I racconti dell’Alpe della Luna è un libro che raccoglie dieci storie ambientate in quella parte di Appennino che insiste sul nostro territorio. L’autore è Dario Casini, sindaco di Sansepolcro dal 1995 al 2004, che abbiamo incontrato nel suo laboratorio in pieno centro storico, in via Dante Chiasserini al numero 24. Un luogo di studio e sperimentazione dove Casini riscopre e mette a frutto la propria formazione artistica e in particolar modo la passione per l’arte più strettamente legata alle tradizioni culturali di Sansepolcro e della Valtiberina. E quelle stesse tradizioni assumono un ruolo importante anche nel libro, che è stato tra l’altro oggetto nei giorni scorsi di una partecipata presentazione a Germagnano.
Cosa trova chi apre questo volume?
Trova quello che sono riuscito a captare, a mettere insieme negli anni passando per questo territorio, e diventano “i racconti dell’Alpe della Luna” perché questa porzione di Appennino fa un po’ da filo conduttore. Non ci sono invece i racconti storicamente riportati all’Alpe della Luna, come la vicenda di Rinaldo degli Schianteschi e della bella con la quale vola via a cavallo. Non me ne sono appropriato per rispetto e perché questi sono i miei racconti e non una ricerca sui racconti dell’Alpe della Luna.
Vi si intrecciano i diversi piani di “mito, storia e fantasia”, come recita il sottotitolo.
Il concetto era proprio legare alcune storie della mitologia, di cui sono appassionato, al nostro territorio, trasferirle qui. Sono partito da dei punti fermi: l’Alpe della Luna è un luogo naturalmente selvatico, conservato nel tempo e dedicato alla Luna, quindi non poteva che riportarmi ad Artemide, la dea della natura e della caccia, che era la custode dei riti verso Selene, la Luna. Pertanto con facilità sono riuscito a immaginare la presenza di questa dea in più occasioni, e d’altra parte per cogliere questo legame basta seguire i nomi dei nostri luoghi, da quello dedicato alla Civetta, alla Casa del Vento, la valle di Canale o la Spinella. In più c’è la presenza di alcuni piccoli manufatti, come la statuetta di Pischiano, di cui purtroppo abbiamo denunciato qualche settimana fa la scomparsa. Speriamo di poterla sostituire presto con un’opera di un’artista di Sansepolcro che sta lavorando perché quella sorgente non rimanga incustodita dopo che per secoli la statuetta è stata lì a simboleggiare una ricchezza grande, quella dell’acqua. È un modo per descrivere le tradizioni, anche andando dietro a qualche racconto degli anziani, ed è un modo per non dimenticare i nomi, per incuriosire le nuove generazioni e anche per aprire gli occhi a chi già conosce l’Alpe della Luna: in tanti mi hanno detto “sono passato davanti a quella fontana decine di volte ma non mi ero accorto di quella statuetta”, oppure “sono passato da quel viottolo ma non avevo visto quei ruderi”. Quando si va a piedi, con il passo lento del camminatore, si possono riscoprire tante cose.
Le storie sono ambientate nella realtà senza tempo della mitologia.
La mitologia possiamo posizionarla dove può osare la nostra fantasia, e come dice giustamente Gabriele Marconcini nell’introduzione si tratta di fatti che forse non sono mai avvenuti ma sono talmente verosimili che continuano ad avvenire in continuazione, anche oggi. È comunque chiaro che questi luoghi, queste strade, questi sentieri, non possono fare a meno di ricordarci i due personaggi maggiori che li hanno attraversati. Pensiamo a Piero della Francesca, alle strade che percorreva per andare a Rimini, a Urbino, al Nord. Allora non esisteva la strada di Bocca Trabaria che è un’opera ottocentesca, esisteva la strada di Urbino che passava per il Passo delle Vacche, da Montecasale, Sportino, Pischiano. E l’altro personaggio straordinariamente importante per questa zona è Francesco d’Assisi, che negli ultimi anni della sua vita ne ha fatto forse il rifugio più sicuro. Per capire quanto fosse importante per lui rifugiarsi qui con i suoi pochi fratelli rimasti fedeli bisognerebbe conoscere con dovizia la sua storia e la storia del francescanesimo dei primi tempi. E in effetti l’ultimo racconto che presento è fatto di documenti, sono dovuto intervenire con poca fantasia.
Dopo questa pubblicazione sono in programma altri lavori?
Sì, doveva far parte di questo volumetto un altro tipo di racconto che parte da una mia lettura di un’opera di Piero, la Maddalena del Duomo di Arezzo, che ho più volte fatto per turisti, viaggiatori e amici durante un periodo di volontariato che ho svolto alla Casa di Piero. Partendo da lì ho riscoperto una storia antica di Arezzo legata a una figura femminile, Ippolita, e ne è nato un nuovo volume in pratica già stampato, Ippolita e la Maddalena di Arezzo: è un’operazione al femminile, nel senso che storicamente la figura della donna è sempre stata traviata, violentata, nascosta, mascherata, ha subìto ingerenze da chi ha scritto la storia, normalmente un uomo, spesso un uomo di chiesa, che rappresentava sempre gli interessi del potere o dei vincitori. Poche sono le donne che ne emergono, e anche quelle storicamente importanti prima o poi in quanto femmine hanno pagato dazio alla storiografia maschilista. Basti a pensare a Lucrezia Borgia, che diventa la signora di Ferrara e negli ultimi vent’anni della sua vita è fra i più grandi mecenati del nostro Rinascimento, ma di lei si ricordano solo gli anni in cui il padre e il fratello ne approfittano per farne uno strumento di potere. Ecco, questo volumetto rimette al centro la figura femminile con il rispetto e l’amore che dobbiamo avere per l’altro sesso. Penso che sia una storia abbastanza intrigante e allo stesso tempo interessante dal punto di vista dei rapporti tra uomini e donne. Si ambienta nel post Campaldino, quindi in un momento particolare della politica cittadina, e spero di fare un regalo al nostro capoluogo facendo riscoprire un’eroina che non è solo un’invenzione del romanticismo ma è un’eroina al femminile simbolo della libertà. E Arezzo è una città che la propria libertà l’ha sempre difesa con grande forza.
Non solo letteratura, visto che ci troviamo in un vero e proprio laboratorio artistico.
No, non siamo in un laboratorio artistico, siamo in un rifugio che quando sono in loco ha sempre la porta aperta e dove chi viene può scoprire un modo di passare il tempo. Alcune ragazze per esempio vengono qui con una certa continuità a capire quello che cerco di fare, ma del resto sono uno sperimentatore e io stesso sto provando, sto studiando. Dalle tavolette di legno dipinte con la foglia d’oro e con altri colori naturali siamo passati a un tentativo di decoro della ceramica. Speriamo di ottenere buoni risultati e quando sarà il momento può darsi che ci presenteremo alla città, cercando di far capire che una porta in più aperta dove si ricerca qualcosa di bello, di utile, di interessante, con il rispetto della nostra storia artistica e culturale, è un valore aggiunto. A me piace quando le famiglie vengono qui e i bambini prendono in mano la foglia d’oro e riesci ad affascinarli, oppure quando quei pochi turisti si affacciano con curiosità e poi se ne stanno una mezz’oretta a guardare quello che faccio. E anche quando gli amici mi vengono a trovare, mentre si discute di sport o di politica, il lapis va da solo. È un passatempo, che però a me piacerebbe trasmettere agli altri, a cominciare dai nipoti che spesso porto con me e sono i primi ad aiutarmi.