Come è piuttosto noto, al mattino del 12 ottobre 1492 Cristoforo Colombo e il suo equipaggio raggiunsero le Americhe. Per la precisione erano i Caraibi, ma soprattutto la spedizione spagnola pensava di essere arrivata nelle Indie. Quel viaggio, sia quello verso l’America che quello complicatissimo di ritorno, costituirono una grandissima sfida dell’uomo verso l’ignoto, a cui si aggiunsero una serie di sfortune di cui raramente si parla. Cercheremo di riassumere le principali dinamiche di quel viaggio senza spingerci ad approfondire le conseguenze, anche drammatiche, della colonizzazione del continente americano. Certo è che il 1492 resta un anno spartiacque nella storia dell’umanità, non solo per il viaggio di Colombo, ma anche per la scomparsa di Piero della Francesca, proprio il 12 ottobre, per la morte di Lorenzo il Magnifico, la cacciata degli arabi dall’Europa e l’inizio della persecuzione degli ebrei in molte aree del continente. Per molti il 1492 rappresenta anche il termine dell’epoca medioevale, mentre per altri la data spartiacque sarebbe il 1453 quando gli ottomani conquistarono Costantinopoli.
La lunga preparazione
Cristoforo Colombo nacque a Genova nel 1451 e fin dalla giovane età cominciò a lavorare nel settore della navigazione. Ebbe modo di viaggiare molto sia nel Mediterraneo che nel nord Europa. È probabile che i viaggi nelle isole britanniche e soprattutto in Islanda abbiano contribuito a sviluppare in lui l’idea che il continente asiatico fosse raggiungibile anche navigando verso ovest. In quegli anni, che la Terra fosse sferica era una nozione che aveva il sopravvento nella comunità scientifica, ma non c’erano punti di vista unanimi su quanto fosse grande il pianeta. Colombo leggeva testi geografici e conosceva bene la cartografia anche grazie al fratello Bartolomeo, che era cartografo. Nel corso della sua vita raccolse molte testimonianze ed opinioni sul fatto che oltre il Mare Oceano ci potesse essere un continente, quello asiatico. In Islanda era risaputo che navigando verso ovest si incontrava altre terre, ma essendo l’isola nordica molto a settentrione, le distanze da lì al continente americano erano molto più brevi rispetto a quelle che separavano la penisola iberica dai Caraibi. Tra i testi che più influenzarono Cristoforo Colombo ci fu anche il Milione di Marco Polo. I resoconti delle ricchezze presenti nel lontano oriente sarebbero stati un ulteriore incentivo per cercare di convincere possibili sostenitori della propria idea.
Nel 1483 ebbe la prima occasione di presentare il suo progetto davanti al Re di Portogallo Giovanni II. La commissione incaricata dal sovrano di esaminare l’idea la considerò non sostenibile. I calcoli di Colombo relativamente alla distanza da percorrere tra Europa e Asia furono considerati sbagliati. La storia dirà che in effetti lo erano, anche di molto, dato che il genovese pensava di dover percorrere circa 4.000 chilometri per raggiungere l’Asia invece dei reali 20.000. Per sua fortuna incontrò un continente sconosciuto, altrimenti la spedizione non sarebbe potuta sopravvivere a quel tipo di viaggio. Dopo il rifiuto portoghese Colombo si rivolse ai reali di Spagna, che però erano ancora impegnati nelle guerre contro gli arabi che occupavano parte del territorio e di conseguenza respinsero il progetto. Mentre Colombo si apprestava a tentare di incontrare i reali di Francia ed Inghilterra un nuovo incontro con i sovrani spagnoli Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia riuscì a sbloccare la situazione. La caduta di Granada e la fine della guerra contro i mori contribuirono a cambiare il clima e le prospettive della Spagna. La monarchia spagnola decise di sostenere il progetto economicamente, mentre ci furono lunghe trattative per stabilire che tipo di compensi monetari e nobiliari avrebbe ottenuto Colombo. A fatica si arrivò ad un accordo che prevedeva riconoscimenti solo in caso di successo della spedizione. Restava ora da organizzare le navi e l’equipaggio, e tenuto conto delle difficoltà e della paura dell’ignoto trovare volontari fu una missione assai ardua. Decisivo fu il sostegno da parte di Martín Pinzón , esperto navigatore, proprietario di navi e personaggio molto stimato a Palos, la città dell’Andalusia da dove sarebbe partita la spedizione. Con l’aiuto di Pinzón e grazie alla scelta di concedere un condono delle pene a coloro che avessero preso parte alla spedizione fu possibile mettere assieme un equipaggio di 90 persone e tre navi. La famiglia Pinzón era proprietaria di due caravelle, la Niña e la Pinta, delle quali presero il comando Martín Pinzón e il fratello Vicente. La terza nave, di stazza più grande, era la Santa María di proprietà di Juan de la Cosa che partecipò al viaggio nel ruolo di timoniere, mentre il comando della nave spettò a Cristoforo Colombo.
