Più di ogni altro ha forse incarnato la “rinascita” del calcio biturgense, nelle stagioni seguenti alla ripartenza dalla Terza Categoria e del passaggio a Gs Borgo. Marcello Bruschi è stato uno dei giocatori più emblematici di una squadra che seppe rimboccarsi le maniche lottando su ogni campo e su ogni pallone sfida dopo sfida, con la “missione” di risalire velocemente la china e riportare il Sansepolcro in un palcoscenico più adeguato al proprio blasone. Marcello, che è cresciuto a pochi passi dal Buitoni e che nella società bianconera aveva mosso i primi passi da calciatore, tornò nella squadra della sua città dopo le intense avventure vissute con Nuova Tiferno, Nocera Umbra, Latina e Monterchiese, diventando uno dei leader di quel gruppo che riportò il Sansepolcro in Serie D. Anni meravigliosi e di grande passione per una piazza che aveva voglia di riscatto e di emozioni. Il biturgense Bruschi fu uno dei volti simboli di quella rinascita culminata nel 1993-1994 con il trionfo nel campionato di Eccellenza. La sua carriera si concluse a Badia Tedalda ed è stata caratterizzata da numerosi momenti indimenticabili. Oggi con Marcello ripercorreremo questa storia calcistica che lo portò tra l’altro ad affrontare in amichevole anche due fenomeni del calcio mondiale come Falcão e Maradona.
Quando hai iniziato a giocare a calcio?
Sono cresciuto a pochi metri di distanza dallo stadio Buitoni e fin da piccolo il mio campo da gioco è sempre stato il piazzale di catrame interno all’impianto. Io e i miei amici di quegli anni ci davamo appuntamento lì, piazzavamo due piccole porte alle estremità e facevamo partite in continuazione. Boncompagni e Del Bene, due allenatori del settore giovanile bianconero, mi videro giocare e chiesero ai miei genitori di farmi iniziare con la berretti del Sansepolcro. Li convinsero e così all’età di 17 anni cominciai. Andò subito bene e alla fine di quella stagione debuttai addirittura in prima squadra, non in una categoria qualunque, ma in Serie C. Per me fu davvero un sogno dato che ebbi la possibilità di allenarmi e di giocare accanto ai grandi giocatori che facevano parte di quella meravigliosa rosa. Fu un’emozione speciale perché fin da quando ero piccolo tutte le domeniche andavo allo stadio a tifare Sansepolcro, con tanto di bandiere e tamburi!
Ci racconti il tuo esordio in prima squadra?
Mister Recagni nelle ultime giornate della stagione dette un po’ di spazio a noi giovani e io scesi in campo in due circostanze, con l’Avezzano e poi nella gara conclusiva con L’Aquila. Già far parte di quel gruppo era per me una gioia immensa e scendere in campo lo fu ancora di più. Giocai pochi minuti, ma ricordo ancora oggi che ero molto concentrato ed emozionato. Purtroppo a fine stagione retrocedemmo, ma il debutto in Serie C resta uno dei momenti più belli della mia avventura nel calcio. Nella stagione seguente, in Interregionale, in panchina arrivò mister Vellutini e io, con un anno di rodaggio alle spalle, giocai molte più partite, spesso da titolare. Per me fu un’annata di crescita, per la squadra invece le cose non andarono bene visto che alla fine del campionato retrocedemmo in Promozione. La mia prima avventura in bianconero si chiuse lì, dato che poi andai a Città di Castello, nella Nuova Tiferno, in Promozione Umbra.
Prima di proseguire, puoi raccontarci qualcosa di più su quel gruppo che aveva portato il Sansepolcro fino al calcio dei professionisti e di cui seppur solo a fine “ciclo” hai fatto parte?
Fu un grande onore per me, perché quella squadra era composta da giocatori davvero fortissimi e prima di tutto da uomini veri. Un’esperienza meravigliosa con tanti ricordi che porterò sempre nel mio cuore. Tutto il gruppo era speciale e lo era anche la società capitanata dal presidente Marino Cesari. Purtroppo io arrivai in prima squadra in un periodo di cambiamento e i risultati furono negativi, ma quanto fatto in quegli anni dal Sansepolcro è nella storia del calcio biturgense e ci resterà per sempre.
