Michele vive in Svizzera da circa un anno. Cresciuto in Valtiberina toscana, subito dopo la laurea in biotecnologie si è trasferito negli Stati Uniti con una borsa di studio e dopo un breve periodo in Messico ha vissuto per circa 10 anni in Australia. Si è spostato in Svizzera, spinto dal desiderio di riavvicinarsi alle zone di origine e alla famiglia, in modo che i suoi bimbi e la moglie abbiano accesso più facile alla valle e ai valori che lo hanno formato. Dal punto di vista professionale, Basilea inoltre offre uno dei poli biotecnologici più importanti d’Europa.
In quale zona della Svizzera ti trovi e qual è la situazione coronavirus?
Vivo a Basilea città, al confine con Francia (Grand Est) e Germania (Baden-Württemberg), le zone più colpite di quei paesi. Nonostante un numero di contagi più contenuto che in Ticino o Ginevra, valgono le restrizioni nazionali, come il divieto di assembramento (più di cinque persone), la distanza sociale (due metri tra le persone), l’invito alle categorie a rischio a non esporsi e la chiusura dei negozi non essenziali. Nei supermercati per esempio le sezioni che non vendono generi alimentari sono chiuse. Si può uscire a fare esercizio e passeggiate, ma con divieto di pic-nic. I trasporti pubblici operano in modalità ridotta. Le misure sono entrate in vigore a metà marzo e il paese si è adattato, soprattutto con il lavoro da casa e le attività scolastiche in linea. Le aziende possono continuare a produrre con personale minimo e rispettando le restrizioni sul numero di persone e distanza. La sanità ha sùbito allestito zone separate per i pazienti Covid per ridurre i rischi di contagio.
Non si vede molta gente in giro e in genere le linee guida vengono rispettate. Soprattutto nei fiumi intorno alla città, dove in questi giorni molte persone si sono riversate per sfruttare le giornate di sole, c’è un servizio per informare la gente su quali sono i comportamenti a rischio e cosa non è permesso, così da ridurre la possibilità di essere multati.
Com’è la situazione nel resto del paese e come si sono mosse le autorità locali e federali?
Altre zone del paese hanno un alto numero di contagi, specialmente le zone con molti frontalieri dalla Francia (Ginevra, Vaud) e dall’Italia (Vallese e Ticino). Le frontiere sono attualmente chiuse. Gli esempi dei paesi che hanno affrontato la crisi prima sono stati studiati e adattati; per esempio il Consiglio federale (l’organo a capo del governo) si è assunto immediatamente il ruolo decisionale, di fatto togliendo il potere al livello cantonale ed eliminando il rimpallo ed il ritardo decisionale e garantendo una strategia unica a livello nazionale. Inoltre il lavoro da casa e la flessibilità sull’orario sono stati fortemente consigliati cercando di proteggere le categorie a rischio ed evitare che i bimbi rimasti senza scuola (portatori sani) fossero affidati ai nonni (categoria vulnerabile). Un alto numero di tamponi è stato fatto fin dai primi giorni dell’emergenza e gli spostamenti dei positivi sono stati tracciati per interrompere il più possibile la catena del contagio. Quando la situazione si è stabilizzata le province limitrofe di Francia e Germania hanno usato la capacità in eccesso del sistema sanitario elvetico.
Come è cambiata la tua vita e come sono cambiati i rapporti con le altre persone?
La mia vita è cambiata perché sono tre settimane che lavoro da casa. Limitiamo le uscite ad un’ora una volta al giorno per portare i bimbi al parco o al fiume e non vediamo amici. Quando incontriamo altre persone siamo molto attenti a rispettare le distanze. Un’altra cosa a cui abituarsi sono le restrizioni nel numero di persone nei negozi, durante le ore di punta ci sono code davanti all’ingresso invece che alle casse.
Per i miei suoceri in visita invece il volo di ritorno a casa è stato cancellato e spostato di quasi due mesi, quindi ci sono stati l’inconveniente di una ‘vacanza allungata’ e la trafila burocratica per estendere visto ed assicurazione sanitaria, che comunque è stato risolto rapidamente. C’è molta più incertezza e lungaggini da parte della compagnia aerea che da parte del Cantone.
Come lato positivo, lo stare a casa ci ha permesso di parlare con amici in giro per il mondo e di passare più tempo assieme come famiglia.
Come reagisce la gente ai provvedimenti presi dall’autorità?
La gente reagisce bene e vuole fare la cosa giusta. Anche se non è esplicitamente proibito uscire, in giro ci sono poche persone. Grazie anche all’esperienza di Cina ed Italia, i sintomatici sono rimasti in casa e non si sono riversati sui punti di cura, hanno chiamato i numeri predisposti ed avvertito dei loro spostamenti e della necessità di raggiungere l’ospedale che nel frattempo poteva organizzarsi. In parte questo è dovuto al modello di sanità elevetico, infatti le assicurazioni mediche a buon mercato prevedono valutazioni e diagnosi a distanza. Inoltre il senso civico, quello di ‘responsabilità personale’ e di fiducia nelle istituzioni in Svizzera sono molto forti, e hanno contribuito ad una riduzione rapida dei casi.
