Più che un capitano è stato un condottiero, uno di quei giocatori che in campo dava l’anima e che nella sua lunga carriera ha onorato in ogni partita la maglia che ha indossato. Una maglia che è stata quasi sempre di colore biancoverde, per 4 anni quella del Soci e per tante stagioni quella della Baldaccio Bruni Anghiari, la squadra del paese in cui è nato e in cui vive da sempre. Uniche eccezioni le esperienze al Sansepolcro (nel 1977-1978 con la Berretti) e all’Asca Anghiari nell’ultimo anno della sua avventura in FIGC. Stiamo parlando di Moreno Bassani, uno dei giocatori simbolo del calcio anghiarese e di quella squadra biancoverde partita dalla Terza Categoria ed arrivata per la prima volta nella sua storia in Promozione. Una scalata eccezionale, impreziosita ulteriormente da quel record di imbattibilità casalinga durato per ben 5 stagioni. Moreno era uno dei leader di quella formazione, riconosciuto dai vari allenatori, dai compagni e dai tifosi anghiaresi. La sua carriera a livello agonistico è terminata nell’estate del 1995, ma la sua passione per il calcio giocato non è mai scemata, tanto che ancora adesso, prima naturalmente dello stop dovuto all’emergenza Coronavirus, si diletta nel torneo “Borgo Vecchio”, giocando ogni sabato. Una storia “infinita” verrebbe da dire, che oggi ripercorreremo nella consueta intervista settimanale di TeverePost.
Moreno, cosa ricordi dei primi anni di questa avventura?
Non esisteva ancora la scuola calcio e così, come tutti gli anghiaresi della mia generazione, ho cominciato al Campo alla Fiera, giocando a pallone con gli amici. Poi il passaggio negli allievi della Baldaccio con qualche presenza in prima squadra nel campionato di Terza Categoria. Nel 1977-1978 mi chiamò il Sansepolcro per giocare con la Beretti e quella con la maglia bianconera fu davvero una bella esperienza. Ci piazzammo al 2° posto dietro la Fiorentina allenata da Amarildo, brasiliano ex Campione del Mondo. Ricordo che al Campo Militare di Firenze contro i viola disputai una grande partita tanto che ricevetti i complimenti di Pandolfini, colui che scoprì Antognoni tanto per capirsi. Fui convocato anche con la prima squadra del Sansepolcro, ma senza mai scendere in campo. Mister Magi mi stimava e mi disse che nelle ultime 5 gare se la situazione in classifica fosse stata tranquilla avrei giocato, ma non ci fu possibilità visto che fu esonerato. A fine stagione tornai ad Anghiari, però quella esperienza fu molto importante per la mia crescita.
Come fu il ritorno alla Baldaccio?
Molto positivo. Giocai con continuità e vincemmo subito il campionato di Terza Categoria in un’annata dal finale pazzesco. La Sulpizia aveva dominato la prima parte di stagione ed era una squadra molto forte, ma nelle ultime giornate perse qualche colpo e noi ne approfittammo, raggiungendola in classifica. A decidere il successo finale fu lo spareggio disputato in campo neutro al Buitoni di Sansepolcro davanti a un pubblico numeroso, con tantissimi anghiaresi. Noi eravamo più motivati e più in forma a livello fisico, tanto che dopo 35 minuti vincevamo già 4-0. La sfida si concluse 4-2 e fu festa grande. Ricordo che i tifosi anghiaresi a fine gara invasero pacificamente il terreno di gioco esultando con noi. Fu uno dei giorni più belli ed emozionanti della mia carriera, anche perché eravamo tutti ragazzi del posto in un calcio forse povero ma fatto di valori. A guidare la società 4 grandi anghiaresi che purtroppo ci hanno lasciato: Edoardo Marinari detto Dodi, Ario Tuti, Berto Pernici e Moreno Zanchi. L’anno successivo feci il servizio di leva, poi tornai e vincemmo ancora.
Raccontaci.
L’anno in cui ero militare la Baldaccio retrocesse, così la ritrovai in Terza Categoria. La squadra era forte ed in quel campionato dominammo la scena conquistando il successo finale. Per me due annate e due vittorie. Non male come inizio. Nella stagione seguente in Seconda Categoria ci salvammo e giocammo anche contro il Soci, compagine che centrò la promozione e nella quale mi trasferii a fine campionato. In Casentino rimasi 4 anni e mi trovai benissimo.
Quali sono i ricordi più belli di quel quadriennio?
