Massimo Mercuri, un bomber dalla tecnica sopraffina

Un attaccante formidabile, abile nel trovare la via del gol e nel giocare per la squadra, che a Sansepolcro ha vissuto stagioni memorabili nei primi anni duemila. Su TeverePost la storia calcistica di Massimo Mercuri

Massimo Mercuri (a destra) in azione con la maglia della Sambenedettese

La storia calcistica di Massimo Mercuri è una storia fatta di gol e di momenti intensi che meritano di essere raccontati. Un attaccante di assoluto spessore, capace di “vedere la porta” e di giocare per la squadra, che nella sua lunga carriera ha realizzato quasi 300 gol in categorie FIGC e 323 in totale, compresi quelli messi a segno nella realtà amatoriale. Reti di pregevole fattura sotto il profilo tecnico che hanno fatto gioire i tifosi di tutte le squadre in cui ha militato. Ne sanno qualcosa i sostenitori del Sansepolcro che anche grazie ai gol di Mercuri hanno vissuto domeniche indimenticabili all’inizio degli anni 2000. Quella biturgense è stata una delle tappe più importanti di una carriera caratterizzata nella prima parte dalle esperienze al Valmontone e alla Lazio Primavera, nella fase centrale dalle stagioni con Narnese e Maceratese e negli anni della maturità dai campionati con le maglie di Trestina, Pierantonio, Madonna del Latte e San Secondo. Un’avventura ricca di spunti per un calciatore capace di incidere e di farsi apprezzare. Massimo Mercuri ha tra l’altro compiuto ieri 50 anni e con questa intervista cogliamo l’occasione per fargli tantissimi auguri di buon compleanno.

Quando hai iniziato a giocare a calcio?

Sono nato e cresciuto a Roma, quartiere Monteverde, in una zona tranquilla che mi ha permesso di giocare a pallone già da piccolo con gli amici di infanzia, nei campetti e sulle strade vicino casa. La prima squadra in cui ho militato è stata l’Ottavilla, società del quartiere che poi è diventata qualche anno dopo Olimpia e che giocava nello stesso stadio che ora vede protagonista in Serie D il Trastevere. Dopo passai al Valmontone, società nella quale feci due stagioni nell’Under 18 e con cui, all’età di 16 anni, debuttai in prima squadra nel derby di Promozione con lo Zagarolo. All’inizio ero emozionato, poi per fortuna mi tranquillizzai. Negli anni successivi tornai tra i giovani prima all’Olimpica, vincendo il campionato Under 18 regionale e segnando 28 gol tra stagione regolare e play off, poi alla Primavera della Lazio.

Come è stata l’avventura in maglia biancoceleste?

Era la stagione 1990-1991 e fu una bella esperienza che mi permise di giocare contro le migliori compagini della Primavera italiane e di maturare moltissimo. Tra l’altro tifo Lazio, quindi ti lascio immaginare quanta emozione provavo. L’allenatore era Mario Santececca e la squadra era forte. Il momento più bello riguarda la partecipazione al Torneo di Viareggio, manifestazione di assoluto livello e di grande prestigio, mentre il ricordo meno piacevole è legato a un torneo estivo in cui arrivammo in finale con il Napoli. La sfida finì in parità e si decise ai calci di rigore. Io purtroppo sbagliai e perdemmo. Non sono mai stato convocato nella prima squadra allenata da Dino Zoff. Una volta ci sperai dato che in una partita con l’Inter mancavano sia Sosa che Riedle, ma nessun attaccante della Primavera fu aggregato.

Alla Lazio primavera

Quando e dove iniziasti a giocare stabilmente in prima squadra?

Tornai al Valmontone in Serie D, ma a novembre iniziai il servizio di leva a Pratica di Mare e a causa dei tanti impegni di quel periodo passai al Fiuggi in Promozione. Nella prima stagione giocai 12 gare e segnai 12 reti. Rimasi anche l’anno seguente, poi, finito il militare, tornai in Serie D alla Narnese, società in cui trascorsi tre stagioni.

