Mosè Mondonico è nato nel 1978 ed è originario di Sansepolcro, dove frequenta le scuole superiori e fa le prime esperienze lavorative giovanili nel mondo della ristorazione. Il suo percorso universitario nel neonato corso di laurea di scienze motorie all’Università di Perugia è interrotto dal servizio militare. Assegnato all’infermeria della caserma dei Lupi di Toscana di Firenze, ha modo di stare a contatto con il personale medico e di appassionarsi alla fisiologia e alla clinica. ll bagaglio maturato nell’esperienza militare gli dà una marcia in più per recuperare tutti gli esami e finire il percorso di studi come primo laureato del corso. Dopo ulteriori specializzazioni comincia ad occuparsi della fisiologia dell’esercizio fisico. Per circa un decennio lavora come esperto di rieducazione funzionale e poi come vice-responsabile scientifico di una società di formazione che si occupa di programmi e di preparazione per i professionisti dell’esercizio fisico. Entra così in contatto con il mondo professionistico delle squadre di calcio e con le aziende produttrici di macchinari e tecnologia del settore. Infine, un ulteriore master in biomeccanica gli permette di allargare le propria attività anche verso questa disciplina.
Cosa ti ha portato lontano da Sansepolcro?
Per quanto io abbia un rapporto splendido con la Valtiberina, dal punto di vista lavorativo ho avuto il bisogno di entrare in contatto ed interagire con molte persone di altri territori. Tra queste persone c’è stata anche quella che sarebbe diventata la mia compagna, che dalla terra natìa mi ha portato a Montecatini, dove abbiamo formato una famiglia con l’arrivo anche di un figlio. Quindi un trasferimento principalmente per questioni d’amore e non lavorative.
Come ti sei appassionato a quello che poi è diventato il tuo lavoro?
Vengo dagli sport di combattimento sui quali ho speso la mia giovinezza. Sono stato spinto dalla curiosità di cercare di capire cosa succede a livello fisico quando ti alleni. Come per tanti colleghi, inizialmente leggevo le riviste di settore, poi qualche libro e infine ho intrapreso il percorso universitario. Nella mia ottica di lavoro c’era un obiettivo, ovvero non diventare un allenatore-istruttore ma proporre qualcosa di differente. Quando mi sono laureato ancora in Italia il settore della ricerca applicata all’esercizio fisico era piuttosto acerbo, mentre in ambito internazionale, in particolare nel Nord America, le figure del fisiologo dell’esercizio sono molto più conosciute. In Italia c’è una struttura ed organizzazione differente, dato che la laurea in scienze motorie viene vista più come lo sbocco verso l’insegnamento scolastico o l’apertura di una palestra. Nella mia idea c’era già da allora qualcos’altro.
E quindi che lavoro fai?
Sintetizzando sono una sorta di ricercatore applicato alla fisiologia dell’esercizio, quindi fisiologo dell’esercizio e biomeccanico. In fisiologia dell’esercizio valutiamo mediante la tecnologia quali sono le modificazioni, quindi dal vivo durante le prove, che un atleta o un soggetto ha quando viene esposto all’allenamento. Non va confuso con la medicina dello sport. In quest’ultima è un medico che esegue dei test e si cerca di capire il rapporto tra sport e patologie che potrebbero emergere nel praticare l’attività. Nel mio caso osservo le modificazioni fisiologiche, mentre per quanto riguarda la biomeccanica si tratta di modellizzare il corpo quasi come fosse una macchina, da cui cerchiamo di tirare fuori dei numeri. Con questi cerchiamo di capire se il soggetto si muove bene oppure male, o quali esiti può aver lasciato un infortunio. Quindi esaminiamo su quali problematiche principali si può lavorare.
