Dopo aver ripercorso nella prima parte dell’intervista la sua storia imprenditoriale e quella del salvataggio di Cose di Lana, parliamo con Marcello Brizzi di coronavirus e ripartenza, per chiudere con le sue considerazioni sull’esperienza politica che lo ha visto membro del Consiglio comunale di Sansepolcro durante la scorsa legislatura.
Durante il blocco vi eravate riconvertiti.
Come azienda in realtà non siamo mai stati chiusi perché c’è stata subito l’urgenza delle mascherine. Su invito del sindaco, della Guardia di finanza, della Polizia e del prefetto siamo rimasti aperti con una ventina di persone e ci siamo messi a produrre le mascherine. Con quello che avevamo, perché eravamo completamente impreparati. Avevamo del filo a disposizione e abbiamo tessuto le prime 10.000 mascherine. Erano forate e all’interno ci mettevamo della carta da forno. Le abbiamo donate tutte a chi ne aveva bisogno, quindi i comuni di Caprese, Badia, Sansepolcro, le case di riposo, le forze dell’ordine, i supermercati. Dopo il sindaco e l’assessore alla sanità mi hanno messo in contatto con la ditta Ecosanit di Anghiari, che ci forniva tessuto non tessuto certificato. Ci siamo messi a produrre mascherine che vendevamo al prezzo di costo, un euro, perché abbiamo scelto di non volerci guadagnare. Oggi stiamo producendo mascherine con all’interno tessuto non tessuto e rivestite di cotone dentro e fuori, in modo che siano più fresche. Anche queste le vendiamo al prezzo di costo, cinque euro. Insomma durante il periodo di blocco abbiamo lavorato solo per le mascherine, anche prendendoci delle responsabilità verso i nostri collaboratori, perché si sentivano a rischio, però alla fine hanno capito. È stata secondo me anche un’operazione socialmente molto utile perché, oltre ad aiutare la comunità nell’emergenza, chi era al lavoro non gravava sulla collettività, pagandosi il proprio stipendio.
Adesso tutto è ripartito.
Ora siamo totalmente aperti, abbiamo organizzato l’azienda al meglio, rivedendo un po’ tutti gli spazi, la turnazione, i dispositivi da mettere a disposizione dei lavoratori. Siamo stati controllati subito dopo la riapertura da Carabinieri e Ispettorato del lavoro. Hanno verificato per intero l’azienda e siamo contenti che tutto fosse in regola. Questo ci dà la serenità di sapere che abbiamo lavorato bene anche come prevenzione.
Come vedi il futuro?
Di solito cerco di essere abbastanza visionario, di vedere alla lunga, oggi invece non guardo molto in avanti, ma cerco di stare attento, di cogliere tutte le opportunità. Certo è difficile capire quale sarà l’evoluzione. Mi auguro che ci sia un cambiamento, una presa di coscienza dei danni che abbiamo causato al mondo, all’ambiente. Spero che non si torni alla “normalità”, me lo auguro fortemente. Non è facile adesso prevedere anche come sarà la vendita in futuro, se andranno i grandi centri commerciali o si ritornerà a vendere nei centri urbani, nei paesi. Ci sarà secondo me un processo di assestamento abbastanza lungo. Adesso se devo immaginare quello che sarà mi immagino una grossa crisi, però ci potrebbero essere anche delle opportunità da cogliere. Non voglio essere pessimista, cerco di stare sereno e di capire. Per esempio probabilmente si tornerà a produrre più in Italia, ad apprezzare maggiormente il nostro prodotto. Il problema più grosso che sto percependo, anche tra i nostri clienti, è la grande paura di una ricaduta in autunno, a ottobre. Questo sarebbe veramente drammatico. È vero che ci troverebbe più preparati come dispositivi, come sicurezza, però un altro lockdown come questo sarebbe letale. Prego che non arrivi una seconda ondata, perché questa crisi qui in qualche modo si riuscirà ad assorbirla, ma se diventasse ripetitiva creerebbe un panico pazzesco. E poi nel nostro settore cadrebbe nel periodo in cui la gente compra più maglie, la stagione invernale.
Come giudichi l’operato del Governo?
Secondo me le misure sono troppo complicate, troppo difficili da seguire e da attuare. Parlano di urgenza poi hanno scritto centinaia e centinaia di fogli che vanno letti e interpretati. Non c’è rapidità nell’erogare, nell’intervenire sulla prima necessità. Per essere veloci dovevano essere un pochino più snelli. Insomma probabilmente qualche pecca c’è stata, tante cose dette e poi rimangiate creano incertezza. Si parlava di responsabilità del datore di lavoro per il coronavirus e non si capisce se questa cosa è andata avanti: si crea un po’ di terrorismo quando invece c’è bisogno di stare sereni per cercare di recuperare tutto quello che è possibile. Logicamente è nell’interesse di tutti stare in sicurezza, basta pensare che se c’è un caso di coronavirus all’interno dell’azienda veniamo chiusi per 15 giorni e messi in isolamento, quindi non è nel nostro interesse allentare il controllo. Insomma credo che non sia un Governo all’altezza di gestire una situazione come questa, ci vorrebbe qualcosa di più ma questo è quello che abbiamo. Però capisco anche che si sono trovati ad amministrare una grossa difficoltà, e per primi, con l’accusa di essere untori del mondo. Capisco che non è molto semplice.