Quali i momenti più belli di quell’avventura?

Tre anni meravigliosi in cui ebbi la possibilità di mettermi in mostra e che rappresentarono una prima svolta nella mia carriera. Ritrovai Mario Santececca nel ruolo di direttore sportivo e alcuni compagni che erano già stati con me nella Primavera della Lazio, mentre in panchina c’era Roberto Serena. La Serie D attirava molta attenzione e gli stadi erano sempre pieni. Realizzai 30 gol, il più importante dei quali su punizione al Liberati davanti a 7000 persone con la Ternana che stava ripartendo dopo il fallimento. Fu l’apoteosi per me e per la Narnese in un derby dal gusto speciale. Eravamo una squadra forte e i risultati furono ottimi. Nei primi due anni arrivammo ai play off, nel terzo giungemmo a 1 solo punto dalla promozione. Lottammo fino alla fine e all’80’ minuto dell’ultima partita eravamo virtualmente in Serie C, ma poi la Maceratese sbloccò il risultato con un autogol nei minuti conclusivi e si aggiudicò il campionato. Fu un grande dispiacere perché eravamo a un passo da un successo storico, però purtroppo nel calcio capita. Comunque ho un ricordo bellissimo degli anni alla Narnese e ci ho lasciato un pezzo di cuore. Successivamente sono tornato a Narni come avversario e mi è stato riservata una bella accoglienza. I tifosi mi dedicarono anche uno striscione e fu emozionante.

Alla Narnese

Nel 1997-1998 approdasti proprio alla Maceratese in Serie C2. Come fu l’esordio nei professionisti?

Totalizzai 27 presenze e segnai in totale 10 gol: 5 in campionato e 5 in coppa. Ricordo perfettamente la mia prima volta, proprio in coppa, in casa con il Gualdo. Il mister mi fece entrare a 3 minuti dalla fine dicendomi di tenere la palla alta e di guadagnare magari qualche punizione, io però feci di meglio, al primo pallone che toccai. Mi capitò la situazione giusta, stoppai e calciai segnando il gol del 2-0, chiudendo quindi la partita in nostro favore. Fu la rete che cambiò la mia stagione e anche la dimostrazione che nel calcio bisogna sempre dare il massimo per sfruttare ogni momento, anche se si hanno solo pochi minuti a disposizione. Io mi sono sempre allenato bene, consapevole che solo facendo così ci si può far trovare pronti. Quello che fai durante la settimana torna utile la domenica e non ci si deve abbattere. Fu un grande insegnamento ed è il consiglio che ripeto da sempre a mio figlio Niccolò, che oggi gioca in Serie D con il Tiferno 1919.

Mercuri in azione con la Maceratese

Altri momenti belli di quella stagione?

Una doppietta realizzata nella partita vinta da noi contro la Viterbese, la rete del vantaggio siglata nel derby contro il Tolentino che poi purtroppo perdemmo e soprattutto quello che è probabilmente il gol più bello di tutta la mia carriera, in coppa contro l’Avellino.

Ce lo racconti?

Rimessa laterale per noi e palla a Carlo Valentini che superò con un tunnel l’avversario diretto e poi crossò al centro dell’area dove io presi palla in mezzo a due difensori, li scavalcai con un sombrero e calciai al volo mettendo la palla all’incrocio dei pali. Un gol clamoroso insomma, di quelli che ti vengono se tutto va bene una volta nella vita.

Dopo quella stagione tanta Serie D. Prima di arrivare a Sansepolcro ci furono infatti le esperienze vissute con Sambenedettese, Civitanovese, Urbania e Foligno. Come andarono?

