciamo che sono state dette tante cose ma alle fine ne sono state fatte poche. I miei dipendenti a oggi non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione per il mese di marzo, e siamo al 27 aprile. Ci sono serie difficoltà, c’è gente che è dovuta ricorrere al pacco alimentare per la prima volta nella sua vita. I 600 euro che hanno dato alle partite Iva ad alcuni sono arrivati, ad altri sono stati accreditati virtualmente nel conto corrente ma senza essere disponibili perché non ci sono i fondi. Ieri sono state annunciate altre misure tra cui crediti a fondo perduto per le aziende con meno di 10 dipendenti, ma visto che non sono state ancora attuate le azioni del decreto liquidità, anche in questo caso mi sembra difficile che lo Stato possa venire realmente in soccorso.
Da una parte è anche comprensibile, perché l’Italia viene da un indebitamento stratosferico, per cui non ha soldi da regalare come, magari, la Germania o gli Stati Uniti. Purtroppo il nostro Paese ha problemi grossi da anni e quindi non ci aspettavamo regali. Però le banche comprano i soldi dalla BCE allo 0,25%: se ce li ridessero almeno allo 0,50%, guadagnando meno tutti e mantenendo i posti di lavoro, sarebbe una cosa giusta.
Gli enti locali, nel loro piccolo, cosa possono fare?
Gli enti locali per caduta vivono di quello che lo Stato gli offre, come i soldi per i pacchi alimentari. Almeno quelli sono arrivati celermente, così chi non ha da mangiare in qualche modo ha potuto fare. A Sansepolcro sono arrivati 83.000 euro che in proporzione non sono pochi. Ora speriamo che ne arrivino altrettanti. Per il resto l’amministrazione comunale ha provato a fare qualcosa a livello di provvedimenti per la liquidità alle aziende, ma sono provvedimenti un po’ come quelli del Governo: sulla carta potrebbero far gola, poi quando vai a sviscerare il provvedimento vedi che resta poco. Il comune rimborsa il 50% degli interessi di un finanziamento che puoi chiedere al Credito Cooperativo. Questo poteva essere interessante per i piccoli esercenti, bar, ristoranti, attività piccole perché comunque aveva un tetto, però è legata anche al fatto che tutte queste piccole realtà devono essere in regola, forse anche giustamente, con i contributi della nettezza urbana, con il suolo pubblico eccetera. E in ogni caso il credito è al 3%, e anche se l’1,50% lo paga il comune, non sono certo soldi regalati.
Quali strategie può mettere in campo la singola azienda per fronteggiare la situazione?
La singola azienda oggi è veramente in difficoltà, perché quei pochi soldi che ancora potresti investire per scommettere su un futuro non sai veramente dove spenderli. È un momento di estrema incertezza, le risorse sono poche e c’è paura di sbagliare ad investirle. Oggi è facile dire: “Internet non si ferma e quindi investiamo tutti su un sito internet, andiamo tutti a vendere su internet”. Non è che fai il sito e domattina arrivano le vendite, ci vogliono le capacità e le competenze, ma tantissime piccole aziende magari non le hanno all’interno e non possono pagare terzi. Quindi non è semplice dire dove rivolgersi e dove investire. Sicuramente le piccole aziende devono trovare il modo di avere un pubblico molto più ampio. Perché bene o male in Italia hanno fatto chiudere tutti, ma chi effettivamente aveva il lavoro erano quelle aziende che avevano rapporti un po’ con tutto il mondo. Magari il Covid arriva prima in Italia e loro continuano a lavorare con l’Australia e gli Usa; poi arriva in America, l’America si ferma ma riparte prima l’Italia e così via. Purtroppo un mondo globalizzato e connesso vorrebbe che anche le aziende non avessero un pubblico troppo locale, ma più ampio per cercare di sopperire a questi momenti di crisi. Il problema è per i negozianti che vivono con l’utenza locale. Lì vedo nero, nel senso che anche quando li faranno riaprire non ci sarà la fila nei negozi. E quindi sarà molto difficile, soprattutto per il commercio al dettaglio e soprattutto locale.
Qual è il ruolo delle associazioni di categoria?
Mah, per la verità le associazioni di categoria a volte non vengono neanche contattate, o qualche volta vedo che l’imprenditore si rivolge all’associazione di categoria più per sollecitare ad informarsi o ad intraprendere determinate azioni che per chiedere cosa fare. Forse anche perché in Italia siamo talmente frammentati che ci vorrebbero ancora più associazioni di categoria per avere un contatto diretto. Secondo me dovrebbero essere più settoriali, per esempio il turismo dovrebbe avere la sua associazione, l’export lo stesso. Un’associazione che riunisce tutti i commercianti secondo me abbraccia un po’ tutti e un po’ nessuno.
Quali sono le speranze per il futuro?
Io spero che ridimensionandoci un po’ tutti nei guadagni, nei costi e dandoci una mano riusciremo ad arrivare in fondo. Non tutti probabilmente, perché chi aveva problemi già prima di questa forte crisi purtroppo non ce la farà. Però quelle aziende che erano sane prima di fine febbraio 2020, dandosi una mano l’una con l’altra, secondo me riusciranno a ripartire. Non certo sperando negli aiuti di chi non li può dare, ma dandosi aiuto a vicenda: il dipendente all’azienda, l’azienda al dipendente e gli imprenditori uno con l’altro. Io attualmente ricevo tantissime chiamate di colleghi, anche di settori diversi, per darci una mano su gruppi di acquisto, per capire dove è meglio comprare, ad esempio, le mascherine o il gel igienizzante per poter riaprire l’azienda, per poter mettere gli operai in sicurezza. Quindi se facciamo catena tra noi imprenditori sicuramente ce la faremo a ripartire. Con grandi problemi, perché ci porteremo dietro per anni questa situazione dovendo pagare i finanziamenti e la liquidità che non abbiamo, però potremo ripartire. Ma, ripeto, bisogna ridimensionarci tutti e darci una mano l’uno con l’altro.