Ce ne sono tanti. Nei tre anni di Prima Categoria la crescita fu costante. La salvezza nella stagione del mio arrivo, il 3° posto dell’anno successivo e poi nel mio terzo anno la vittoria del campionato in uno spareggio incredibile sul neutro di Levane contro il Cortona allenato da Valerio Piccinelli, anche in questo caso dopo una rimonta nella seconda parte di campionato. Arrivammo al match decisivo con qualche assenza e con il “fiato corto”, quindi scendemmo in campo con la speranza di arrivare ai rigori. Tutto andò secondo i nostri piani e fu la scelta giusta anche perché tra i pali potevamo contare su Andrea Lodovini, un grande portiere. Vincemmo noi e fu una gioia condivisa con i tanti tifosi che ci seguivano ogni domenica. Soci aveva davvero un pubblico appassionato e numeroso che ci dava una spinta eccezionale soprattutto nelle partite interne. La mia avventura con i biancoverdi casentinesi si concluse l’anno dopo con la salvezza sofferta ma meritata in Promozione. La società aveva problemi economici e ridimensionò i progetti, ma sarei rimasto se mister Battiston fosse stato confermato. Questo non avvenne e decisi di tornare nella mia Baldaccio. Fu l’inizio di un’altra bella cavalcata.
Siamo nel 1987-1988, una stagione indimenticabile per il calcio anghiarese.
Una grande squadra con Andrea Sammartano in panchina, Mariutti in porta e in campo giocatori forti come Niccolini Enzo, Bruni, Caracchini, Mattesini, Gennari, Cambi e tutti gli altri. Arrivammo alla sfida decisiva con il Montagnano in una domenica di abbondante pioggia e con tantissimi anghiaresi ad incitarci. Era una delle ultime gare e in caso di successo avremmo vinto aritmeticamente il campionato. Non ci lasciammo sfuggire la chance e nel nostro terzo gol fui io ad effettuare il cross che Caracchini mise a segno con una sforbiciata spettacolare. Che emozione e che festa!
L’anno successivo in Prima Categoria non arrivarono risultati memorabili per la Baldaccio, ma per te non fu comunque una stagione banale. Vero?
Mi ero fatto male al ginocchio nella fase finale della stagione precedente, ma mi operai solo in estate e così a inizio anno non ero al top. Fui spostato nel ruolo di libero per due motivi: ritrovare la miglior condizione in una zona di campo meno dispendiosa a livello fisico e sostituire Sammartano, che non era più giocatore ed allenatore, ma solo allenatore. Feci bene e quello diventò poi il mio ruolo anche negli anni seguenti. Non mi piaceva perché io mi sentivo centrocampista ed amavo partecipare al gioco, ma mi adattai. Presi il posto di Sammartano anche come capitano e questo fu molto bello perché la decisione arrivò direttamente dai miei compagni. Forse vedevano in me un leader, un giocatore di carisma. Fu un grande orgoglio.
Arriviamo alla vittoria della Prima Categoria e alla prima “storica” volta della Baldaccio in Promozione.
Stagione 1990-1991 con Mariutti allenatore e una squadra forte che ormai si conosceva e che sapeva farsi rispettare. Arrivammo al 3° posto e grazie al ripescaggio ci fu la possibilità di accedere alla Promozione. Di quella memorabile stagione voglio ricordare un giovane attaccante, Simone Bondi, che purtroppo non c’è più e che fu per noi molto importante, con i suoi gol e la sua contagiosa simpatia. In Promozione fu molto difficile ovviamente, ma riuscimmo a centrare la salvezza dopo un triplice spareggio: prima in casa contro l’Altopascio e in trasferta con l’Argentario, poi un ulteriore e decisivo scontro sul neutro di Incisa di nuovo con l’Altopascio che vincemmo 1-0 con gol mi sembra di Enrico Bianchi. Una salvezza sofferta, una grande soddisfazione dopo una stagione molto tirata.
In pratica negli spareggi non hai mai perso quindi. Cosa serve in gare che decidono una stagione?
Sicuramente un pizzico di fortuna, poi la capacità di gestire lo stress e di arrivarci con la migliore condizione psico-fisica. La tensione c’è ovviamente, più in uno spareggio che vale la salvezza di uno che vale per il salto di categoria, perché retrocedere fa veramente male. Importante anche vivere bene l’attesa, senza pensarci troppo. Non era facile perché conoscendoci tutti non si parlava di altro. Era il bello e il brutto di paesi piccoli come il nostro.
In quel periodo la Baldaccio realizzò un incredibile record di imbattibilità interna. Un orgoglio ulteriore?
Dal 1987-1988 al 1991-1992 non perdemmo mai tra le mura amiche. Un primato che fece parlare di noi ad ogni livello e una grande soddisfazione. Fu una carica ulteriore anche se sentivamo la pressione. La striscia si interruppe nel campionato di Promozione in un recupero infrasettimanale con il Capolona, per un rigore inesistente concesso per un mio presunto fallo ai danni di Peruzzi, episodio che mi fece molto arrabbiare. Il record svanì, ma anche a distanza di anni resta una grande soddisfazione.
