“Sebbene il film sia ispirato a persone ed eventi reali, alcuni personaggi, avvenimenti, luoghi, dialoghi e nomi sono stati romanzati a scopo narrativo. E perciò, qualsiasi somiglianza con nomi e personaggi o la storia reale di qualsiasi persona, vivente o morta, o avvenimento realmente accaduto serve esclusivamente a scopo drammaturgico e non intende riferirsi ad alcun personaggio o avvenimento storico”
Disclaimer alla fine dei lunghi titoli di coda del film “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”
La trama del film da poco uscito su Netflix appassiona coloro che amano il tema dei microstati e degli scherzi della geopolitica, in cui sicuramente rientra l’esperienza dell’Isola delle Rose al largo di Rimini, a cavallo tra il 1967 e il 1968. Il tema fino a poco tempo fa era poco noto e oltre ai protagonisti della vicenda e ai loro eredi pochi altri avevano affrontato l’argomento. Tra questi TeverePost, che aveva raccontato la storia lo scorso giugno (vedi). Alcuni anni fa era invece uscito un romanzo di Walter Veltroni ambientato nell’isola, ma la storia era deliberatamente inventata, senza nessun nesso tra i personaggi del libro e i protagonisti della vicenda. Diverso il caso del film L’incredibile storia dell’Isola delle Rose del regista Sydney Sibilia, che ha riportato di moda l’episodio dandone però una lettura completamente distorta. Se il libro di Veltroni è un romanzo dove viene fatto comprendere chiaramente che abbiamo a che fare con una storia di fantasia, questo non avviene nel film, la cui vera natura è comunicata allo spettatore solo al termine degli oltre cinque minuti di titoli di coda, con un disclaimer che sembra più una supercazzola che un avviso importante e comprensibile. Sempre nei titoli di coda si scopre che lo stesso Walter Veltroni è anche il consulente storico di un film che racconta anche alcuni aspetti della politica italiana dell’epoca, anch’essi non attinenti in alcun modo alla realtà. Non stiamo parlando di normali licenze artistiche atte a favorire lo scorrere del film o semplificare aspetti che potevano essere poco interessanti da raccontare per il pubblico, ma vere e proprie trasformazioni, per non dire falsificazioni, della storia della vita dell’ingener Rosa, della sua famiglia e naturalmente anche della piattaforma al largo di Rimini. Non si riesce a capire perché sia stato necessario partorire una favola romantica e per nulla realistica, che automaticamente porta alla conseguenza che milioni di persone immagineranno che i fatti storici siano andati in modo differente dal vero. Nell’epoca delle fake news e dei vari complottismi, il film di Sibilia si candida ad essere un capolavoro di alterazione di una storia reale, mescolando aspetti realmente accaduti e personaggi realmente esistiti con la creazione di ulteriori protagonisti e di episodi mai vissuti da chi su quella piattaforma c’era.
L’ingegner Giorgio Rosa
Elio Germano è artefice di una bella prestazione professionale, condita da un accento emiliano davvero simile a quello che si può ascoltare nelle rare interviste di Giorgio Rosa. Il vero protagonista di questa storia è nato nel 1925 e ha fatto la guerra civile italiana nelle file della Repubblica Sociale. Nell’estate del 1968 aveva 43 anni ed era un tecnico affermato, un insegnante, e naturalmente si era laureato molto prima, il 19 dicembre 1950. Otto anni prima della dichiarazione di indipendenza della piattaforma marina si era sposato con Gabriella Chierici e l’anno dopo il matrimonio era nato il figlio Lorenzo. Il vero Rosa era politicamente un liberale, sicuramente benestante, ma soprattutto non era il simil-sessantottino che appare nel racconto cinematografico. In un’intervista del 2009 dice di aver votato solo due volte in vita sua, una per Silvio Berlusconi e l’altra per Giorgio Guazzaloca alle comunali di Bologna. In un’altra del 2010 non esita a definire “terroristi” i partigiani, facendo proprio l’esempio di azioni condotte da Emilio Paolo Taviani, ministro dell’Interno all’epoca della costruzione dell’isola.
