Nell’intervento dello scorso 22 marzo alla Camera dei Deputati italiana il Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskij ha fatto un paragone tra Mariupolʼ e Genova, ma in realtà la città sul Mare d’Azov è molto più Mestre, anzi Porto Marghera. Chi ci ha soggiornato, o anche chi ci è semplicemente transitato non può aver fatto a meno di notare le due enormi acciaierie che hanno per decenni garantito benessere lavorativo e fumi nocivi alla città. AzovStalʼ nei pressi del mare e Ilʼič, in onore di Vladimir Ilʼič Lenin, nell’entroterra sono, assieme all’importante porto, i motori economici di una città relativamente giovane e sulla quale hanno sventolato più bandiere nei suoi 250 anni di vita. In particolar modo negli ultimi otto, da quando si è ritrovata al centro della contesa tra Ucraina e insorti filorussi. Ultimi otto anni e non ultime quattro settimane, perché se c’è una cosa che oggi mette d’accordo ucraini e russi è che questa situazione non è iniziata nel febbraio del 2022, ma in quello del 2014 e Mariupol fu proprio uno degli epicentri con episodi di violenza inaudita contro la popolazione.
Mariupolʼ russa e sovietica
Contrariamente a molte città russe o ucraine che terminano con un suffisso “grad” o “gorod”, Mariupolʼ e la non lontana Melitopolʼ hanno un nome che si ricollega alla cultura ellenica. Nulla a che vedere con colonizzazioni dell’antica Grecia, ma piuttosto ad un’importante migrazione di popolazione greca espulsa dalla Crimea ottomana nel 1780. Non è chiara la motivazione del nome arrivato fino ad oggi, con la pausa tra il 1948 e il 1989, quando venne ribattezzata Ždanov in onore di Andrej Ždanov, stretto collaboratore di Stalin e originario proprio di Mariupolʼ. Fin dalla fine del XIX secolo il porto di questa città divenne fondamentale per la circolazione del carbone e del ferro proveniente dal vicino bacino del Donbass. I ricchi giacimenti della zona sono anche il motivo per cui la città divenne importante centro per l’acciaio. La città è sempre stata sotto la sovranità dell’Impero Russo, ma durante l’epoca sovietica, subito dopo la guerra civile, venne assegnata alla Repubblica Sovietica di Ucraina. Durante la seconda guerra mondiale subì l’occupazione tedesca dall’ottobre del 1941 al settembre del 1943.
Mariupolʼ ucraina
A fine 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Mariupolʼ restò parte della nuova Repubblica di Ucraina. Etnicamente la popolazione era circa metà ucraina e metà russa, con l’importante minoranza greca da sempre presente. Linguisticamente il russo era la lingua madre del 90% della popolazione, e nelle elezioni politiche susseguitesi fino ad oggi la maggioranza assoluta della popolazione ha sempre sostenuto i candidati a presidente e i partiti politici filorussi. Questo anche dopo i fatti di Maidan, che impattarono notevolmente nella vita di Mariupolʼ. Quando nella primavera del 2014 gran parte del Donbass insorse contro le nuove autorità ucraine, Mariupolʼ si trovò al centro di violenti scontri. I separatisti ebbero inizialmente la meglio per poi soccombere al ritorno dell’esercito ucraino nel giugno successivo. La guerra andò avanti altri mesi con più tentativi dei filorussi di riprendere il controllo della città fino alla tregua successiva agli accordi di Minsk, che cristallizzò le posizioni con i ribelli a circa 20 chilometri dalla città.
Un ruolo importante nella guerra del Donbass lo ebbe il Battaglione Azov, che proprio a Mariupolʼ si sarebbe stabilito. L’Azov era un gruppo di volontari poi inquadrato all’interno della Guardia Nazionale Ucraina. I militanti di questo gruppo paramilitare non hanno mai nascosto le proprie simpatie per il nazismo, arrivando ad utilizzare come propri simboli alcuni molto popolari all’epoca di Hitler. Relativamente alla guerra in Donbass del 2014, l’Azov è stato accusato di crimini di guerra e torture.