Il secondo anno di Promozione si concluse invece con la retrocessione. Delusione o rabbia?
Grande delusione. Eravamo partiti con Piccinelli e le cose non andarono bene, poi con Battiston in panchina rimontammo, ma non bastò. Devo dire che la società in quegli anni non era troppo presente e questo influì non poco sul nostro rendimento. Di quella stagione negativa ricordo comunque due cose con piacere: l’aver giocato a centrocampo e una gara in casa con il Poppi pareggiata 2-2 in cui feci un assist e un gol a Lodovini.
Veniamo agli ultimi anni della tua carriera. Come si concluse la tua avventura in FIGC?
Nel 1992-1993 in Prima Categoria con mister Gallorini la partenza fu buona, ma nel girone di ritorno ci fu il crollo. Nell’ultima gara di campionato ci serviva una vittoria per essere sicuri della permanenza in categoria, ma perdemmo in trasferta con il Mercatale Valdarno e ci salvammo solo grazie ai risultati degli altri campi. L’aspetto più brutto fu che nonostante l’importanza della gara, in tribuna non c’erano tifosi a sostenerci. La delusione fu così tanta che decisi di smettere. Poi in estate il nuovo direttore sportivo Bruni e il neo tecnico Chiasserini vennero a casa mia e mi spinsero a continuare. Giocai un altro anno e tra l’altro anche bene, da centrocampista, poi chiusi la carriera nella stagione seguente, in Terza Categoria con l’Asca Anghiari.
Di giocare però, anche solo per divertimento, non hai mai smesso.
Ho sempre continuato a giocare almeno una volta a settimana assieme agli amici, di ogni età, perché senza calcio non posso stare. Non ho mai voluto provare a fare l’allenatore per non dover rinunciare a questa mia grande passione e sono felice così. Fino allo stop delle attività sportive a causa dell’emergenza Coronavirus tutti i sabati ci trovavamo a Gricignano per il torneo “Borgo Vecchio”. Siamo in 35, ogni partita cambiamo le squadre e c’è una classifica individuale in base alle vittorie e alle sconfitte, con tanto di successo finale e di retrocessione. Si corre meno, ma vivo il calcio come in passato: pranzo con riso in bianco e stessa voglia di vincere dando il massimo su ogni pallone. Fisicamente mi sento ancora bene ed il divertimento non manca. Poi lo sport fa bene al corpo e alla mente. Non vedo l’ora che si possa rincominciare.
Torniamo alla tua carriera. Non eri un attaccante, ma qualche gol lo hai segnato. Quale il più importante?
Nell’anno dello spareggio poi vinto contro la Sulpizia in Terza Categoria segnai un gol molto importante sul campo piccolo e sempre difficile del Fratta Santa Caterina. Un destro da fuori area preciso che ci permise di vincere 1-0 e di rimanere in lotta per il successo del campionato.
Pregi e difetti del Bassani calciatore?
Ero umile, davo sempre il massimo, tatticamente sapevo come muovermi e non volevo mai perdere, ma poi il rovescio della medaglia era che non sempre riuscivo a limitarmi e a gestirmi nel modo giusto.
Il calciatore più forte con cui hai giocato?
Oltre i tanti giocatori esperti che avevano calcato campi professionistici, dico Enzo Niccolini, centrocampista con spiccate doti offensive, ma completo e forte sotto ogni punto di vista che secondo me, viste le sue doti, avrebbe potuto giocare anche in Serie A. Nell’anno a Sansepolcro poi ho imparato tanto da giocatori come Bonfante e Donato. Donato ha giocato fino a oltre 50 anni e l’ho ritrovato anche nella mia stagione all’Asca Anghiari. Gran fisico, persona eccezionale.
Ti piace il calcio di oggi?
Molto meno se devo essere sincero perché c’è poca umiltà e perché più che alla tecnica si guarda alla corsa e alla fisicità. C’è meno qualità e più che andare a vedere una partita preferisco giocarla. Mi diverto di più.
Cosa ti ha dato il calcio e come giudichi il tuo percorso?
Ho conosciuto tantissime persone che hanno condiviso con me questo viaggio e con le quali ancora oggi c’è in molti casi un bellissimo rapporto. Ex compagni e avversari ritrovati magari su Facebook con cui ricordare partite e aneddoti. Fa piacere e significa che in campo, pur essendo rivali, c’erano lealtà e rispetto. Potevo forse fare di più in carriera, ma sono felice di come è andata e poi mi sono divertito tanto. È stata proprio una bella avventura. Ai giovani calciatori vorrei dire che è fondamentale impegnarsi al massimo, dare tutto per la squadra e per i compagni, fare amicizia ed essere leali, gustarsi ogni momento e soprattutto divertirsi giocando.