Il viaggio di andata
Il 3 agosto 1492 la Santa María, la Pinta e la Niña lasciarono il porto della piccola Palos per intraprendere un’avventura lunga oltre sette mesi che avrebbe portato a conseguenze che Colombo non avrebbe potuto immaginare. A bordo c’erano scorte alimentari per quasi un anno, doni e beni da regalare o barattare con i popoli che potevano essere incontrati, persone in grado di parlare lingue orientali e naturalmente armi per la difesa. Dopo tre giorni di navigazione si ebbe il primo problema, ovvero la rottura del timone della Pinta. Le navi avevano previsto di fare scalo a San Sebastián nell’isola de La Gomera, facente parte delle Canarie, il possedimento spagnolo in pieno Oceano Atlantico al largo della costa marocchina. A causa del ritardo con cui arrivò la Pinta e considerati i tempi di riparazione la spedizione poté ripartire solamente il 6 settembre. Stavolta la navigazione sarebbe stata verso l’ignoto: nessun uomo aveva mai intrapreso quella rotta verso occidente in pieno oceano. Colombo aveva studiato gli alisei, venti che soffiano costantemente verso ovest. Se questo assicurò una spedita navigazione verso occidente, allo stesso tempo il costante soffiare preoccupò l’equipaggio che si cominciò a chiedere come sarebbe stato possibile tornare indietro. Altro fenomeno che inquietò i membri della spedizione fu il fatto che allontanandosi in longitudine dall’Europa la bussola cominciava a distanziarsi dal polo nord magnetico. Per la tecnologia dell’epoca significava che la bussola non indicava più la stella polare. Più avanti fu compreso che tutto questo derivava dalla fino a quel momento sconosciuta declinazione magnetica, ma in quei giorni questo fenomeno contribuiva a spaventare tutti. Colombo continuava a trasmettere ottimismo confortato da segnali come la presenza di uccelli, alghe o ritrovamenti di pezzi di legno sul mare. Allo stesso tempo indicava nel giornale di bordo della Santa María un numero inferiore di leghe rispetto alle altre due navi. Questo serviva per trasmettere l’idea che il tempo passava ma data la lentezza della navigazione le navi non si erano allontanate troppo dalle Canarie. Qualcuno sia durante la spedizione che in epoca moderna ha avanzato fantasiose ipotesi sul fatto che Colombo avesse già compiuto quel viaggio in precedenza, si ipotizza nel 1485, vedendo conferme a questa idea nella perfetta conoscenza degli alisei, nella sicurezza ostentata davanti ai reali e al proprio equipaggio e in altri due episodi che andiamo a raccontare. Più volte Martín Pinzón, esperto navigatore, suggerì a Colombo di passare dalla rotta verso ovest a quella di sud ovest per seguire gli stormi di uccelli incontrati. Il genovese decise di farlo solo in un momento successivo, poco prima dell’avvistamento della terraferma. Il 9 o il 10 ottobre a bordo delle navi ci fu un tentativo di ribellione. La ciurma era impaurita e voleva tornare indietro. Colombo spaventò tutti dicendo che solo lui poteva sapere dove cercare i venti per tornare in Europa, ma offrì un compromesso. Chiese tre giorni di ulteriore navigazione dopo i quali sarebbe stato disponibile a tornare indietro. Mise sul piatto anche la sua testa, convinto che entro quel termine la sua previsione di raggiungere l’obiettivo si sarebbe avverata. Altri segnali sembrarono dargli ragione visto che si moltiplicarono le segnalazioni di legname e addirittura fiori sulla superficie del mare. La notte tra l’11 e il 12 ottobre Colombo sostenne di aver visto dei fuochi all’orizzonte. I diari di bordo riportano che attorno alle due del mattino, al sorgere della luna, apparve qualcosa illuminato debolmente dalla luce lunare. Rodrigo de Triana, in quel momento in vedetta sulla coffa della Pinta, gridò “terra!” La Pinta, come concordato, sparò un colpo di cannone e così scoppiò la festa anche a bordo delle altre due navi. Una comprensibile liberazione fatta di urla, grida, preghiere di ringraziamento e pianti.