Dal 2014 a febbraio 2022
Nonostante il ritorno sotto il controllo ucraino, Mariupolʼ rimase inizialmente una città ostile alle politiche di Kiev. Alle elezioni comunali del 2015 il partito filorusso vinse le elezioni con il 64% dei voti, eleggendo a sindaco Vadim Bojčenko. Negli ultimi otto anni sono molte le dinamiche che hanno cambiato la città, a partire da quelle demografiche, che hanno visto quasi il 10% della popolazione andarsene in altri territori e in particolar modo in Russia. Mariupolʼ ha perso oltre cinquantamila abitanti, e non per forza per aspetti legati a crisi economiche. Negli ultimi anni i governi ucraini hanno investito molte risorse nei territori contesi del Donbass proprio per convincere la popolazione della bontà del progetto di Kiev per il futuro della nazione. A questo si è accompagnata anche una ucrainizzazione molto spinta della società, a partire dalla scuola dove il russo non viene più insegnato ed è stato declassato, eventualmente, a lingua straniera. Allo stesso tempo circa tremila componenti del Battaglione Azov si sono stabiliti a Mariupolʼ, in alcuni casi mettendo su famiglia e partecipando in modo attivo alla vita cittadina. Il governo ucraino ha fortemente investito sull’Azov trasformandolo in una brigata di fanteria meccanizzata, in pratica mettendogli a disposizione armamenti pesanti e carri armati.
Nel 2019 si svolsero le elezioni presidenziali e poi quelle parlamentari anche a Mariupolʼ. Nel primo turno delle elezioni per il nuovo Capo dello Stato prevalse, come del resto in tutte le aree delle provincie di Doneck e Lugansk sotto controllo ucraino, il candidato filorusso Jurij Bojko. Al successivo ballottaggio tra Zelenskij e l’ex presidente Porošenko, gli elettori di Mariupolʼ e di tutto l’est Ucraina votarono in massa l’ex comico. Deve essere riconosciuto che sia Zelenskij che il suo partito avevano saputo dare un’immagine di forte discontinuità dalla politica del suo predecessore. L’arrivo di Zelenskij fu visto di buon occhio anche a Mosca come possibile auspicio di un cammino verso la pace. Due mesi dopo fu la volta delle elezioni parlamentari, nelle quali il partito che rappresenta i filorussi vinse di nuovo sia a Mariupolʼ che nel resto delle province di Doneck e Lugansk.
In vista delle elezioni amministrative 2020 nelle principali città dell’est ucraino si formarono delle liste civiche di larga intesa che spesso riproposero i sindaci uscenti sostenuti da una propria lista. L’obiettivo era quello di isolare i partiti filorussi che solitamente trionfavano in quest’area del paese. Sluga Naroda (Servo del Popolo), il partito di Zelenskij che prende nome dalla serie televisiva dove l’attore interpretava il presidente ucraino, supportò indirettamente questa operazione. Il gioco funzionò in alcune grandi città anche per l’odio che gli elettori filorussi avevano nei confronti dei partiti tradizionali ucraini. Anche il sindaco di Mariupolʼ aderì al progetto creando una propria lista civica che intercettò i voti di parte dei filorussi e di parte degli elettori di Zelenskij. Grazie a questo stratagemma Bojčenko, nel frattempo sempre più uomo di fiducia dell’oligarca ucraino Rinat Achmetov, si confermò sindaco. Con lo stesso meccanismo elettorale le liste civiche si imposero in altre città storicamente filorusse, mentre nella gran parte del Donbass non sotto il controllo degli insorti continuarono a vincere i filorussi più intransigenti.
Le scelte politiche di Bojčenko, in queste ore scappato da Mariupolʼ mentre la città affonda, sono ancora una volta da inquadrare o nella speranza che Zelenskij e il suo partito avevano dato alla popolazione dell’Ucraina orientale di una risoluzione pacifica dei problemi in atto da otto anni, oppure nel semplice opportunismo politico per restare alla guida della città. Nessuna delle due ipotesi si sarebbe confermata esatta, visto l’evolversi della situazione.