Le due stagioni successive furono con la Nuova Tiferno e con il Nocera Umbra. Come andarono?
Passai al Città di Castello assieme a Giulio Franceschini e Ivano Becci. Eravamo una buona squadra, ma non riuscimmo a conquistare la salvezza. Se ci penso ora mi viene da sorridere, dato che nei primi 3 campionati disputati arrivarono altrettante retrocessioni. Per fortuna poi negli anni successivi mi sono rifatto. Questo è il calcio comunque, a volte le cose girano per il verso giusto, altre no. La mia avventura tifernate si concluse subito dopo e passai al Nocera Umbra in Serie D, assieme ancora a Franceschini e ad altri giocatori tiberini, tra cui Billi e Guerri. Una stagione positiva per me e per la squadra, chiusa con un bel 5° posto in classifica. Il mister era Romedio Scaia e il preparatore atletico era un giovane Fausto Rossi, che poi si fece strada fino ad arrivare ai massimi livelli del calcio a fianco di Trapattoni. A quel tempo era professore di educazione fisica, ma era già competente, esigente e preciso. Si vedeva che aveva “stoffa”. Fu una stagione intensa, a partire dalle amichevoli contro Avellino e Cagliari e con tante gratificazioni anche a livello personale.
Ad esempio?
Fui convocato dalla Nazionale Italiana della Lega Nazionale di Serie D, superai le prime selezioni e feci parte del gruppo che disputò una tournée a Malta. La maglia azzurra e le note dell’Inno di Mameli regalano delle sensazioni speciali ad ogni livello e fu così anche per me. Un’altra bella soddisfazione fu la convocazione in Rappresentativa di Serie D, assieme ai migliori giocatori della categoria, per l’amichevole contro la Roma di Nils Liedholm che pochi mesi prima aveva vinto lo Scudetto. La partita si disputò a porte chiuse, ma giocare allo Stadio Olimpico fu incredibile e al cospetto di una squadra piena di fuoriclasse: Falcão, Cerezo, Pruzzo, Graziani, Di Bartolomei e tutti gli altri. In fascia io mi trovai ad affrontare Sebino Nela, giocatore fortissimo sotto ogni punto di vista. Conservo ancora un ritaglio di giornale del giorno dopo con una dichiarazione del grande Liedholm. Disputai una buona partita e a una domanda su di me rispose “quel giovane farà strada”. Purtroppo la sua previsione non si rivelò esatta, ma quel complimento fu una grande gratificazione.
Quale fu lo step successivo a Nocera Umbra?
Mi trovai molto bene, però i tanti chilometri che facevamo 4 volte a settimana, 3 per gli allenamenti e poi la domenica per la partita, pesavano e quindi decisi di non restare. Andai a Latina sempre in Serie D dove poi feci il servizio militare nell’Aeronautica. Fu un’esperienza bella anche se dispendiosa. Giocavo infatti con la squadra militare, oltre che con il Latina, in una compagine costruita per tornare nei professionisti. Il primo campionato fu normale, la stagione seguente giungemmo secondi dietro al Pro Cisterna. Negli anni a Latina arrivarono altre due gratificazioni: la convocazione di mister Alzani nella Nazionale Italiana di LND per una trasferta di 15 giorni in Brasile e un’amichevole con il Napoli.
Due momenti molto emozionanti immagino. Come andò la tournée in Brasile?
Ci accolsero come se fossimo la Nazionale maggiore e in quei giorni disputammo 4-5 partite amichevoli con squadre di prima fascia, come ad esempio Palmeiras, San Paolo, Botafogo. Purtroppo non giocammo mai al Maracana, ma ce lo fecero visitare ed entrare in quello stadio mi regalò bellissime sensazioni. Dei campi da calcio brasiliani mi colpì l’erba che era decisamente più alta dei nostri. Fu un onore rappresentare l’Italia.
