Marina Bassani: “Le aziende imparino a investire sui giovani”

La designer anghiarese, alla scoperta di Roma dopo anni in Svizzera, racconta a TeverePost anche la passione per il viaggio in solitaria: “Vorrei che diventasse normale per ogni donna sentirsi libera di prendere il proprio zaino e andare ovunque voglia”

Marina Bassani quest'anno in trekking sulle Dolomiti

Marina Bassani, classe 1989, anghiarese. Lavora come design director in uno studio di design strategico che ha come base Lugano, Milano e Roma. Dopo un’esperienza nella sede svizzera durata 5 anni, da un anno si è trasferita a Roma. Porta avanti anche la sua carriera di docente presso l’università IAAD di Bologna e presso Talent Garden di Milano e Roma. Nel tempo libero si dedica a scoprire il territorio attraverso trekking, viaggi e arrampicate.

Di cosa ti occupi attualmente a Roma?

Mi occupo di user experience design. Al momento lavoro da Sketchin, uno studio internazionale di design strategico. Nel quotidiano, insieme a un team di designer, progetto prodotti, servizi e processi che pongano al centro l’utente e la sua esperienza di fruizione. Negli anni mi sono occupata di progettare diverse app, siti web, portali e così via. Il mio ruolo si è evoluto ed è cambiato: da designer sono diventata design director. Ciò significa che ho la responsabilità del coordinamento di un team di persone e della qualità dell’elaborato prodotto. Mi occupo inoltre della definizione di nuovi percorsi progettuali per i clienti. Oltre a questo sono docente di UX/UI presso IAAD di Bologna e presso uno dei master di Talent Garden.

Raccontaci il tuo percorso lavorativo dopo la laurea.

Mi sono laureata in design del prodotto all’ISIA di Firenze. Durante il mio percorso di studi ho iniziato ad appassionarmi al mondo del digitale, grazie a docenti che hanno saputo farci vedere che il design di prodotto va oltre la progettazione dei soli oggetti fisici, o che comunque può essere un buon mix tra fisico e digitale. Grazie a questa intuizione, durante l’ultimo anno di specialistica ho iniziato a cercare uno stage che potesse darmi maggiore conoscenza di questo settore e, facendo ricerca e mandando richieste ovunque, ho conosciuto Sketchin in Svizzera, dove ho passato tre mesi circondata da persone appassionate ed entusiaste. Dopo questa breve esperienza ho dedicato il mio tempo alla preparazione della tesi e una volta laureata, come spesso succede, è iniziata la fase dell’ignoto. Ho cominciato una collaborazione con Officina 31, uno studio di Arezzo che mi ha dato tanto, sia in termini umani che professionali, ma la necessità di esplorare nuovi contesti, realtà ed esperienze, mi ha spinta a mandare il mio cv e portfolio ad ogni realtà che mi sembrava interessante per il percorso che volevo perseguire. Nonostante qualche difficoltà iniziale, a ottobre del 2014 avevo in mano tre proposte di stage: una a Londra, una a Milano e una in Svizzera. La mia scelta è stata la Svizzera, conscia del fatto che avrei lavorato in un ambiente stimolante e che soprattutto, nonostante la mia poca esperienza, mi avrebbe realmente messa nelle condizioni di imparare e crescere come professionista.

Che differenza c’è tra lavorare in Svizzera e in Italia?