L’assedio e la situazione odierna
Dopo il riconoscimento da parte della Russia delle due repubbliche popolari di Doneck e Lugansk lungo i confini amministrativi delle relative province di quando erano parte dell’Ucraina, era evidente che in tutte quelle città sotto controllo ucraino delle due regioni ci sarebbe stato qualche problema. Con l’inizio di quella che in Russia è definita “Operazione Militare Speciale”, Mariupolʼ ha avuto subito una forte attenzione per le intuibili problematiche che sarebbero emerse in una città storicamente filorussa controllata dal battaglione più nazionalista dell’esercito ucraino. Di fatto nel giro di pochi giorni Mariupolʼ è stata circondata su quattro lati. Da ovest sono arrivate le truppe russe dalla Crimea, da nord e da est quelle della Repubblica Popolare di Doneck, mentre lo sbocco al mare da sud è bloccato dalla marina militare russa. All’inizio del blocco si calcola che fossero rimasti intrappolati in città circa quattrocentomila civili.
Sull’aspetto dei civili di Mariupolʼ la narrativa dei media occidentali e di quelli russi è completamente diversa. Per i primi sarebbe la Russia ad impedire l’evacuazione della città mentre per i secondi sarebbero i miliziani ucraini a non voler perdere l’opportunità di utilizzare i civili come ostaggio. Per capire meglio la situazione ci viene incontro l’ottimo lavoro di due giornalisti freelance italiani impegnati sui propri canali Telegram a raccontare l’assedio di Mariupolʼ. Sia Vittorio Nicola Rangeloni che Maurizio Vezzosi descrivono in modo puntuale cosa sta avvenendo attorno alla città sul Mare d’Azov. La popolazione che è riuscita ad allontanarsi dal centro cittadino avvalora la tesi che ai civili non venisse permesso di lasciare la città. Spesso sono stati oggetto di spari durante i tentativi di allontanarsi per raggiungere i check point russi all’esterno di Mariupolʼ. La maggior parte dei profughi cerca riparo in Russia o nei territori controllati dalle truppe di Mosca e lo farebbe in modo volontario, non perché costretta o addirittura deportata.
A dire di chi scappa il pericolo sono i nazionalisti ucraini, ostinatamente decisi a non arrendersi e in attesa di un impossibile contrattacco di Kiev sulla regione. Non del tutto chiari anche due episodi che hanno molto colpito l’opinione pubblica occidentale come il bombardamento dell’ospedale pediatrico e dello storico teatro. Mosca ha risposto di non aver niente a che fare con il secondo episodio, mentre ha confermato l’attacco a quello che secondo il Cremlino in realtà sarebbe un ex ospedale convertito a caserma, con pazienti e medici già trasferiti da tempo in altre strutture. Questa opinione è avallata da molti dei fuoriusciti dalla città, almeno secondo i media russi. Nel caso del teatro anche fonti ucraine confermerebbero l’assenza di vittime tra gli ospiti dei rifugi ubicati nei sotterranei o nei pressi della struttura.
La resa dei conti
Qualsiasi paragone tra quello che sta succedendo a Mariupolʼ e la storica difesa di Stalingrado tra il 1942 e il 1943 durante la seconda guerra mondiale non ha alcun senso. Le uniche forzate assonanze possono essere relative alla presenza di nazisti sia nella città sovietica che nella città ucraina, e al limite nella parola “stalʼ”, che in russo significa acciaio e che è presente sia nel nome della città (oggi Volgograd) dedicata a Stalin, sia nell’economia di Mariupolʼ. A Mariupolʼ c’è stata la resistenza impossibile e ad ogni costo di un corpo paramilitare che ha rifiutato la possibilità di lasciare la città senza armi verso altri territori controllati dall’Ucraina. Da lì una battaglia porta a porta, casa per casa, che oltre a vittime sul campo lascia una città fortemente danneggiata, dove sarà impossibile tornare a vivere nell’immediato.