Gli altri protagonisti della storia
Nella pagina social dedicata all’Isola delle Rose, che fino a poche settimane fa non era molto frequentata, ha fatto capolino Roberto Bernardini, il figlio del “naufrago” che approda nell’isola dove si ferma a vivere. È decisamente amareggiato per come viene rappresentato il padre Pietro, originario di Città di Castello e venuto a mancare qualche anno fa. Commentando quello che definisce un “filmetto divertente che non c’entra nulla con quanto realmente accaduto”, ha scritto: “mi scoccia che abbiano fatto passare mio padre non dico per un coglione, ma poco ci manca, cosa molto ma molto lontana dalla realtà”. La vicenda del naufragio troverebbe conferma in più di una fonte giornalistica, ma nelle interviste che Pietro Bernardini ha rilasciato mentre era in vita salta fuori come un evento molto successivo alla conoscenza con Rosa. Il protagonista di Città di Castello, che ricorda di aver lasciato l’Umbria perché gli “stava stretta”, era colui che aveva affittato l’isola da Giorgio Rosa assieme ai coniugi Luciano Ciavarra e Franca Serra, con il chiaro e sempre dichiarato motivo di occuparsi dello sfruttamento commerciale dell’operazione. Tra l’altro quando l’isola fu occupata dalle forze di polizia italiane, Bernardini era l’unico abitante e per alcuni giorni restò bloccato nella piattaforma perché le autorità non sapevano come muoversi. La ragazza che nel film è la ragazza minorenne e incinta si chiama Franca, lo stesso nome dell’appena citata signora Franca Serra in Ciavarra, che all’epoca dei fatti era sposata e madre di un bambino di due anni. Infine il tedesco apolide, Rudolf Wolfgang Neumann, nella realtà praticava veramente sci d’acqua e organizzava feste, ma nel resto del tempo non puliva cessi ogni venti minuti alle feste: era invece proprietario di uno degli alberghi più importanti di Rimini. Neumann fu un personaggio molto importante nella Riviera Adriatica, e a lui si devono molte iniziative che tesero a favorire il turismo dalla Germania. Non era un abitante dell’isola, ma divenne una sorta di ambasciatore all’estero del piccolo Stato e svolse benissimo questo ruolo.
L’idea e la costruzione dell’isola
Più complesso paragonare le motivazioni reali che portarono Giorgio Rosa ad ideare la piattaforma con quelle emerse nel film. Di certo non aveva bisogno di conquistare la signora Gabriella, che già era sua moglie e anche presidentessa della SPIC (Società sperimentale per iniezioni di cemento), la società che ottenne permessi e concessioni e che legalmente fu la proprietaria dell’isola. A titolo di curiosità, oltre ai coniugi Rosa i soci della SPIC erano una coppia di svizzeri con trascorsi nel sistema finanziario del Liechtenstein, insieme a un inglese e un tedesco. I lavori di allestimento durarono quasi dieci anni, e non qualche mese come nel film, alternando geniali intuizioni a fallimenti. Nella storia reale Rosa risultò molto bravo sia nel superare i problemi burocratici legati alla sua idea che nell’organizzare il trasporto e la messa in opera dei materiali da costruzione, e infine anche nel resistere ai vari ordini di interruzione dei lavori quando l’area dove si trovava la piattaforma risultò essere stata data in concessione all’Eni. Anche coloro che lavorarono alla costruzione furono personaggi molto interessanti e il film non è stato affatto lusinghiero nei loro confronti. Ancora oggi ci sono superstiti delle squadre che si alternarono nella per nulla semplice costruzione della piattaforma, e fortunatamente le loro memorie sono state raccolte in interviste su alcuni documentari. La SPIC aveva ottenuto il permesso di effettuare sperimentazioni in mare del proprio brevetto legato ai tubi per piattaforme marine, ed è questo il motivo per il quale per anni nessuno intervenne in quella che sembrava una normale sperimentazione. L’aspetto utopistico della nazione libera, come Rosa ammette in reali interviste, fu un aspetto successivo legato al tentativo di trovare sostegno internazionale quando sembrava ormai impossibile che l’Italia tollerasse la presenza della piattaforma, e successivamente per impedirne la demolizione. Sempre una geniale intuizione fu quella di scegliere l’esperanto come lingua ufficiale, per attirare attenzione e simpatie di molte realtà culturali in ogni angolo del mondo pronte a sostenere l’isola nella sua battaglia legale contro lo stato italiano.