Posso parlare poco delle differenze, visto che tra Svizzera e Italia mi sono mossa sempre all’interno della stessa azienda, quindi su tante cose non sento di avere una visione completa che mi consenta di esprimermi in prima persona, ad eccezione di questioni burocratiche, parità di genere e diritti del lavoratore, che forse meriterebbero un ulteriore approfondimento. Le differenze che ho percepito confrontando la mia esperienza con quella di molti altri colleghi designer non dipendono tanto dal contesto Svizzera o Italia, ma dalla cultura aziendale in cui si lavora, che non sempre è meritocratica ed equa. Mi spiego meglio: in ogni azienda è importante avere dei ruoli per distribuire le responsabilità ma è altrettanto importante mettere tutti nelle stesse condizioni: lo stagista deve trovarsi in un contesto in cui possa esprimere le proprie idee allo stesso modo in cui lo può fare una persona con molti più anni di esperienza (oltre al fatto che lo stage dovrebbe essere dignitosamente retribuito). Riconoscere uno stage ha degli effetti che sono evidentemente positivi, perché auto-responsabilizza la persona e soprattutto la gratifica. Nel periodo in cui cercavo lavoro, molti stage offerti in Italia non erano minimamente retribuiti e, anche in termini di percorso di crescita professionale, non era chiaro quale fosse l’offerta né di cosa mi sarei occupata. Penso che in Italia il concetto di “stage” sia ancora molto arretrato rispetto a molti altri contesti europei. Fortunatamente il mio settore, essendo tendenzialmente giovane e spesso associato all’innovazione, non è uno dei peggiori, ma si può sempre migliorare. Sono convinta che le aziende debbano imparare a investire sui giovani, riconoscendo e avvalorando la loro capacità di portare “freschezza di idee” e nuovi punti di vista.

Come ha influito nel tuo lavoro la pandemia?

Il cambiamento principale è che sono in remote working da marzo, quindi posso dire che io e il mio monolocale stiamo avendo una relazione decisamente stabile, quasi morbosa. A parte questo, che ovviamente non è da sottovalutare, ci sono molti aspetti che sono cambiati. Non vedo più i miei colleghi fisicamente, se non per iniziative personali, e passo intere giornate in call; questi sono sicuramente gli aspetti negativi. Non posso dire però che non ci siano anche degli aspetti positivi: per esempio, non ho più i tempi di spostamento da un cliente all’altro che occupavano diverse ore della giornata, abbiamo “digitalizzato” molte realtà che lavorano con il nostro studio evitando quindi di fare un’ora di auto per 30 minuti di riunione; ho una gestione del tempo personale più flessibile. Alla fine non posso lamentarmi perché il mio lavoro, essendo completamente digitalizzabile, mi ha garantito stabilità in un periodo che è stato molto difficile in altri settori e per altre persone. Come in tutte le cose ci sono i pro e i contro, ma direi che va benissimo così. Inoltre il Lazio in questi ultimi mesi è sempre rimasta in zona gialla, quindi anche questo aiuta molto ad uscire dalla routine e avere anche i weekend come valvola di sfogo per esplorare il territorio.

Arrampicata a Sperlonga

Programmi per il futuro?

Ci sono un po’ di progettini personali poi che vorrei portare avanti, ma diciamo che ancora li sto inquadrando, quindi non parlo troppo per scaramanzia. In generale comunque aò momento non ho particolari cambiamenti in vista, sento che Roma è ancora un posto da scoprire, quindi voglio darmi tempo prima di spostarmi nuovamente. Vorrei anche capire come si evolverà la situazione Covid e post Covid, quindi capire se sarà ancora necessario essere fisicamente presenti in un posto o meno per lavoro. Non nego che in questi mesi più volte ho pensato di tornare in Valtiberina, dove ho la mia famiglia, gli amici, qualche opportunità di lavoro e tutte le possibilità per coltivare le mie passioni. Ma credo che non sia ancora arrivato il momento e, come dicevo, sono ancora nella fase di innamoramento con Roma, in cui tutto, anche le cose più problematiche della città, mi sembrano affrontabili.

Ara Pacis

Cosa ti piace di Roma?

Roma la sto scoprendo in questi mesi, perché prima è sempre stata una meta da gite scolastiche o brevi weekend turistici. Devo ammettere che sto trovando un posto bellissimo, oggettivamente non semplice, ma bellissimo. Roma ha un cuore che pulsa forte e si sente benissimo: passa attraverso le persone che la vivono e la storia che trovi in questa città. C’è un fermento sociale forte, ci sono mille iniziative sociali e solidali. Il concetto di quartiere è qualcosa che mi sta assolutamente affascinando, forse perché si avvicina molto alle dinamiche di paese: ogni quartiere ha una sua identità e in quelli come il mio ci sono proprio persone che spendono il proprio tempo a renderlo un posto bello in cui vivere. Da iniziative di Natale, come questo periodo, ad associazioni che in tempo di Covid hanno organizzato gruppi per fare la spesa a persone anziane o impossibilitate, a un gruppo di persone che il sabato mattina si ritrova a pulire le strade dal post movida. È una città, nel bene e nel male, viva. Ovvio poi che vi sto raccontando la parte migliore, quella che mi tiene qua con la voglia di conoscerla, ma c’è anche questa ed è bella forte.