Contrariamente a quello che ben conosciamo relativamente alla battaglia di Stalingrado, a Mariupolʼ non può essere immediato riconoscere chi sia l’invasore e l’invaso. Certamente attenendosi ai manuali di geografia la città fa ufficialmente parte dell’Ucraina, ma sarebbe interessante chiedere ai residenti di Mariupolʼ sotto quale bandiera vorrebbero vivere. La domanda sarà ancora più interessante alla fine di questo assedio poiché, nonostante i bombardamenti russi, al momento la maggior parte dei cittadini percepisce i soldati di Mosca come liberatori, o perlomeno come coloro che stanno fisicamente eliminando i responsabili della mancata fuga degli abitanti. A tal proposito si presenta molto interessante uno studio effettuato dal Centro per gli indicatori sociali di Kiev, secondo cui nell’estate 2020 un’enorme fetta degli abitanti di Mariupolʼ si continuava a definire “sovietica” piuttosto che russa o ucraina.
Tra i soldati russi una parte del lavoro “porta a porta” lo stanno facendo i militari provenienti dalla Cecenia. In questo conflitto, non solo sulle rive del Mare d’Azov, i soldati etnicamente non russi stanno avendo un ruolo numericamente e qualitativamente molto importante nelle file dell’Armata Russa. Dall’altra parte i militanti del Battaglione Azov non sembrano avere alcuna intenzione di deporre le armi. Sanno benissimo di non avere vie di fuga e che per i crimini commessi non troveranno molta clemenza in caso di cattura. A Mariupolʼ si svolge uno scontro che vale molto di più dell’esito in generale dell’”Operazione militare speciale” e ancora di più della possibile unità territoriale della Repubblica Popolare di Doneck della quale la città sul mare dovrebbe farebbe parte. Qui si gioca gran parte della partita della Russia proprio per la volontà di eliminare fisicamente i paramilitari dell’Azov, dipinti come uno dei peggiori mali che caratterizzano lo Stato ucraino e uno dei motivi principali per cui è stata iniziata l’“operazione speciale”.
Una sporca guerra, quella dell’informazione
Sui media occidentali passa solo l’idea di una città martire senza dare spazio, neppure minimo, ad una complessa e diversa narrativa che almeno a Mariupolʼ è anche quella più probabile. Esprimere un giudizio complessivo su quello che sta accadendo a Sumy, a Charkov, ad Irpinʼ o a Černigov è sicuramente più difficile anche per la più complessa lettura della società ucraina e le relazioni con il mondo russo, decisamente cambiate negli ultimi otto anni. Su Mariupolʼ sarebbe stato necessario almeno il beneficio del dubbio, conoscendo le dinamiche storiche che caratterizzano la città. Questo non è avvenuto e probabilmente anche con la conclusione dell’assedio e la “liberazione” della città non avverrà. Le storie di coloro che sono scappati da questo inferno continueranno a trovare spazio su media italiani solo se saranno utili alla narrativa che necessariamente deve passare in Occidente, mentre le testimonianze di coloro che in questi otto anni hanno auspicato una soluzione di ricongiungimento al resto del Donbass non potrà essere raccontata.
Capire Mariupolʼ ripudiando ogni stereotipo storico-militare tipo Aleppo, Sarajevo, Leningrado o Stalingrado significherebbe capire la gran parte delle ragioni che hanno innescato la miccia che ha portato ad una drammatica situazione che va molto oltre i confini del Donbass. Non voler comprendere significa semplicemente sedersi, da una parte o dall’altra, sulla narrativa più comoda, ma anche la più pericolosa. Il giornalismo dovrebbe essere meno mercenario ed avere il dovere morale di spiegare le cose per permettere ai lettori di farsi un’opinione su basi reali. Questo non sta accadendo quasi mai, sia prima che durante il conflitto in atto.