Lo stop a tutti i campionati di calcio, a livello nazionale e territoriale, è stato prorogato almeno fino al 13 aprile compreso. La notizia era prevedibile ed è stata confermata dalla Lega Nazionale Dilettanti tramite una comunicazione ufficiale. Impensabile del resto, visto il perdurare dell’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, ipotizzare la ripresa dell’attività agonistica in tempi tanto brevi.
Non è certamente ancora il momento di tornare al calcio giocato e non lo sarà probabilmente nemmeno immediatamente dopo il 13 aprile. L’Italia è ancora in attesa di vedere scendere in modo significativo la “curva dei contagi” e il calcio può solo adeguarsi ad uno stop che riguarda tutti i settori non fondamentali della nostra vita. Nella nota ufficiale si legge testualmente che “la Lega Nazionale Dilettanti, prendendo atto delle nuove disposizioni contenute nel DPCM del 1° aprile 2020, ha esteso la sospensione delle attività sino a tutto il 13 aprile 2020, sia a livello nazionale che territoriale. Di conseguenza anche le gare della fase nazionale della Coppa Italia Dilettanti, ancora da disputare, sono state rinviate a data da destinarsi”. Competizioni ufficiali ferme, così come restano ovviamente sospesi anche gli allenamenti.
Un tema che sta a cuore a tutti gli appassionati e che coinvolge in modo diretto le varie società calcistiche, così come sottolineato in questa intervista da Alessio Scarscelli, responsabile dell’organizzazione sportiva del Vivi Altotevere Sansepolcro.
Cosa pensi innanzitutto Alessio della decisione di estendere la sospensione delle attività sino a tutto il 13 aprile?
“Non avevo grandi dubbi, mi pare invece poco logico continuare a indicare un termine. Stiamo affrontando un’emergenza dove ad essere a rischio è la salute di tutti e dove sarà necessario porre in essere le cautele possibili per garantirla. Ipotizzare una data di ripresa è assolutamente anacronistico e, ad oggi, pericoloso. In questa fase ci sono altre priorità. Il calcio è un importante valvola di sfogo, un veicolo di sana passione e un importante contesto di crescita per tanti giovani e tornerà sicuramente in futuro a far parte della nostra quotidianità, ma oggi dobbiamo pensare solo a tutelare la salute di tutti e capire come poter ripartire per riprendere gradualmente le nostre abitudini. Credo in ogni caso che nulla sarà più come prima”.
Come vivono le società questo momento difficile e di incertezza sul futuro? E come lo vive nello specifico il Sansepolcro?
“Ci sentiamo spesso tra addetti ai lavori e in generale c’è, da parte di tutti, la priorità di salvaguardare la salute delle persone che gravitano attorno al mondo del calcio. Per noi che dedichiamo quasi ogni momento libero delle nostre giornate al Sansepolcro questo stop forzato è indubbiamente impattante. Vedere i nostri campi e le nostre strutture vuote, soprattutto quelle più frequentate dai giovani, lascia ancora un senso di smarrimento, ma abbiamo voluto, come società, porre in essere fin da subito tutte le cautele. Abbiamo fermato senza esitazione ogni attività, dalla prima squadra alla scuola calcio e abbiamo cercato, soprattutto con i più giovani, di trasmettere un messaggio volto al massimo rispetto delle regole di distanziamento sociale imposte dal Governo, consapevoli della forte incisività e della credibilità delle nostre iniziative su tutti i tesserati del Sansepolcro”.
Ci sono i presupposti per pensare di tornare in campo, oppure c’è la sensazione che si potrebbe anche non ripartire?
“Personalmente ritengo che la stagione debba ritenersi conclusa, indipendentemente dalle decisioni che gli Organi Federali vorranno prendere in merito alla validità delle classifiche. Come ho già detto, al momento la priorità è la tutela della salute di tutti, specialmente dei giovani verso i quali abbiamo un dovere etico ed educativo particolarmente importante. Tornare in campo direi che al momento non è minimamente prioritario. Non vedo infatti, oggi come nel prossimo futuro, la possibilità di porre in essere le cautele fondamentali per garantire la sicurezza nelle strutture sportive e non è ipotizzabile, e qui mi riferisco soprattutto alla prima squadra, pensare di tornare in campo dopo due o tre mesi di totale fermo delle attività, come se non fosse successo nulla. Non solo sarebbe eticamente poco corretto ma si andrebbe incontro anche a problematiche più pratiche. Un calciatore che non si allena da tempo è maggiormente soggetto agli infortuni e non possiamo pensare, come qualcuno ha proposto, di terminare la stagione in estate inserendo turni infrasettimanali. La grande maggioranza dei calciatori dilettanti lavora e non mi pare molto logico che un dipendente possa permettersi di chiedere ferie e permessi per allenarsi o per giocare una partita in un momento come questo, così delicato per la nostra economia. Mi permetto di aggiungere a tal proposito che proprio il contesto economico che si prospetta non potrà che portare verso un sensibile ridimensionamento delle risorse a disposizione delle società dilettantistiche. La crisi di numerose aziende comporterà una fortissima riduzione delle sponsorizzazioni e le società dovranno riadattare prontamente le proprie strategie, prediligendo un contenimento ed una ottimizzazione dei costi al fine di garantire una continuità che, ad oggi, appare tutt’altro che scontata”.