Rimini e il mondo alla fine degli anni ‘60
Gli eventi che hanno fatto entrare nella storia il 1968 non hanno alcun legame con quello che successe al largo di Rimini. Lo dicono in più di un’intervista i protagonisti dell’epoca e la cosa trova sostegno in fatti reali. Veltroni e Sibilia, sia nel libro che nel film, hanno trasformato un progetto commerciale in un sogno sessantottino, stravolgendo letteralmente i moventi che portarono alla costruzione della piattaforma. Rosa era intollerante verso la chiusura culturale dell’Italia ed era poco amante sia del mondo clericale che di coloro che lo rappresentavano nella politica, ma allo stesso tempo era come detto lontanissimo dai comunisti che costituivano la classe politica dominante nella sua regione. L’Isola di acciaio, come si chiamava a fine estate del 1967, era invece un’ottima idea per legarsi a quello che stava succedendo nella riviera adriatica. Proprio in quegli anni nacquero una serie di attrazioni delle quali molte attive anche oggi. Oltre alla sabbia e al mare, Rimini e dintorni seppero dare al turista qualcosa in più. Dai ristoranti in spiaggia alle sale da ballo, dall’Italia in Miniatura a Fiabilandia, tutte cose che contribuirono a far crescere il turismo nella costa romagnola. Rosa cercò di creare un’attrazione unica che avesse anche alcune delle caratteristiche di San Marino o Monte Carlo, in particolar modo la possibilità di non pagare alcuna imposta. Lui stesso racconta dell’interessante possibilità di vendere gasolio ai natanti a prezzi vantaggiosi.
Il contesto politico
Per quanto riguarda la politica italiana dell’epoca, appare evidente la volontà di dare un messaggio forte su che tipo di pensiero ci fosse, ma anche questo poteva essere trasmesso senza trasformare alcuni dei padri costituenti in macchiette. Diverse inoltre, anche in questo caso, le incongruenze storiche. L’esempio più semplice da fare riguarda il secondo governo guidato da Giovanni Leone, del quale faceva parte il ministro dell’Interno Franco Restivo, di fatto il protagonista in negativo del film. L’esecutivo venne infatti nominato il giorno precedente all’inizio di blocco navale e occupazione dell’isola, e non poteva avere alcuna responsabilità relativamente ai fatti avvenuti nei mesi precedenti. A metà maggio del 1968 c’erano state le elezioni politiche e di certo l’attenzione era interamente dedicata alla campagna elettorale e poi a quella che risultò essere la complessa formazione di un governo monocolore DC, che sarebbe rimasto in carica poco tempo. Il primo maggio del 1968 venne dichiarata l’indipendenza dell’isola e in Italia era pienamente in carica il Governo Moro III, con ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani. Solo il 24 giugno venne resa nota la dichiarazione di indipendenza attraverso una conferenza stampa. Nei 54 giorni precedenti l’indipendenza dell’Isola delle Rose era nota solo agli occupanti del manufatto. Il 25 giugno entrò in carica il Governo Leone. Il 26 giugno mattina le forze di polizia, e non l’esercito, senza sparare un colpo – senza cioè le cannonate della nave da guerra Andrea Doria, tra l’altro demolita nel 1958 – bloccarono le acque attorno alla piattaforma. Nel film Rosa riesce ad attraversare le frontiere europee, all’epoca presidiate, con un prototipo di automobile dotato di una targa rubata, senza patente, senza libretto di circolazione e senza assicurazione. C’è da dire che se fosse stato possibile arrivare da Rimini a Strasburgo in quelle condizioni, forse non ci sarebbe stato bisogno di creare uno stato indipendente: evidentemente in Italia e Francia si poteva già fare quello che si voleva! Comunque nella pellicola Rosa arriva in una molto innevata Strasburgo il 10 novembre, per poi riuscire a tornare pochi giorni dopo sull’isola poco prima dell’arrivo dell’Andrea Doria. Nella realtà l’isola fu fatta brillare nel febbraio del 1969. Mentre nel film l’isola esplode si insedia il Governo Rumor al posto di quello Leone, fatto che in realtà avvenne a metà dicembre. Sul fatto che Restivo fosse ministro in entrambi i governi storia vera e film coincidono. Possiamo definire la variazione del contesto politico come una licenza artistica o semplificazione? Sì, magari se questa fosse stata l’unica, ma come abbiamo visto non è così. Nel film si mostra anche un colloquio avvenuto in Vaticano tra il Presidente del Consiglio Giovanni Leone e un cardinale molto vicino al Papa. I toni e i contenuti potrebbero anche corrispondere perfettamente al tipo di attenzioni che all’epoca potevano esserci tra politica e chiesa. Il cardinale viene più volte chiamato Emanuele e nei titoli di coda il personaggio interpretato da Giulio Farnese è il cardinale Emanuele Nunziante, del quale non si trovano notizie di alcune genere.
