L’avvocato Roberto Bianchi nominato Cavaliere al merito della Repubblica Italiana

Lo scorso 30 aprile il noto professionista tifernate ha ricevuto l’importante onorificenza dal presidente Sergio Mattarella

L'avvocato Roberto Bianchi

Trentotto anni di brillante carriera e dedizione al lavoro hanno portato alla nomina dell’avvocato Roberto Bianchi a Cavaliere al merito della Repubblica Italiana il 30 aprile scorso. Grande soddisfazione per il professionista tifernate che ha accolto con sorpresa ed emozione la notizia dell’importante onorificenza ottenuta. Abbiamo avuto il piacere di intervistare l’avvocato Bianchi che ci ha parlato dei suoi successi, sia professionali che privati. 

Come ha appreso la notizia della nomina a Cavaliere al merito della Repubblica Italiana?

A dicembre 2020 c’è stato il provvedimento, ma ho ricevuto la comunicazione il 30 aprile. Mi sono commosso quando, con stupore, ho trovato la lettera con la nomina a Cavaliere. Nel gennaio 2019, su proposta avanzata dalla prefettura, avevo inoltrato il mio curriculum, ma mi avevano anticipato che sarebbe stato molto difficile ricevere l’onorificenza, in quanto generalmente questi riconoscimenti così importanti vengono assegnati ad ufficiali dell’esercito o imprenditori, difficilmente a professionisti. Anche per questo, è stato molto bello ricevere la notizia. 

Quali sono stati i momenti più significativi della sua carriera? 

Mi sono laureato giovanissimo, a 23 anni, e a 26 ero già iscritto all’ordine degli avvocati. A 30 anni, per sei anni, ho ricoperto il ruolo di vice pretore a Città di Castello e sono stato aggregato alle sezioni stralcio presso il tribunale di Perugia. All’età di 39 anni mi sono iscritto all’albo speciale degli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione. Nel 2011 sono entrato nel consiglio direttivo della fondazione umbra Anti Usura, esperienza incredibile sia dal punto di vista lavorativo che umano. 

Quando ha capito che avrebbe voluto intraprendere questa professione? 

Ho amato da sempre questa professione, anche se non vengo da una famiglia di legali. Era il mio sogno fin da bambino e, già alle elementari, mi vestivo da avvocato. Il mio sogno era raggiungere traguardi importanti, ma devo dire che la realtà ha superato la fantasia. La mia professione è difficile, ma tutt’ora mi affascina anche nelle difficoltà, perché in generale sono un grande entusiasta. Sono partito con un piccolo studio ed arrivare a ciò che ho oggi è una grande soddisfazione. Negli anni, oltre allo studio di Città di Castello dove è attivo un team di 14 professionisti, ho aperto altri due studi legali, uno a Perugia e uno a Roma. 

Com’è cambiato il suo lavoro in questi 38 anni di attività?

È cambiato totalmente: i tempi della giustizia, l’approccio con i magistrati e, soprattutto, la lealtà fra colleghi. Oggi la correttezza non è più all’ordine del giorno. Una volta, svolgendo la pratica, veniva addirittura insegnato come rivolgersi ad un magistrato, c’era una particolare educazione anche nella forma che oggi, purtroppo, manca. La nostra è una professione complicata dove il rapporto con i clienti, i magistrati e i colleghi richiede molto impegno, anche a livello psicologico. Si sente molto forte la competizione. La cosa importante per un bravo avvocato è non lasciarsi coinvolgere emotivamente per evitare di commettere errori. Questo distacco si impara con il tempo, solo così si riesce a dare il meglio.

Entrambi i suoi figli hanno seguito le sue orme: com’è rapportarsi con loro nell’ambiente lavorativo?

Ho sempre detto ai miei figli di scegliere la strada che più amavano: cambiare lavoro è molto difficile, io stesso non riuscirei a svolgere una professione diversa da questa. Devo dire che i miei figli, come me, lo fanno con grande motivazione ed entusiasmo e anche loro si sono laureati molto giovani. È bello lavorare insieme e condividere la stessa passione, è un modo ulteriore per vivere la quotidianità. Lo studio è molto grande e loro si gestiscono in autonomia. La mia esperienza può aiutarli, ma li consiglio solo quando sono loro a chiedermelo. 

Da cittadino tifernate e professionista, in vista delle prossime elezioni, secondo lei cosa servirà per far ripartire il nostro territorio? 

Ci deve essere un cambio di marcia generale, sia a livello locale che nazionale, per stare al passo con i tempi. Nella nostra zona ci sono tante imprese dinamiche che devono essere sostenute da tutti i punti di vista, dato anche il periodo difficile causato dalla pandemia. Spesso la politica viene lasciata in balia degli eventi, ma secondo me è importante rimboccarsi tutti le maniche e fare qualcosa di concreto. Speriamo che ci siano personalità di spessore che sappiano sostenere le imprese e credere nelle realtà del nostro territorio. Oltre alla capacità, serve anche lo spirito giusto.

Ha mai pensato di entrare in politica?

Il mondo della politica mi ha sempre affascinato, ma devo fare i conti con il tempo e gli impegni. Sicuramente, mi piacerebbe restituire alla mia città quello che mi ha dato in 38 anni, sia dal punto di vista lavorativo che privato e vorrei mettere a disposizione della comunità le mia conoscenze e le mie capacità. 

Soddisfazioni non solo in ambito lavorativo, ma anche da presidente del Tiferno 1919

Per me è iniziato tutto come un gioco. Siamo partiti dalla prima categoria: abbiamo ottenuto tre promozioni, una coppa Italia e quest’anno siamo sesti in serie D. Abbiamo un ampio settore giovanile, una Tiferno Academy con ragazzini che provengono da varie zone dell’Alta Valle del Tevere. È una bellissima realtà locale. Il bello del calcio è che ti permette di rapportarti con tantissime persone diverse e, di ognuna, scopri dei valori che non avresti mai pensato. È bello confrontarsi con tutti, dai bambini di 6 anni allo staff tecnico. Sono un grande tifoso e quando i calciatori segnano corro ad esultare. Non devo costruirmi un personaggio, penso che ogni momento e luogo abbia il suo abito giusto e ho scoperto che, essendo me stesso, ho più successo sia nel lavoro che nella vita.

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