L’esplorazione dei Caraibi
L’alba definì ancora meglio il profilo di un’isola delle Bahamas, Watling, o San Salvador, come la battezzò Colombo una volta sbarcato. Gli uomini dovettero aspettare il pieno giorno per avvicinarsi data la presenza di fondali molto bassi e della barriera corallina. Compirono l’ultimo tragitto su tre piccole imbarcazioni e poi l’ammiraglio prese possesso di questa terra in nome dei reali di Spagna e del cattolicesimo. Dopo pochi minuti dallo sbarco un gruppo di indigeni si avvicinò agli spagnoli. Il primo incontro tra nativi ed europei fu molto cordiale, con gli isolani che probabilmente videro in Colombo e nei suoi uomini delle divinità. Avvennero scambi di doni con i Taíno, così si chiamavano questi indigeni. Specchietti e campanelline spagnole piacquero molto e la popolazione caribica non tardò a donare agli europei piccoli monili d’oro. La disponibilità di oro da parte di tutti gli isolani fece pensare a Colombo che le terre dove si trovavano fossero molto ricche. Il navigatore genovese era sempre più convinto di essere in qualche isola a largo del Giappone o della Cina. Qualsiasi tentativo di dialogo fatto dai traduttori di lingue orientali cadde nel vuoto. Le tre navi non erano approdate nei pressi di un’isola ma di un intero arcipelago e di conseguenza la spedizione esplorò e ribattezzo in lingua spagnola altre isole. Alcuni dei Taíno si dimostrarono capaci di imparare qualche parola di spagnolo e dopo essere stati battezzati assunsero un ruolo importante, cercando di aiutare Colombo ed i suoi uomini a comunicare con gli abitanti delle varie isole. Alla domanda sulla provenienza dell’oro che possedevano i Taíno rispondevano da Babeque, forse un’isola o forse una località. A fine mese avvenne lo sbarco a Cuba, dove una spedizione via terra si addentrò sull’isola senza trovare oro ma solo una ricca e rigogliosa vegetazione. Nessuna traccia della civiltà e delle ricchezze descritte da Marco Polo, ma di certo ci fu grande interesse per la scoperta di prodotti della terra ignorati in Europa come tabacco, pomodori, mais e patate, tanto per fare degli esempi.