L’azione dell’amministrazione comunale che impressione ti ha fatto?
Il sindaco mi chiamava una o due volte al giorno per risolvere la questione delle mascherine, era molto presente. Fin dall’inizio ha creato un clima di elevata attenzione all’interno della comunità e questo secondo me è stato positivo, perché ho visto che i cittadini di Sansepolcro hanno risposto bene, hanno avuto molto rispetto delle regole che sono state date loro. Le prime settimane di chiusura venivo in azienda e sembrava di girare in una città dove era scoppiata una bomba atomica, non c’era nessuno in giro, e quelli che c’erano avevano tutti le mascherine. Probabilmente anche questo è stato il motivo dei pochi casi che ci sono stati a Sansepolcro, che sono rimasti circoscritti in pochi nuclei familiari. Anche per merito del sindaco e degli assessori che in prima persona sono stati sempre presenti e hanno reso partecipe la popolazione dell’evoluzione della situazione. Da questo punto di vista credo siano stati bravi. Ora devono essere altrettanto bravi ad allentare questo clima di panico: bisogna tornare alla vita, rivivere un po’ all’aria aperta perché questi mesi di isolamento in casa possono generare patologie. C’è bisogno da parte delle istituzioni di invitare la gente a uscire, a fare qualche camminata: sempre isolati, non a gruppi, ma pensando anche al benessere personale, perché il nostro fisico abituato ad altri ritmi può avere risentito di questo lungo periodo in casa.
Nella legislatura precedente tu stesso eri consigliere comunale. Come consideri oggi quell’esperienza?
Ero capogruppo di un gruppo di maggioranza formato da due consiglieri. Siccome le cose tanto per fare non mi piace farle e mi piace essere sempre documentato, mi sono trovato a partecipare a Consigli comunali, riunioni di maggioranza, di gruppo, commissioni consiliari. Le cose di cui occuparsi erano tante, dall’urbanistica alle lucine del cimitero, e ti dovevi formare e informare su molte cose senza avere dietro un partito strutturato. Noi eravamo in pochi, quindi sono stati tre anni e mezzo veramente impegnativi ma che mi hanno formato tantissimo. Lavoro nel campo nella moda, dove una cosa che non viene fatta oggi domani è da buttare, dove è tutto velocissimo: poi ti trovi nella burocrazia dell’amministrazione, dove i tempi sono biblici. All’inizio per me era sconvolgente iniziare a parlare di una cosa, poi riparlarne dopo cinque mesi e magari vederla realizzata dopo un anno. Però questa cosa mi ha cambiato tantissimo, mi è stata molto utile perché mi ha fatto capire che nel mondo non si vive solo alla velocità della moda. E mi sto rendendo conto, specialmente acquisendo maturità e anzianità, che questi tempi per pensare un problema, rielaborarlo, ridiscuterlo, sono necessari per poter fare bene le cose. È stata un’esperienza formativa molto importante per me. Bisognerebbe trovare una formula per cui tutti i cittadini, almeno un anno nella vita, si occupino della cosa pubblica. Questo ti dà una consapevolezza e una responsabilità differente, un altro modo di atteggiarti e di capire le cose. Questi tre anni e mezzo li ho vissuti come una sorta di università.
Certo da una parte è stato anche deludente, perché quando arrivi vorresti spaccare il mondo, fare tante cose, poi la politica è fatta di compromessi e promiscuità. Il programma che avevamo sognato in campagna elettorale l’abbiamo visto poco realizzato, secondo me potevamo fare di più. Infatti poi ho dato le dimissioni perché non mi rivedevo più in quel progetto. Ho sempre fatto sport e da atleta non mi sono mai ritirato da una competizione, sono arrivato sempre in fondo anche sanguinante, dolorante. Quindi questa cosa l’ho vissuta come una sconfitta. Sarei voluto arrivare in fondo alla legislatura, però non è stato possibile perché c’erano delle spaccature interne ed ero diventato numericamente fondamentale per la maggioranza. Ho deciso di non mettere in difficoltà il mio gruppo, le mie idee andavano contro quello che il mio gruppo voleva portare avanti e quindi mi sono fatto da parte. Insomma un’esperienza impegnativa, anche perché avevo un’azienda con 40 dipendenti, però l’ho vissuta a tutto gas. Poi dentro la maggioranza con il Partito Democratico eravamo la prima opposizione, quindi anche le preconsiliari non è che fossero riunioni semplici. Però è stata un’esperienza bellissima, la consiglio a tutti.
Leggi la prima parte dell’intervista a Marcello Brizzi:
“Una grande evoluzione in circostanze oggi non ripetibili”.