Già arrivando a casa di Loretto Ricci, un casolare immerso nel cuore della campagna anghiarese, ci si imbatte immediatamente in una delle sue recenti opere: una scultura in ferro raffigurante Don Chisciotte a cavallo: “Non ho mai fatto sculture in ferro, ma ho studiato da congegnatore meccanico e mi sono ricordato che, proprio mentre studiavo, con un mio amico una l’avevamo fatta”, racconta Ricci. “Tutte queste cose le mettevo da parte per utilizzarle come supporti per le altre sculture e a un certo punto ho deciso di usarle per rappresentare un personaggio da cui sono rimasto affascinato”.
Poi, entrando in casa, ci si accorge di come questa sia una sorta di museo contenente le opere dell’artista e, con quest’ultimo che le spiega nel dettaglio, il tutto si trasforma presto in una vera e propria visita guidata: “Le prime cose sono state le grafiche, che ho iniziato a fare per fissare dentro di me le immagini della ex Jugoslavia, dove sono stato prima che scoppiasse la guerra civile. Poi smisi e passai al legno, perché mi nacque un figlio e, visto che anche lui voleva partecipare, con il legno non avrebbe potuto rompere niente anche buttandolo a terra”.
Un elemento che salta subito all’occhio parlando con Ricci è la sua costante voglia di sperimentare, caratteristica che lo ha quindi portato presto a trovare sfogo artistico in altri soggetti e materiali: “All’inizio degli anni duemila cominciò il fenomeno delle migrazioni africane e ne venni colpito. Capii che il legno o la pietra non erano adatti e allora ho utilizzato la plastica. Li ho chiamati i Senza Terra”. Utilizzando le più svariate materie prime, come ad esempio la plastica delle cassette di fiori e pomodori mischiata con la terra, Loretto realizza un’innumerevole quantità di sculture a tema immigrazione, focalizzandosi però più sul concetto di speranza che su quello di morte.
“Smisi perché capii che lavorare quei materiali non era sicuro per la salute. Allora ho iniziato a disegnare col fuoco. Sei costretto a improvvisare, ma ottieni maggiore vivacità. Una pratica a metà fra la pittura e la scultura”. In casa, Loretto conserva tra i duecento e i trecento dipinti da lui realizzati prima di avvicinarsi alla pietra. “Se volevo davvero fare lo sculture, io sindacalista, agli operai dovevo presentare una pietra lavorata. Le altre tecniche per loro sono solo giochetti”, scherza Ricci. “Ho preso le pietre, le ho scolpite e le ho inserite in una cornice di plastica, anche quella di recupero. All’apparenza potrebbe sembrare come un cazzotto in un occhio, ma nell’incontro delle materie c’è la bellezza, un po’ come nell’incontro fra le etnie”.
Con la malattia della madre, Ricci ha sfruttato il periodo in cui è stato costretto ad accudirla per avvicinarsi anche alla pittura a olio, utilizzando comunque materiali di recupero come supporto: “Gli specchi invece sono un mero divertimento”, spiega Loretto indicando gli svariati pezzi di vetro da lui recuperati e che adornano le pareti del casolare.
Ciò che spinge Loretto a cambiare costantemente tecniche e soggetti è soprattutto la voglia di ridare vita e dignità a oggetti ormai dimenticati: “Per me la materia è fondamentale. È l’essenza della cultura. Per alcuni sono l’artista del riciclaggio, che è una pratica fondamentale, ma io non mi definisco così. Io utilizzo la materia che ha già vissuto perché ha più potenza, un’identità da cui partire e su cui lavorare”.
“Dato che volevo comunque proseguire i Senza Terra”, racconta Ricci mentre ci spostiamo nel suo laboratorio, “quando sono andato in pensione ho ripreso il filone usando il cemento e la resina”. In particolare, l’artista ha messo a punto una particolare tecnica che consiste nell’immergere i tessuti nel cemento, al fine di rendere più realistica l’applicazione sulle sculture o ricoprendoci direttamente queste ultime.