Dopo alcune esplorazioni senza rilevanti risultati la Pinta si separò dalla flotta e decise di dirigersi a Babeque. La versione di Martín Pinzón differì da quella di Colombo su questo episodio: lo spagnolo si giustificò dicendo di essersi perso nella nebbia, senza ammettere l’intenzione di volersi sottrarre all’autorità di Colombo per proseguire le ricerche in autonomia. La Santa María e la Niña continuarono l’esplorazione ed arrivarono ad Haiti. Qui gli indigeni raccontarono che poco lontano c’era Cibao, regione dell’attuale Repubblica Dominicana, mentre Colombo si sentì convinto di essere vicino a Cipango, il modo in cui all’epoca veniva chiamato il Giappone. Queste errate convinzioni di Colombo portarono ad una forte concentrazione di energie per cercare le ricchezze del Gran Khan. La notte di Natale, mentre la Santa María e la Niña cercavano un luogo dove approdare per festeggiare la natività di Cristo nella terraferma, la maggiore delle due navi urtò una secca o addirittura la barriera corallina. I danni furono tali che la Santa María non poteva più navigare. Equipaggio e carico furono portati nella vicina spiaggia e il Natale non passò certo nel migliore dei modi. Considerata l’assenza della Pinta e il rischio di andarla a cercare con l’unica nave rimasta, e tenuto inoltre conto del fatto che la più piccola delle caravelle non avrebbe potuto riportare in Spagna l’intero equipaggio della Santa María, fu deciso di lasciare in America trentanove europei. Con il relitto della Santa María fu costruito un forte chiamato La Navidad, di fatto la prima colonia europea sul continente americano. Gli indios della zona si dimostrarono gentili ed ospitali nei confronti degli europei e Colombo ebbe modo di conoscere il loro capo Guacanagarí. Quest’ultimo concesse il permesso agli spagnoli di costruire La Navidad assicurando la propria protezione.
Gli stessi componenti della tribù di Guacanagarí dissero a Colombo di aver visto la Pinta navigare non lontano da lì. Il 5 gennaio la Niña e la Pinta si riunirono e avvenne uno scontro verbale tra i due comandanti. Colombo requisì l’oro trovato da Pinzón, che era stato già diviso con la ciurma. Nonostante i rapporti tesi i due dovettero collaborare per assicurare il successo al viaggio di ritorno. Le due navi furono tirate in secca per consentire lavori di manutenzione e finalmente il 16 gennaio la Pinta e la Niña ripresero il mare. Pochi giorni prima erano stati attaccati dai Canibi (o Caribe), una tribù che si dimostrò ostile alla presenza degli europei.
Il difficile ritorno tra tragedie e gloria
La navigazione seguì una rotta più settentrionale rispetto al viaggio di andata e ancora una volta Colombo dimostrò di avere un’ottima conoscenza e intuito nello scovare i giusti venti. Più incerta fu la definizione dell’esatta posizione, cosa che portò le navi a percorrere una rotta molto settentrionale. Una tempesta lunga tre giorni colpì le due navi separandole. La situazione fu talmente grave che Colombo arrivò a mettere in un barilotto galleggiante dei documenti e una sua lettera che raccontava quali terre erano state esplorate. Entrambe le caravelle sopravvissero malconce alla tempesta. Colombo e la Niña approdarono alle Isole Azzorre, dominio atlantico del Portogallo. Anche per questo dopo la riparazione della nave dovettero passare da Lisbona ed incontrare il sovrano portoghese che dieci anni prima aveva deciso di non sostenere il viaggio. Nel frattempo Pinzón e la Pinta, completamente fuori rotta, approdarono a Baiona, nella costa settentrionale della Spagna, e quindi arrivando quasi due settimane prima di Colombo in terra iberica. Approfittando del fatto che era arrivato prima dell’ammiraglio e che Colombo poteva essere naufragato con la Niña, Pinzón scrisse ai reali di Spagna rendicontando il viaggio e chiedendo di essere ricevuto a corte. Ferdinando ed Isabella rifiutarono però di incontrare Pinzón che a quel punto decise di tornare a Palos con la Pinta. Arrivò nella cittadina da cui tutto partì poche ore dopo l’arrivo di Colombo e soprattutto già malato di un morbo, forse la sifilide, che lo avrebbe portato a morire due settimane dopo. Lo scambio di malattie tra europei e indios fu letale per molte persone in entrambi i continenti, e Martin Pinzón è considerata la prima vittima di questo fenomeno. Probabilmente la lettera di Pinzón ai sovrani di Spagna salvò la vita di Colombo. Se la notizie della scoperta non fosse già arrivata a corte Re Giovanni II del Portogallo avrebbe potuto bloccare il genovese e i suoi uomini ed impedire al mondo di conoscere che oltre l’oceano c’era una terra. Se il re lusitano lasciò andare Colombo è forse proprio grazie al fatto che già la notizia della scoperta circolava a causa degli uomini della Pinta e che quindi non poteva più approfittare della situazione a vantaggio del suo regno. Le gesta dell’ammiraglio del mare oceano e dei suoi uomini furono raccontate in tutta Europa e i sovrani lo ricevettero con la massima gloria, riservandogli il privilegio di sedere a fianco al trono senza neppure togliere il cappello.
