Pur non essendo nativo di Pieve Santo Stefano ha comunque onorato con dedizione e grande attaccamento la maglia della Sulpizia, diventando “pilastro” del centrocampo per tante stagioni e centrando per due volte la promozione in Seconda Categoria a 20 anni di distanza l’una dall’altra. Se non è un record poco ci manca, a testimoniare longevità sportiva e una passione conservata fino a oltre 45 anni. Luigi Campana è stato uno dei protagonisti della Sulpizia dalla fine degli anni ’70 al termine del decennio successivo e dopo una lunga parentesi con il Gragnano, squadra amatoriale tra le più forti della Valtiberina, è tornato a vestire la maglia della compagine di Pieve Santo Stefano conquistando nel 1998-1999 un’altra promozione. Un calciatore di sostanza e di quantità, un “mediano di fatica”, abile nel recuperare palloni e nel mettersi a disposizione dei compagni, doti che nel corso del tempo lo hanno fatto diventare un beniamino dei tifosi ed una bandiera di quella Sulpizia. Oggi su TeverePost, la storia calcistica di Luigi Campana.
Quando e dove è iniziata la tua avventura nel mondo del calcio?
Sono di origini abruzzesi e ho cominciato a giocare nel mio paese, a Barrea in provincia de L’Aquila, quando avevo circa 15 anni. Non ho fatto il settore giovanile in nessuna squadra, ma partecipavo assieme agli amici ai vari tornei estivi. Ci divertivamo e spesso li vincevamo. Fin da quegli anni agivo da centrocampista, ruolo che ha poi contraddistinto tutta la mia avventura calcistica.
Come sei arrivato a Pieve Santo Stefano?
Ero nella Guardia Forestale e nel 1975 mi mandarono a Sarteano, in provincia di Siena. Non faticai troppo a inserirmi e a conoscere persone del posto con cui iniziai quasi subito a giocare a pallone. Lo sport in questo senso è davvero straordinario perché accomuna tanti appassionati e fa nascere amicizie. Il calcio mi piaceva tantissimo e quindi iniziai ad allenarmi con il Sarteano, formazione che militava in Terza Categoria. Lì giocai per due stagioni, entrambe positive per me e per la squadra. Eravamo un gruppo affiatato e ci divertivamo. Il secondo anno restai al Sarteano anche se per lavoro mi ero già trasferito a Pieve Santo Stefano. Anche qui l’inserimento fu immediato, così nel 1977-1978 iniziai a giocare con la Sulpizia, in Terza Categoria. Trovai un ottimo ambiente, una bella società ed un gruppo fantastico. Mi fecero sentire subito “uno di casa”. Poi nel 1980 mi sono sposato e a Pieve mi sono stabilito in via definitiva.
Stagione 1978-1979, quella dello “storico” spareggio al Buitoni contro la Baldaccio Bruni Anghiari che poi vi portò, nonostante la sconfitta, in Seconda Categoria. Cosa ti resta di quei momenti?
Fu un campionato intenso e combattuto, caratterizzato da un appassionante testa a testa con la Baldaccio. Eravamo al comando della classifica, ma nelle ultime giornate ci agganciarono e quindi si rese necessario lo spareggio. Io purtroppo non giocai la sfida decisiva causa squalifica, ma ricordo la tensione e le emozioni di quel derby disputato al Buitoni e di fronte ad un pubblico molto numeroso. Volevamo con tutte le nostre forze la vittoria, ma perdemmo 4-2. La delusione fu enorme, ma fortunatamente nonostante il ko arrivò lo stesso la promozione in Seconda Categoria e fu un ottimo risultato. La squadra fu diretta per quasi tutta la stagione da Venturi che poi lasciò per motivi di lavoro venendo sostituito nella parte finale da Ricci. In rosa poi c’erano giocatori molto forti ed eravamo davvero un bel gruppo!
Negli anni successivi tanti campionati di buon livello in Seconda Categoria. Come valuti quel periodo?
Molto positivo. Ero un titolare fisso di quella Sulpizia assieme ai vari Ortolani, Mearini, Santini, Buizzichini, Venturi, Gorini e Nasini e ci facevamo “rispettare” diciamo così in ogni campo, giocando alla pari contro le formazioni più attrezzate. Furono stagioni in crescendo e io continuai a giocare fino al 1989-1990, sempre in Seconda Categoria. I ricordi belli non mancano.
Tipo?
Non segnavo tanto, ma qualche gol me lo ricordo bene come ad esempio la doppietta realizzata nel 1978-1979 sul campo del Giotto Est e la rete del vantaggio in casa con la Baldaccio Bruni nella gara che vincemmo 4-2 in Seconda Categoria 1981-1982. Andare a segno era sempre un’emozione, in un derby lo era ancora di più. Tanti gli scontri in quegli anni con la Baldaccio, con la Monterchiese e anche con il Sansepolcro. Partite molto sentite con gli spalti sempre pieni. Altri tempi in questo senso. Anche negli anni successivi segnai qualche gol. Ricordo la rete firmata nel 1982-1983 con la Tuscar Canaglia, quella contro il Gemini 81 nel campionato 1984-1985 e una a Castelnuovo dei Sabbioni quando calciai da fuori area con il pallone che entrò in porta lentamente, sorprendendo il portiere avversario.
