Fausto Braganti è il biturgense doc che vive più lontano da Sansepolcro. Merita questo riconoscimento poiché è grazie ai sui racconti, accessibili a tutti grazie al libro M’arcordo… e all’omonimo blog, che molti giovani valtiberini hanno potuto conoscere aneddoti sulla propria città. Se i diari di Fausto per i giovani sono una scoperta di mondi e modi lontani da quelli di oggi, per i suoi coetanei è come viaggiare nel tempo e rivivere in prima persona luoghi e personaggi della propria memoria.
L’odierno protagonista di “Valtiberini nel mondo” è nato nella terra di Piero della Francesca nel 1941 e ha studiato al Liceo dedicato al sommo pittore, per poi proseguire gli studi all’Università di Firenze. Armato della sua laurea in scienze politiche, decise di affrontare il mondo alla fine dei turbolenti anni sessanta cominciando un’avventura che da Londra, dove ha perfezionato il suo inglese, lo ha portato negli Stati Uniti assieme a Nancy, la moglie americana conosciuta in Inghilterra. Nella capitale britannica Fausto insegnava la lingua italiana e arrivato nel Massachusetts decise di iscriversi di nuovo all’università per puntare a un percorso lavorativo sempre legato all’insegnamento. Non erano sicuramente gli anni migliori per andare negli Usa, dove la situazione socio-politica era destabilizzata dalla guerra in Vietnam. Per caso Fausto cominciò a lavorare per Alitalia, dove cercavano personale che parlasse italiano e inglese. Furono circa ventisette gli anni dedicati alla compagnia di bandiera italiana tra Boston, Washington e New York, per finire il percorso lavorativo in una buona posizione in quello (New York) che era diventato il secondo più grande ufficio di Alitalia nel mondo. Mai domo Fausto ha continuato a occuparsi di turismo tra America ed Europa fino al 2007. Dopo la scomparsa di Nancy, Fausto ha conosciuto Pascale, di origine francese, che è diventata la sua seconda moglie. Adesso dividono la loro vita tra Marblehead, dove vive la figlia Tanya, e Tuchan, nel sud della Francia, tra Narbonne e Perpignano, senza farsi mancare numerose visite in Valtiberina toscana.
Perché ti trovi nel sud della Francia?
Anche quest’anno mia moglie ed io avevamo in programma di venire in Europa nei primi giorni di marzo. Il nostro viaggio prevedeva di volare su Londra dove passare alcuni giorni. A seguire saremmo stati a Parigi e infine a Narbonne per fare visita a mia suocera gravemente malata. Al momento della partenza dagli Stati Uniti non avevamo particolari preoccupazioni. Là del virus si parlava molto poco e pur avendo notizia dei primi casi in Italia giudicavamo il problema piuttosto remoto. Nei giorni trascorsi a Londra non abbiamo notato nulla di anomalo. Solamente qualche asiatico indossava le mascherine, abitudine che loro hanno anche in altri momenti e non solo in epoca coronavirus. Quando andammo a prendere il treno che collega Londra a Parigi, attraverso il tunnel sotto La Manica, la stazione pullulava di gente e tutto era assolutamente come sempre. Nessuna differenza neppure all’arrivo a Parigi, ma l’incanto terminò pochi giorni dopo, quando stavamo per lasciare la capitale francese diretti a Narbonne. Era il dodici marzo e stavolta la stazione, Gare de Lyon, era deserta. Questa è stata la prima sensazione che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Solo tre giorni dopo il nostro arrivo a Tuchan, il Presidente Macron ha chiuso il Paese mentre noi ci muovevamo tra la nostra casa e la struttura che ospitava mia suocera 97enne malata Parkinson a Narbonne, dove erano già in vigore regole severe per poter incontrare i degenti; infatti potevamo vedere mia suocera nella sedia a rotelle solo attraverso un porta a vetri. Si chiudeva il Paese nonostante le voci che raccontavano di casi nella nostra zona fossero poche.
Siamo rimasti bloccati a Tuchan, paese con meno di mille anime che guarda i Pirenei, dove non ci sono fabbriche ma solo vigne. Un paese di immigrazione, visto che molte famiglie sono arrivate prima della Grande guerra e sono originarie della Lombardia. Poi alla fine degli anni trenta del secolo scorso sono arrivati numerosi Repubblicani in fuga dalla Guerra civile spagnola. Spesso Pascale, originaria di Parigi, sottolinea: “Qui tu sei più a casa di me!” Infatti il territorio mi ricorda molto la Maremma e non mancano i cinghiali che fanno danni alle vigne.