Nel concreto il mio lavoro è diviso in due parti. Nel filone libero professionale offro servizi di consulenza. Può capitare a team professionisti e ho lavorato con staff di squadre importanti come Parma, Milan, Juventus nel calcio, Petrarca Rugby, il pugile Alessandro Riguccini in occasione della recente difesa del titolo mondiale. In questi casi mi occupo della fisiologia della biomeccanica, guardando come la macchina uomo, lo sportivo, funziona correttamente e se può funzionare meglio, soprattutto se la sua capacità di prestazione non va al top e se rischia o meno di esporsi ad un infortunio. Il mio è un lavoro molto preventivo per quanto riguarda la salute degli sportivi, ma le mie collaborazioni sono anche con i centri fitness e quindi aiuto trainer, personal trainer e palestre per cercare di strutturare il lavoro più corretto e più adatto alla loro clientela. Inoltre ho collaborazioni di tipo clinico-sanitario, ad esempio con studi medici o centri di fisioterapia in cui vado a fare valutazioni in ambito metabolico o biomeccanico per cercare di aiutare i sanitari a verificare se le terapie in atto siano sufficientemente adeguate e che portino effettivamente ai risultati sperati. A questo viene unita la fase di ricerca e sviluppo che si ha con aziende produttrici di macchinari per palestre o tecnologie per lo studio e l’analisi del movimento e la fisiologia del movimento. Questa è la parte libero professionale.
L’altra parte del mio lavoro è dedicata ad una scuola di formazione che ho co-fondato assieme alla mia compagna che fa il mio stesso lavoro. La società si chiama ISEC, ci occupiamo di formazione professionale post universitaria proprio per gli specialisti delle scienze motorie. Questo è un elemento di forte impegno da parte nostra. Nella nostra società siamo accreditati per tutti i percorsi a livello europeo e conseguentemente chi si forma da noi ottiene un titolo riconosciuto anche in ambito internazionale. Questo con una forte rete di relazioni avviata con Bruxelles e con tutti gli enti preposti al controllo della formazione in ambito fitness.
Quindi ti capita anche di viaggiare grazie al tuo lavoro.
Il viaggio è al centro di un lavoro come il mio. Le mie consulenze le faccio in tutta Italia e anche all’estero. Quindi in base alle reti di relazioni che si vengono a creare abbiamo la possibilità di muoverci in ambito europeo ed extraeuropeo. Questo vale anche per la società di formazione, quindi per entrambi gli ambiti di cui mi occupo. A volte veniamo chiamati a meeting o eventi e questo prevede che ci sia una completa mobilità. Mi è capitato di fare attività come docente o consulente in molti Paesi europei e asiatici. Dico sempre che il mio lavoro lo potrei svolgere in qualsiasi angolo del pianeta poiché mi sono tenuto la possibilità di scegliere come muovermi e dove muovermi in relazione alle varie esigenze. Anche la scelta di venire a vivere a Montecatini Terme è stata legata anche al fatto che ho cercato di legare le esigenze familiari con quelle lavorative. Ho pensato anche di trasferirmi in altri Paesi, per esempio un’area molto ben strutturata per chi si occupa di fisiologia della sport è lo scacchiere medio-orientale, paesi tipo Emirati Arabi o Qatar presentano degli istituti privati di eccellenza per la ricerca scientifica nell’ambito dell’esercizio fisico. Però allo stato attuale, nonostante tanti colleghi si siano trasferiti all’estero, ho ritenuto non necessario intraprendere questo tipo di percorso.
Quale è l’esperienza più particolare che hai fatto durante la tua professione?
Una consulenza in Kazakistan. Un’azienda produttrice di strumenti per palestre aveva venduto un’apparecchiatura in Kazakistan. I trainer locali dovevano essere formati per il suo utilizzo e io ero stato scelto per andare a fare la formazione. Ero stato avvertito una settimana prima, ovvero il tempo minimo per poter avere il visto per farmi partire. Il lavoro sarebbe stato nella capitale Astana, oggi ribattezzata Nursultan. Palazzi lucenti, petroldollari che girano ovunque, una città ricca e piena di costruzioni simboliche come piramidi, fiumi e laghi sorti dal nulla, palazzi a forma di aquila se visti dall’alto, palazzetti che sembrano ufo. È stata una sorpresa trovarsi in questa situazione. La popolazione ha tratti somatici asiatici ma parlava russo. Mi sentivo in un futuro distopico. La gente era gentile e affabile e siccome non avevo avuto molto tempo per prepararmi a questo viaggio tutto mi apparve molto sorprendente. Sono atterrato alle tre di notte e avevo il primo incontro alle otto del mattino, quindi non sono riuscito neppure a dormire. Sono entrato in una palestra decisamente differente da quelle che sono abituato a frequentare, vuoi per le apparecchiature e per le strumentazioni, ma anche per l’aspetto dei trainer stessi. Non parlavano inglese e questa era già una discreta problematica, mentre io non conoscevo il russo o il kazako. Installare un computer con un proiettore che aveva le scritte con l’alfabeto cirillico si rivelò un ulteriore guaio. Tra la stanchezza del viaggio e le difficoltà linguistiche per comunicare me la sono vista davvero brutta. Fortunatamente in questo lavoro si comunica molto con il corpo e quindi almeno nella parte pratica siamo finalmente riusciti a scioglierci e abbiamo parlato in un certo senso la stessa lingua.