Cynar e altre cose belle
C’è qualcosa di bello in questo film? Le musiche indiscutibilmente, la già citata brillante performance di Elio Germano e l’interessante modalità della ricostruzione tecnica dell’isola in una piscina a Malta. Gli amanti del Cynar troveranno nel film modo di sentire apprezzati i propri gusti, vista l’onnipresenza dello storico liquore a base di carciofo, presentato nella storica bottiglia in circolazione negli anni ’60. A pensare male sembrerebbe una pubblicità occulta, o forse ci siamo semplicemente persi il momento in cui compare qualche scritta che ricorda la possibile presenza di marchi pubblicitari all’interno del film. Infine, e questa è la cosa più importante, è che se uno spettatore non conosce affatto la vicenda storica a fine visione può essere galvanizzato dal film e affascinato dal coraggio avuto da sei ragazzi nel novembre del 1968. Si torna all’aspetto non apprezzabile di questa fatica, l’alterazione della realtà per raccontare una storia più vendibile sia in Italia che all’estero, o per regalare ai posteri un ricordo diverso di un episodio storico.
Sealand e la questione delle acque territoriali
Alla fine del film, poco prima dei titoli di coda, viene scritto che anche a causa di questo episodio storico l’Onu portò i limiti delle acque territoriali da sei a dodici miglia marine. In realtà la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare, conosciuta come Convenzione di Montego Bay dal nome della città della Giamaica dove è stata firmata da 164 nazioni, porta la data del 1982 e segue quasi dieci anni di trattative. Il problema non era l’Isola delle Rose, ma uniformare le vedute degli Stati del mondo che liberamente stabilivano l’ampiezza delle proprie acque territoriali. Per l’Italia erano sei miglia marine, ma per altri stati solo tre o addirittura duecento. Ci si potrebbe chiedere cosa sarebbe successo su l’Isola delle Rose non fosse stata occupata e distrutta. La risposta è in Gran Bretagna, dove una situazione simile è il Principato di Sealand (vedi l’articolo su TeverePost). L’unica differenza è che Paddy Bates occupò una costruzione militare già esistente, mentre Giorgio Rosa la costruì, intendendo poi proseguire la sua opera, dato che ipotizzava cinque piani e la possibilità di affiancare all’isola altri moduli da 400 metri quadrati per aumentare la superficie. Bates non ha mai pensato di ampliare la superficie della struttura, ma gli inglesi hanno tollerato una serie di attività da lui attivate, come la vendita dei passaporti o dei titoli nobiliari. Quando i passaporti di Sealand sono cominciati a saltare fuori in vicende di criminalità, tra tutte l’omicidio di Gianni Versace, anche il Principato è stato comunque invitato a darsi una moderata.
Un’interessante e pregevole ricostruzione storica dell’accaduto, che naturalmente non è molto in sintonia con il film di Sibilia, è il documentario Isola delle Rose – La verità fa paura per la regia di Stefano Bisulli e Roberto Naccari, che con testimonianze dei reali protagonisti delle vicenda racconta molto meglio del film quello che realmente successe.