Avevo in programma di raggiungere Sansepolcro per Pasqua, ma l’impossibilità a muoversi non mi ha permesso di farlo.
Che tipo di limitazioni ci sono? La gente le rispetta?
Viviamo in un paese molto piccolo e le regole che vengono rispettate sono quelle legate alle distanze di sicurezza. Pochi usano le maschere. C’è un solo negozio di alimentari dove si entra cinque persone alla volta. Quando si aspetta il proprio turno si resta nella strada ad uno o due metri da chi ci precede. Nei primi giorni di blocco solamente una volta incontrai una guardia che si occupava di regolare l’ingresso all’ufficio postale, che è aperto solo tre ore al giorno; l’ufficio postale è molto importante perché tanti lo usano per ritirare la pensione. Da qualche giorno hanno riaperto il mercato della frutta, ma regolando il flusso degli acquirenti alle bancarelle. Non si possono toccare le merci che vengono messe nei sacchetti dal venditore.
A Narbonne, dove eravamo autorizzati a recarci per le problematiche di mia suocera, ho visto molte persone, in prevalenza stranieri, comportarsi come se non ci fosse nessuna limitazione. La diffusione del virus in Francia è prevalentemente concentrata a Parigi e nelle zone produttive ai confini con la Germania. Nel nostro dipartimento la situazione è migliore rispetto ad altre zone.
Come giudichi la situazione negli Stati Uniti e cosa pensi del comportamento delle autorità federali?
Ho rischiato di rimanere bloccato negli Stati Uniti, sarebbe bastato avere il volo qualche giorno più tardi del previsto. La situazione è tragica, è come essere tornati ai tempi della guerra civile. Ogni stato federato ha gestito la situazione come voleva. Ci sono stati contrasti tra politica e scienza fino a quando la politica ha scelto le risposte degli scienziati che dicevano le cose che la politica voleva sentirsi dire. Si ritorna a Giulio Cesare che affermava che gli uomini credono in quello a cui vogliono credere. Questo è il problema ovunque e l’Italia non è un’eccezione.
In questo periodo ho riletto I promessi sposi, i capitoli dedicati alla peste a Milano. Tutto ancora molto attuale, in particolare modo la lotta tra la classe dirigente e i medici. Sul mio blog c’è un pezzo dedicato alla peste del 1630 in Valtiberina dove è possibile notare molte cose simili ad oggi. Le notizie sono tratte da delle testimonianze scritte lasciate dalla famiglia Taglieschi di Anghiari, che raccontano come a Sansepolcro non risultavano morti per peste grazie al fatto che i medici catalogavano i defunti come altri tipi di decesso. A Monterchi, dove la peste colpì con particolare irruenza, chiusero le porte della città, si rifornirono di vino e si dedicarono al divertimento lussurioso fino a quando non intervennero le forze dell’ordine mandate dal Granduca.
Non ho una risposta sul perché le forze politiche ed economiche vogliano la rapida riapertura totale di tutto, ma almeno negli Stati Uniti al momento ci sarebbero almeno venticinque milioni di persone senza lavoro e non c’è alcuno stato sociale che possa permettersi di sostenerli.
Come hai seguito l’evolversi della situazione italiana?
Noi seguiamo tutti i giorni i notiziari televisivi francesi, ma anche americani ed italiani. Quindi sono sempre stato aggiornato sulla situazione in Italia, che spesso è stata usata come spauracchio dai media francesi con l’obiettivo di convincere la gente a rispettare le regole imposte.
Quando sono arrivato a Tuchan molti amici locali mi hanno subito chiesto della situazione in Italia, ma soprattutto come stavano i miei parenti e amici manifestando apertamente senso di vicinanza.
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Cari Borghesi, oggi piove e dicono che fa bene alle vigne che si stanno inverdendo; son contento di poter condividere con voi questa mia esperienza, per quanto valga. Vi seguo da lontano attentamente e… “Citti, citte, m’arcomando state ’n chesa, Spero d’artornere al Borgo presto, e ’n ve scordete de parlere ’n borghese!”