A Canale Monterano (Roma)

Cosa consiglieresti ad un giovane che voglia intraprendere un percorso simile al tuo?

Sicuramente di buttarsi e non aver paura di fare esperienze lontani da casa, perché quello del design è un campo che ha molto bisogno di stimoli e, purtroppo, in contesti molto piccoli non sempre si trovano. Per stimoli intendo poter andare ogni settimana ad una mostra diversa, a mille eventi che vengono organizzati sul tema design, conoscere persone che hanno esperienze di vita molto diverse, viaggiare; l’ispirazione si trova un po’ ovunque e l’esplorazione e la curiosità sono degli elementi fondamentali. Questo non vuol dire abbandonare il paese! Io sono una grande sostenitrice del tornare in zone come le nostre, dove ci sono tante cose bellissime e un potenziale enorme, anche per avviare progetti personali. Ci sono molte realtà che riescono a creare qualcosa di bello anche in centri piccoli come quelli della Valtiberina ed è ammirevole. Penso solo che fare esperienze anche fuori semplicemente aiuti ad avere diverse chiavi di lettura rispetto a tutto quello che il nostro territorio ha da offrire e fonti di ispirazione provenienti da mondi diversi. Io adesso, dopo tutti questi anni passati fuori, riesco ad apprezzare molto di più quello che il nostro territorio ci può offrire e una parte di me sa che prima o poi tornerò a casa.

Prima hai detto che tra i tuoi hobby c’è il viaggio.

Sì, amo viaggiare, ma immagino che sia una cosa abbastanza scontata. Amo i viaggi che mi portano dall’altra parte del mondo e allo stesso modo adoro esplorare qualsiasi paesino sconosciuto a 30 minuti da casa. Ho un debole per i viaggi un po’ casuali, on the road e dove posso confrontarmi con posti nuovi e culture diverse. Quando viaggio mi piace sì visitare le città, ma quello su cui mi concentro di più in assoluto è l’esplorazione del territorio e della natura.

In Islanda nel 2018

In questi ultimi anni ho cominciato a viaggiare anche in solitaria, ad esempio quest’estate, complice la difficoltà ad organizzare qualsiasi cosa con anticipo che ha infranto tutti i miei piani originali, ho improvvisato un viaggetto di due settimane in Corsica con macchina e tenda, in solitaria. Nonostante la Corsica sia un territorio sicurissimo, quest’ultima esperienza mi ha portato ad approfondire il tema delle donne che viaggiano in solitaria. Conosco molte persone che amano viaggiare da sole, ma noto che l’argomento, quando affrontato, genera sempre un certo stupore e curiosità in chi ascolta, sia riguardo alle motivazioni, sia sulle modalità. Capisco perfettamente le perplessità e la preoccupazione di chi non se la sente di intraprendere un’esperienza del genere. Io per prima, quando organizzo un viaggio in solitaria, mi ritrovo inevitabilmente a cercare tutte le informazioni del caso sul tema “sicurezza”. È per questo che vorrei approfondire il tema e confrontarmi con persone che hanno vissuto o vogliono vivere le stesse esperienze per poter trovare il modo di cambiare le cose. Vorrei sostenere il fatto che viaggiare da sole non è un’esperienza per poche coraggiose e che, anzi, è bellissimo! Vorrei che diventasse la normalità e che, soprattutto, ogni donna si potesse sentire libera di prendere il proprio zaino e andare ovunque voglia, liberamente, con la mente aperta e senza pensieri.

Ancora in Islanda
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