Questa è un’esperienza che mi sono portato dietro perché mai avrei pensato di poter svolgere un’attività lavorativa in Kazakistan. Se non fosse stato per questo difficilmente avrei visitato questa nazione dove non si capita per caso. Alla fine sono molto contento di aver fatto questa esperienza.
Puoi dare un consiglio ai lettori di TeverePost per tenersi in forma e vivere bene il rapporto con lo sport?
L’attività motoria e l’attività sportiva sono una delle necessità primarie che l’uomo deve avere. Non è un semplice vezzo. Molti confondono l’aspetto estetico con la forma fisica. Il primo è un qualcosa che dipende dallo specchio, ma pensare di mettersi in forma per pomparsi i muscoli o dimagrire è soltanto una faccia della medaglia e non è quella più importante. Siamo composti per circa il 40% da muscoli e questi muscoli hanno la necessità di muoversi e ci consentono di interagire con l’ambiente esterno. In passato sono quelli che hanno permesso l’evoluzione della specie e tuttora rivestono un elemento importante. Pensiamo che in una popolazione come quella italiana la sedentarietà provoca la maggioranza delle patologie che vengono chiamate esercizio-sensibili, come l’ipertensione, il diabete, l’alterazione dei valori ematici del colesterolo o dei trigliceridi, e poi a cascata problematiche come ictus, coronaropatie, infarti. Il fatto di potersi muovere e di fare un’attività motoria di base è fondamentale principalmente per questo. Nella mia carriera lavorativa ho la fortuna di poter verificare come i miglioramenti che ha un soggetto quando si allena siano eccezionali e strepitosi. Ho avuto la possibilità di seguire persone che facevano terapia farmacologica per l’ipertensione e che allenandosi correttamente sono riusciti a sospendere la terapia. Altri che facevano terapia farmacologica per il diabete di tipo secondario sono riusciti a ridurre la terapia e migliorare il profilo ormonale. Visto in quest’ottica la cultura motoria assume un valore enormemente più ampio. In Italia non siamo messi male perché ci si muove a sufficienza, ma sicuramente si può fare molto meglio. Mi piace l’approccio britannico, dove chi si allena nelle palestre ha dei vantaggi sulla prescrizione di esami e servizi presso il sistema sanitario nazionale. Ad esempio gli viene permesso di avere una lista d’attesa più corta per un determinato esame rispetto a chi non si allena. È un circolo virtuoso perché la sedentarietà sociale ha costi importanti che potrebbero essere evitati con un minimo di impegno. Quindi è fondamentale focalizzarsi sull’aspetto benefico e preventivo dell’attività motoria e non tanto su quello estetico. Ripeto questo concetto, altrimenti l’attività motoria verrebbe fatta solamente nel momento in cui si sente di voler migliorare esteticamente. Questa è un’esigenza come tante ma non deve essere il motore principale. Bisogna muoversi a prescindere.
Nella tua famiglia c’è stato un personaggio importante e conosciuto nel mondo dello sport. Questo ha in qualche modo influito nella tua passione?
Emiliano Mondonico, grandissimo giocatore e allenatore tra l’altro di Torino, Atalanta e Fiorentina, poi opinionista sportivo, venuto a mancare due anni fa, era cugino di mio padre. Un nome importante che nel mondo del calcio è sempre stato conosciuto e apprezzato. Capitava spesso che quando mi presentavo nei campi di calcio il mio cognome pesante venisse notato. Però non ne ho mai fatto alcun utilizzo. Ho sempre evitato di chiedere qualsiasi favore per qualsiasi cosa, anzi non mi è mai passato per la testa. Abbiamo avuto percorsi diversi nel mondo dello sport e non ci siamo mai incontrati, visto che non ho mai collaborato direttamente o indirettamente con le sue esperienze sportive. Diciamo che è sempre stato bello parlare di lui o ricordarlo quando mi è capitato di lavorare nel mondo di calcio. Insomma, non ho mai sfruttato l’occasione di essere “parente d’arte”, pur essendo onorato di venire spesso accostato a lui.