Un grande traguardo quello raggiunto dal discobolo tifernate Giovanni Faloci che venerdì 30 luglio ha gareggiato per la nazionale italiana ai giochi olimpici di Tokyo 2020. Con un lancio di 57.33, al di sotto della misura con cui si era qualificato, l’atleta in forza alle Fiamme Gialle ha visto sfumare la possibilità di entrare nel gruppo dei finalisti. Un pizzico di delusione, ma comunque una grande soddisfazione per aver gareggiato contro gli atleti più forti del mondo. Tornato in Italia, Faloci ha ripreso da subito gli allenamenti alla pista di atletica di Città di Castello sotto lo sguardo attento del suo allenatore Lorenzo Campanelli e di Ugo Tanzi, presidente dell’Atletica Libertas, la società che lo ha visto crescere.
Giovanni, raccontaci l’esperienza vissuta a Tokyo 2020
È stata un’esperienza bellissima. Siamo partiti con un pre-camp con la nazionale italiana, eravamo solo noi dell’atletica, sembrava quasi un raduno, niente di speciale. Man mano che si avvicinavano le gare ci siamo spostati nel villaggio olimpico e una volta che arrivi li inizi a capire realmente dove sei, non è un mondiale né un europeo, ma è la gara che sognavi da tutta la vita. Quando vedi i cinque cerchi capisci dove sei arrivato e inizia a salire l’adrenalina.
Come si sono svolte quelle giornate?
Avevano due applicazioni sul telefono per monitorare sia la nostra temperatura che gli spostamenti, se eravamo vicini ad un positivo ci veniva segnalato. Per fortuna non ho avuto nessuna segnalazione, è andata bene sotto questo punto di vista. Tutte le mattine prima di fare colazione dovevamo sottoporci al tampone; seguivamo, poi, una routine quotidiana, quando prepari una gara così non bisogna cambiare nulla, ma continuare a portare avanti quello che si è fatto fino a quel momento. Al villaggio olimpico condividevamo l’appartamento con altri atleti della nazionale italiana, io ero con i ragazzi del tiro a segno.
Qual è stata la prima sensazione che hai provato entrando in pista?
Ho voluto puntare sull’effetto sorpresa perché di solito vado a vedere il campo il giorno prima della gara, questa volta non l’ho fatto. I ragazzi delle altre nazioni mi avevano detto che la pedana era buona per gareggiare. Sono arrivato in pista abbastanza tranquillo perché il punto di domanda più grande per noi è quello, che scarpe indossare per quel tipo di pedana. Sono entrato in uno stadio per me nuovo, peccato l’assenza del pubblico, ci sarebbe stata un’emozione in più, anche se comunque è stato bellissimo entrare in un campo con la scritta Tokyo 2020 e vedere i cinque cerchi olimpici.
Raccontaci qualcosa sulla gara
Si leggeva tanta emozione negli occhi di tutti, ho gareggiato insieme a due americani molto più quotati di me, ma anche in loro c’era tensione. Tutti eravamo là per cercare di dare il massimo, soprattutto chi come me era alla prima olimpiade. La cosa più bella è quando il giudice da il via alla gara, alzando la bandierina bianca, lì capisci che è ora di iniziare. Il riscaldamento te lo godi di più, parli con l’allenatore e cerchi di stemperare la tensione. La competizione fra noi atleti è solo dentro la gabbia, fuori siamo tutti amici, si scherza e si fanno battute. Ci scontriamo solo in pedana, quando usciamo torna il sorriso.
Sei soddisfatto della tua prestazione? Cosa avresti voluto migliorare?
Non sono contento perché un lancio di 57 l’ho fatto nel 2005, di anni ne sono passati. Sapevo di non poter fare la misura con cui mi sono presentato, ma sicuramente nemmeno quella che credo non mi rappresenta più. Anche quest’anno in ogni gara non ho lanciato mai sotto i 60 metri. Speravo di raggiungere almeno 61/62, erano quelle le distanze. Cercheremo di analizzare gli errori fatti per migliorare in vista anche dei prossimi impegni, come europei e mondiali del prossimo anno e, pensando in grande, le olimpiadi di Parigi 2024. Ho percepito subito che non ero al 100% delle energie, non so se a causa della troppa adrenalina o forse il fuso orario, sono arrivato solo 5 giorni prima della gara. C’è stato anche qualche mio errore sicuramente, vanno valutati tutti gli aspetti.
L’assenza del pubblico può avere influito negativamente ?
Sicuramente avere il pubblico che applaude ti può togliere, ma ti può anche dare tanto. Capisci più dove sei, a volte ti tranquillizza. Trovare lo stadio vuoto fa molto strano, questa volta però era così, ci siamo adattati un po’ meno bene degli altri, bisogna farci trovare al meglio nei prossimi appuntamenti.
Che consiglio daresti a chi deve affrontare gare così importanti?
Stare tranquilli e divertirsi, cercare di fare le cose che facciamo di solito, senza mettersi in testa chissà cosa.
Prossimi obiettivi?
Intanto bisogna capire come programmare il 2022, ci sono i mondiali a luglio e gli europei a fine agosto. Se puntiamo ad agosto, partire ora con la preparazione a trentasei anni è molto dura e sicuramente impensabile, ci si deve organizzare bene. Bisogna mettersi a tavolino e cercare di capire cosa posso fare nei modi e nei tempi migliori, devo centellinare le energie per spenderle tutte nella qualifica. All’allenatore della nazionale ho già chiesto cosa dovrò fare, ho già il minimo sia per gli europei che per i mondiali. Aspettiamo ottobre/novembre, ci sarà il cambio del consiglio in Federazione, poi parleremo con chi entrerà. Ormai, alla mia età, l’aspetto fisico è fondamentale, ogni scelta deve essere mirata.