Il consenso da parte dei cittadini verso l’operato del governo è sempre stato molto alto ed in genere il governo gode della fiducia della popolazione che rispetta le regole.
Come è percepita la situazione italiana, come viene raccontata dai media?
Personalmente sono più vicino alla stampa in lingua italiana che a quella in tedesco o francese. C’è grande apprensione per quello che sta succedendo in Italia perché si capisce che l’Italia è stata colpita duramente. Dal punto di vista sanitario chiaramente ci si preoccupa della riapertura delle frontiere e di come evitare il contagio di ritorno. Dal punto di vista sociale ed economico vengono descritte le misure adottate e l’impatto potenziale sull’economia. L’informazione è comunque molto obiettiva e neutrale e non di natura polemica, speculativa o sensazionalista.
Come vedi lo scenario futuro?
Il Coronavirus ha avuto un impatto negativo su tutti noi, ma se ne può trarre qualche insegnamento ed usare la lezione per migliorare?
Dal punto di vista professionale, ritengo che il dibattito no vax debba prendere una direzione drasticamente diversa e si possa ritenere pressoché chiuso. Al contrario, i nuovi vaccini basati su RNA/DNA e la terapia genica dovranno essere de-demonizzati e nei prossimi anni assisteremo ad un aumento degli investimenti pubblici nel settore. Così come il dibattito sulla digitalizzazione e sulle macchine che tolgono il lavoro agli uomini va rivisto. Le aziende che hanno digitalizzato prima dell’arrivo del coronavirus hanno limitato le perdite. Vedi TeverePost, che è nato in piena emergenza Covid.
Dal punto di vista tecnico inoltre sarebbe interessante capire perché in Italia sotto completa clausura i contagi sono durati più a lungo che in Svizzera con misure decisamente meno restrittive (misure a metà strada tra quelle della Svezia e dell’Italia). Per esempio, Basilea città ha la stessa densità abitativa di Milano ma il numero di vittime e contagi è minore. Inoltre occorre risolvere la contraddizione del chiudere le scuole prima di lasciare i genitori a casa dal lavoro, per non mischiare i bimbi (molto esposti e portatori sani) coi nonni (la categoria più debole), e di riuscire a generare l’immunità di gregge senza rischiare fatalità, così da essere meno suscettibili ad ulteriori ondate di epidemia.
In Italia mi auguro si prenda l’occasione per un serio dibattito su come affrontare situazioni di emergenza che ledono l’interesse comune e per riuscire a parlare con una voce sola e concertata che oltrepassi la polemica sterile e l’immobilismo. In Svizzera come in Australia i più attenti ed intrepidi vedono una crisi di valori che accomuna il crollo dei ponti con il caos prima e dopo l’emergenza e la necessità della mano dura da parte del governo centrale. In Svizzera la gente ha sùbito adottato le raccomandazioni del Consiglio federale ma si è creato un precedente molto serio per i valori di democrazia diretta degli elvetici. Infatti il governo centrale ha scavalcato parlamento e governo cantonale nel prendere le redini della situazione e il potere decisionale, che per uno stato fortemente decentralizzato è inaccettabile. Si riapre inoltre il dibattito sulla necessità di limitare i lavoratori transfrontalieri (portano malattie – la Svizzera non può riaprire Schengen fino che la situazione in Francia ed Italia non torna sotto controllo) che era già sul tavolo della discussione con un referendum a maggio, ora rinviato. Infine c’è molto timore per il rafforzamento del franco come moneta di rifugio e la perdita di competitività dell’export verso l’Europa.
Data la vicinanza geografica con la Germania, si è percepito il dibattito tra i paesi del nord e quelli del sud per il prestito di denaro. I paesi del nord sostengono di aver già pagato prima dell’emergenza per essere pronti e non vogliono pagare di nuovo le spese di chi ora deve mettere toppe. Gli stati del nord chiedono trasparenza su come il denaro viene usato e chi ne beneficerà. Il timore è che si perda nelle inefficienze burocratiche e che la gente che ne ha bisogno ne riceva solo una parte. Gli stati del sud non si possono permettere altro debito (e inoltre li strangolerebbe dal punto di vista politico), mentre la Svizzera ha un debito pubblico contenuto (27% del PIL) e quindi non ha problemi di liquidità.
Infine una considerazione dal punto di vista etico ambientale. Il nostro ‘cannibalismo estremo’, il mangiare ogni specie di animale (vedi mercati di Wuhan), l’allevamento intensivo e la distruzione dell’habitat naturale hanno reso e renderanno eventi di questo tipo sempre più frequenti. L’elevato numero di fumatori e l’esposizione al fumo passivo, assieme all’aumento di malattie croniche come ipertensione e colesterolo faranno sì che la classe debole sarà sempre più ampia e la mortalità più alta. Secondo me occorre riconsiderare il nostro modello di benessere e di sviluppo iniziando dal fare un po’ meno tutti, come abbiamo imparato durante questa pandemia.