Con la Sambenedettese nonostante due mesi e mezzo saltati a causa della pubalgia segnai 12 gol. La società era ambiziosa, il pubblico ci seguiva con grande passione e sentivamo la responsabilità di provare a vincere. Alla fine ci piazzammo al 3° posto e fu una stagione positiva. In estate passai alla Civitanovese, ma la società viveva un momento difficile e a novembre rivoluzionò la rosa puntando sui giovani. Andai quindi all’Urbania che militava tra l’altro nello stesso girone del Sansepolcro e realizzai 12 reti. Chiudemmo la stagione con 43 punti, pari merito con il Bellaria, ma purtroppo retrocedemmo per via del peggior rendimento negli scontri diretti. A Foligno confermai lo stesso bottino personale, con 4-5 gol segnati su punizione tra l’altro, ma per la squadra le cose non andarono bene. Società in difficoltà, 3 tecnici cambiati in stagione e retrocessione a fine anno. Per fortuna che poi arrivò la chiamata del Sansepolcro.

Le stagioni in bianconero ti consacrarono come uno dei migliori attaccanti della Serie D. Quale il segreto?

Si creò fin da subito la giusta alchimia e ricordo benissimo quell’estate del 2001. Il 17 giugno la Roma vinse lo Scudetto e per noi laziali fu un giorno difficile da digerire, ma per me resterà una data indimenticabile e meravigliosa perché nacque mio figlio Niccolò. Un mese dopo, il 21 luglio, iniziò il ritiro con il Sansepolcro e fin dai primi allenamenti sentì di aver fatto la scelta giusta. Nei quattro anni e mezzo in bianconero segnai, contando soltanto il campionato, 74 gol, bottino importante che passa comunque in secondo piano rispetto alla soddisfazione per ciò che facemmo come squadra. I segreti furono tanti, in primis la compattezza di un ambiente familiare, formato da persone eccezionali: dai presidenti Conti e Senesi a mister Valori, passando dal direttore Becci, dal preparatore Faraglia e da Fabrizio Innocenti che era sempre al nostro fianco, senza dimenticare coloro che gravitavano intorno alla squadra, nessuno escluso. E poi la forza di un gruppo unito, composto da amici che stavano bene insieme, dentro e fuori dal campo. Un mix vincente tra noi più esperti e i tanti giovani di valore che stavano emergendo. Il mercoledì si faceva doppio allenamento e si pranzava insieme, il giovedì sera cenavamo nella casa di campagna di Gaggioli. Momenti belli che ci unirono ancora di più. Venti anni dopo ci siamo ritrovati tutti insieme a cena ed è stato come fare un tuffo nel passato.

Mercuri primo in basso a destra al Sansepolcro

A livello calcistico quali i momenti più belli in bianconero?

La stagione 2001-2002, quella del duello con il Tivoli, fu la migliore a livello di risultati e anche la più intensa sotto il profilo emotivo. La città ci seguiva con passione e gli spalti del Buitoni erano ogni domenica gremiti. Il momento decisivo fu lo scontro diretto casalingo con il Tivoli che perdemmo nonostante una bella gara al cospetto di una squadra che si era ulteriormente rinforzata proprio per vincere il campionato. La delusione ci fu, ma facemmo il massimo, sia lì che negli anni successivi. Con Pazzaglia formavamo una coppia avanzata molto ben assortita: lui più fisico, abile nel giocare di sponda e nello spizzare la palla, io brevilineo e tecnico. Entrambi poi eravamo puntuali in area. Il compagno con maggiori qualità era Alessio Ceccagnoli. Mi trovavo bene con lui, ma anche con gli altri. Tra i gol siglati negli anni a Sansepolcro ne ricordo in particolare uno su punizione molto bello a Umbertide e soprattutto uno in casa con il Grosseto quando addomesticai un cross di Cecconi scartando Bogi con due finte e segnando a Giovagnoli. A metà della stagione 2005-2006 passai al Poggibonsi sempre in D con mister Valori e ci piazzammo al 3° posto, però io non giocai molto anche per via di qualche problemino a livello fisico.

Hai giocato fino a quasi 45 anni e negli ultimi 10 della tua carriera hai militato in tante squadre umbre del nostro territorio. Ripercorriamo anche qui i momenti più significativi.