E l’amichevole con il Napoli?
Partecipammo assieme al Pro Cisterna ad un triangolare con la squadra azzurra ed ebbi la fortuna di giocare contro il più grande di tutti, Diego Armando Maradona, davanti a 9000 spettatori. Che giocatore, che classe e quanta emozione. A fine stagione un dirigente del Latina mi chiamò nel suo ufficio e mi regalò una foto in cui stavo cercando di contrastare il Pibe de Oro. Missione quasi impossibile, ma ricordo indelebile e scatto che conservo gelosamente nella stanza dei miei ricordi calcistici.
Dopo Latina come mai tornasti in Valtiberina?
Mi cercò la Nocerina in C2, ma volevo avvicinarmi a casa, così accettai la proposta della Monterchiese in Prima Categoria, contattato dal presidente Conti e da Facchin e Tellini. Il mister era Borgnoli e la squadra era forte. In gialloverde rimasi una stagione poi nell’estate del 1987 mi richiamò il Sansepolcro, che qualche anno prima era ripartito dalla Terza come GS Borgo e tornai con entusiasmo. In quel periodo iniziai anche a lavorare, ma riuscivo ad organizzarmi. Sacrifici che per il calcio ho sempre fatto volentieri, vivendo ogni attimo in un prato verde con estrema passione.
Nella tua prima avventura biturgense due retrocessioni di fila, in questa seconda invece una meravigliosa risalita iniziata proprio con un campionato vinto. Che Sansepolcro ritrovasti?
Una rosa di valore assoluto che infatti conquistò subito la promozione. In panchina c’era Becci ed in campo un bel mix tra giocatori esperti e giovani di talento. La nostra forza era il gruppo formato prevalentemente da ragazzi del posto che sentivano l’attaccamento alla maglia. In campo davamo sempre il massimo e al 1° anno salimmo in Promozione dopo uno spareggio a tre. La partita decisiva si giocò con il Sangimignano nel campo di Foiano e finì 2-2, risultato che ci promosse entrambe. Ricordo in quella gara un bel gol di Antonio Moretti da fuori area che si rivelò decisivo. Fu una grande soddisfazione. Per me poi tornare e vincere fu un sogno realizzato, perché vestire la maglia bianconera mi ha sempre regalato sensazioni speciali.
In Promozione invece le cose non andarono subito bene e il tanto desiderato salto in Eccellenza arrivò in seguito al passaggio in Umbria. Quanta fu la gioia per quel trionfo?
Giusto partire dagli anni in Promozione Toscana, una categoria di alto livello con tante compagini costruite per vincere. Noi pur avendo sempre rose discrete facemmo fatica ad imporci. I primi due anni trascorsero senza grandi soddisfazioni, al terzo le cose andarono meglio e concludemmo al 5° posto della classifica. La società chiese ed ottenne di passare in Umbria nella stagione 1991-1992 e vincemmo subito il campionato con Fraschetti in panchina dopo un duello serrato con la Nestor, concluso meritatamente a nostro favore. Una grandissima soddisfazione per me e per tutti noi, società e tifosi compresi.
Due anni dopo, nel 1993-1994, arrivò un’altra straordinaria impresa, vero?
Eh sì. Un anno di rodaggio diciamo così in Eccellenza e poi nella seconda stagione vincemmo il campionato al termine di un bel duello con l’Orvietana. Avevamo acquisito la necessaria consapevolezza, il gruppo era molto unito e anche i giovani inseriti in prima squadra erano ormai maturati diventando dei punti fermi. Il mister fece un gran lavoro e la società ci rimase sempre vicina, così come i nostri tifosi. Ricordo che prima dell’ultima partita quella casalinga con il Torgiano per festeggiare il successo già matematicamente nostro scendemmo in campo con delle simpatiche parrucche. Per me che di capelli ne avevo già pochi fu ancora più divertente. Fu la mia ultima partita nel Sansepolcro e per me il modo migliore di salutare!
Come arrivò la decisione di concludere la tua avventura calcistica?