Conseguenze del viaggio di Colombo e spedizioni successive
Colombo mostrò a Re Ferdinando e alla Regina Isabella le ricchezze di questo nuovo mondo. Oro, prodotti alimentari sconosciuti, piante, animali e i Taíno, un popolo pronto sia ad essere cristianizzato che a giurare fedeltà alla corona spagnola. Non fu perso tempo e a Colombo fu chiesto di organizzare una nuova spedizione per continuare le esplorazioni e per insediare i primi coloni con lo scopo di conquistare ed evangelizzare le terre scoperte. La Niña fu l’unica caravella superstite del primo viaggio che prese parte anche alla spedizione successiva, composta da un totale di diciassette navi e milleduecento uomini. Il secondo viaggio non fu caratterizzato dai timori e le insicurezze della prima avventura, ma all’arrivo a La Navidad emerse una terribile sorpresa. Il forte era distrutto e tutti gli uomini lasciati lì dopo il naufragio di Natale erano morti. Colombo raggiunse il villaggio dei Taíno per interrogare Guacanagarí, che trovò ferito ad una gamba. I Taíno raccontarono che gli spagnoli non si erano comportati bene e cercando l’oro nelle montagne erano entrati in contatto con i Canibi, con i quali c’erano stati violenti scontri. I Canibi, in numero superiore agli abitanti del forte, avevano attaccato il presidio spagnolo saccheggiandolo e uccidendo gli occupanti e i molti Taíno venuti in soccorso degli europei. Difficile ricostruire la verità storica dell’accaduto, ma si era trattato del primo scontro tra la civiltà europea lì per saccheggiare e approfittare delle nuove terre e gli indigeni, non sempre intenzionati a tollerare le violenze perpetrate dagli europei.
Nei viaggi successivi Colombo toccò l’America Centrale e le coste della Colombia, che prese il proprio nome proprio dall’ammiraglio, senza mai riuscire a comprendere del tutto se avesse scoperto un nuovo continente oppure se si trovasse nella parte più orientale dell’Asia. Nel frattempo il Portogallo cominciò proprie esplorazioni e fu necessario un accordo con la Spagna che definisse le sfere di influenza. Nel 1494 fu firmato il Trattato di Tordesillas, che spiega perché in tutto il Sudamerica si parli spagnolo con l’eccezione del Brasile, dove la lingua usata è il portoghese. Cristoforo Colombo seppe essere un ottimo esploratore dotato di grande intuito, ma allo stesso tempo fu un pessimo amministratore delle terre scoperte. Creò talmente tanto scontento che fu anche arrestato e il terzo viaggio di ritorno verso l’Europa lo dovette fare alla catena. I reali di Spagna gli restituirono la libertà ma lo privarono dei titoli che gli permettevano di amministrare le terre da lui scoperte. Meglio andò ai suoi eredi, a partire dai suoi figli, che ebbero ruoli importanti nei viaggi di esplorazione successivi. Solo alcuni anni dopo, grazie ai viaggi del fiorentino Amerigo Vespucci, da cui il nome America, e alla spedizione di Ferdinando Magellano con il vicentino Antonio Pigafetta, si comprese che il nuovo mondo non era l’Asia, e si dimostrò con un viaggio sempre nella stessa direzione che la Terra fosse realmente sferica.