Da Poggibonsi in poi effettivamente ho giocato solo in squadre umbre. In Eccellenza prima con il Deruta e il Todi e poi a Trestina dove lavoravo e dove andai dalla metà della stagione 2008-2009. Mi trovai molto bene in un ambiente familiare, in cui si respirava un bel clima, con tanta voglia di scherzare nelle numerose cene, ma anche con la voglia di dare tutto in campo. In panchina ritrovai mister Valori e il momento più bello di quell’anno e mezzo fu il gol che decise il derby con il Castello guidato da mister Borgo in uno Bernicchi pieno di gente.

Ce lo racconti?

Il risultato era di 1-1 e la partita sembrava ormai incanalata sul pareggio. Nel finale però ci fu un crossi dalla destra di Ferri respinto di testa da un difensore e io vedendo questa palla scendere, calciai di destro al volo segnando il gol del definitivo 2-1. Festa grande per me e per noi, ma voglio sottolineare anche un bellissimo gesto di Renato Borgo. Pur avendo incassato il gol che decretò la loro sconfitta venne da me per stringermi la mano e farmi i complimenti. Non a fine partita, ma dopo il gol. Lo apprezzai tantissimo.

Quali i ricordi più belli delle esperienze vissute negli anni successivi con Pierantonio, Madonna del Latte e San Secondo?

A Pierantonio in Promozione nel 2009-2010 con mister Bagnato vincemmo campionato e coppa. Un doppio meraviglioso trionfo in una stagione spettacolare condivisa in attacco con l’amico e grande bomber Luciano Cavargini. Nel 2010 nacque mia figlia Carolina e io passai alla Madonna del Latte del presidente Magi, uomo straordinario davvero. Rimasi tre anni in Promozione e ricordo oltre a molti bei momenti calcistici anche le gite con famiglie in montagna a sciare, premio della società se arrivavamo a metà campionato con 21 punti. Davvero una bella iniziativa e tanto divertimento condiviso. Nel 2013, pur rimanendo in Promozione, passai al San Secondo con cui giocai le ultime due stagioni. Anche qui una bella avventura, ma con un finale amaro per me dato che mi ruppi i legamenti del ginocchio. Avrei voluto una ultima partita migliore, ma l’infortunio me lo impedì, almeno in FIGC, mentre successivamente giocai ancora per qualche anno nell’amatoriale con il Real Madonna del Latte, avventura molto divertente vissuta con la stessa passione di sempre. Belli anche i momenti da allenatore con i bambini alla Madonna del Latte e poi in prima squadra al Città di Castello con il successo ottenuto nel 2017-2018 in Prima Categoria. Gli impegni di lavoro mi hanno però portato a lasciare il ruolo in panchina, almeno per ora.

Al Madonna del Latte

Hai tenuto il conto dei gol che hai segnato in carriera?

293 in Figc, più altri 30 nei campionati amatoriali, dove proprio con il Real Madonna del Latte realizzai il mio 300° gol. Un traguardo importante che mi rende orgoglioso.

Soddisfatto della tua carriera da calciatore?

Molto. Tecnica, velocità e capacità di segnare sono state le mie armi migliori e ho sempre dato il massimo, con passione e impegno. Durante gli allenamenti ero sempre in prima fila a tirare il gruppo e questo mio atteggiamento è stato apprezzato dai compagni e dagli allenatori. Mi sono sempre messo a disposizione in ogni squadra in cui ho militato perché credo che alla base di ogni successo ci sia la forza del gruppo. Senza non si va da nessuna parte. Ho giocato tanti anni, mi sono tolto tante soddisfazioni, ho conosciuto persone eccezionali con cui sono rimasto amico anche al di fuori del calcio e credo sinceramente di avere ottenuto quanto meritavo. Ringrazio tutte le persone che mi hanno supportato e sopportato, a partire ovviamente dai miei genitori, da mia moglie Cristiana e dai miei figli.

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