Sarei rimasto volentieri, ma lavorando ed essendo alla soglia dei 30 anni non ero sicuro di potermi allenare costantemente. Essendo sempre stato una persona per cui la parola è sacra, ho preferito non prendere un impegno che forse avrei fatto fatica a mantenere. Mi dispiacque molto e un po’ di rammarico mi è rimasto, anche perché poi arrivarono altri giocatori forti e mi sarei potuto togliere altre soddisfazioni. Nell’estate del 1994 comunque mi infortunai anche alla caviglia e quindi ogni dubbio venne a cadere. Rimasi fermo 1 anno e mezzo poi andai al Selci e dopo al Badia Tedalda di mister Dori in Seconda Categoria, nella società diretta dal presidente Montini. Mi accolsero molto bene e da laterale in 2 stagioni realizzai 18 gol. Smisi nel 1998 e poi continuai a giocare tra gli amatori, con le maglie di Grafiche Borgo e Berta.
Hai accennato ai gol. Quanti ne hai fatti nella tua carriera e te ne ricordi qualcuno in particolare?
Nei 2 anni a Badia ne feci tanti, a Sansepolcro invece ne segnavo 2-3 a stagione. Negli anni in bianconero ne ricordo uno in casa contro il Subbiano di testa su un cross dalla destra, con la palla colpita al dischetto del rigore e indirizzata alle spalle del portiere Palazzini. Fu un gol importante perché decisivo. La rete più bella fu invece quella che misi a segno al Badia. Stoppai di petto un cross di Valentino Piccini, feci il pallonetto a un difensore, ne scartai successivamente un altro in corsa e segnai calciando sul palo lontano. A Latina in un weekend in cui ero squalificato andai a giocare con la seconda squadra e segnai addirittura di tacco.
Cosa ha significato per te, biturgense doc, vestire la maglia del Sansepolcro?
È stato un onore e sono molto fiero di aver contribuito alla risalita in Serie D della squadra della mia città, la stessa che da ragazzo seguivo ogni domenica. Ho avuto un bel rapporto con tutti e ho sempre avvertito un sincero affetto nei miei confronti. Da parte mia ci ho messo in ogni istante tutto me stesso. Ho dato il cuore per la maglia bianconera e questo credo sia stato percepito, anche dal nostro pubblico.
Sbaglio se dico che sei stato per i tifosi bianconeri il simbolo del Sansepolcro negli anni della risalita e che ci fosse un particolare affetto per te?
Io posso solo dire che ho sempre sentito l’affetto del pubblico al Buitoni e che questo mi dava una ulteriore spinta ogni volta che scendevo in campo. Mi vengono ancora i brividi se penso alle sensazioni di quegli anni o al coro che i nostri tifosi cantavano per me. Faceva tipo “ma chi è quel giocatore che gioca a calcio meglio di Pelé. Bruschi, Marcello Bruschi, Marcello Bruschi”. Non era certo un paragone, ma un modo di dire e di dare ulteriore carica a noi giocatori. Comunque un’emozione indescrivibile. Poi lo stadio Buitoni era per gli avversari di turno una “fossa dei leoni” e tra le mura amiche moltiplicavano le nostre forze. In trasferta non ero invece così amato dalle tifoserie avversarie, ma anche questo alla fine mi dava ulteriore carica.
Come valuti la tua avventura calcistica?
Sono felice di quello che ho fatto. Il calcio è sempre stata la mia passione e l’ho vissuto con tutto me stesso, mettendoci serietà, correttezza e impegno. Sentivo le partite e la domenica mattina per concentrarmi, negli anni in bianconero, andavo a camminare da solo a Montevicchi. Avevo corsa e forza, ho sempre giocato da terzino e calciavo bene con entrambi i piedi. Sono stato bene in tutte le squadre, ma indossare la maglia del Sansepolcro e riportare la squadra della mia città in alto è stato il top. Ho vissuto un bel percorso condiviso con tanti compagni che sono poi diventati amici e in una società che è stata un punto di riferimento, sia per i giovani che per il suo modo di operare.