Quali le tue caratteristiche principali?
Ero un centrocampista di “fatica”, correvo tanto, ero grintoso, abile nel recuperare palloni e spesso venivo impiegato in marcatura sul trequartista avversario. Tecnicamente in squadra c’erano calciatori più bravi di me, ma io compensavo il tutto grazie al mio carattere da “combattente” e alla capacità di concentrazione, in settimana e la domenica. Lottavo, ma ero molto corretto e nella mia carriera le uniche volte in cui sono stato espulso è stato per doppia ammonizione. Sono sempre stato molto attaccato alla maglia e ho dato tutto. Forse per questo ho avvertito l’affetto dei tifosi che riconoscevano la mia “dedizione alla causa”. Poi non saltavo mai un allenamento, sono sempre andato d’accordo con tutti ed ho avuto allenatori da cui ho cercato di apprendere al meglio, a partire da Gori, Barboni, Bartoccioni, Gatticchi.
Alla fine degli anni ’80 si chiuse la tua prima esperienza come giocatore della Sulpizia. Cosa accadde negli anni successivi?
Non essendo più un giovanotto pensavo che la mia storia da calciatore in categorie FIGC si fosse conclusa, ma non volevo comunque smettere di giocare a calcio e così fui tesserato con il Gragnano, formazione del nostro territorio tra le migliori a livello amatoriale. Altra bellissima esperienza e tanto divertimento perché per chi ama il calcio, giocare è la cosa più bella che ci sia. In quegli anni rimasi comunque nello staff tecnico della Sulpizia come allenatore dei bambini togliendomi tante soddisfazioni. Alcuni di quei giovani tra l’altro stanno ancora giocando a ottimi livelli.
Ad esempio?
Giacomo Gorini e Marco Rosati, per fare degli esempi, ma nei vari gruppi che ho allenato erano presenti anche altri giovani interessanti. Allenare i bambini per me è stato molto bello. Ricordo le partecipazioni al Torneo della Befana di Anghiari e un torneo a Bagno di Romagna in cui osservatori del Cesena vennero a vedere Rosati, Marri e Gorini. A prescindere dai risultati e dalla bravura dei singoli, ho sempre cercato di trasmettere i valori in cui credo: voglia di divertirsi, rispetto, serietà, impegno, capacità di stare in gruppo e parlando di calcio i fondamentali con il pallone, che a mio giudizio sono determinanti a livello giovanile. La cosa più gratificante era vedere i miglioramenti dei ragazzi e la loro crescita nell’arco di una stagione. Nel 2020, dopo alcuni anni di pausa, avevo ricominciato ad allenare i bambini, ma a causa della pandemia tutto si è purtroppo fermato. Per lo sport giovanile questo stop è davvero una “brutta botta”.
Quando iniziò la tua seconda avventura da calciatore della Sulpizia?
Era la stagione 1998-1999 ed è ero nello staff tecnico della prima squadra, in supporto all’allenatore Bruno Matteaggi. Eravamo in Terza Categoria, in gruppo c’erano giovani di spessore come ad esempio Gennaioli, Bragagni, Bartoccini e Dionigi e sentivamo la possibilità di vincere il campionato. In settimana mi allenavo con il gruppo e fisicamente ero ancora in buona forma, così il mister mi chiese se volessi tornare in campo per dare il mio contributo a livello di esperienza. Mi misi a disposizione con entusiasmo e le cose andarono molto bene dato che vincemmo quel campionato. Una grande soddisfazione per me che ero alla soglia dei 45 anni e per di più ottenuta assieme a giovani di Pieve. Continuai ancora per un anno in Seconda Categoria poi decisi definitivamente di smettere. Però quel trionfo fu davvero una gioia incredibile!
Come valuti la tua avventura con la Sulpizia e cosa ti ha insegnato il calcio?
Non ho giocato a livelli importanti, ma mi sono divertito molto e sono felice di aver lasciato un segno nella storia calcistica della Sulpizia. Lo sport in generale è molto importante per coloro che lo praticano perché è a tutti gli effetti uno specchio della vita. A me ha insegnato il rispetto delle regole e degli altri, l’educazione, la voglia di impegnarsi e come comportarsi all’interno di un gruppo. Valori fondamentali anche al di fuori di un campo da calcio. Ora di giocare ho smesso definitivamente, ma vado in bici o a correre perché lo sport è una parte importante della mia vita. Poi aiuta a stare meglio, a tutte le età!