L’epidemia in Germania raccontata da una biturgense. Giulia Chieli, 34 anni, è una ragazza di Sansepolcro che vive a Berlino dal giugno 2017. Qui lavora come architetto presso uno studio di progettazione.
A lei abbiamo chiesto come è stato vissuto il lockdown in terra teutonica e in particolare come i berlinesi stanno programmando il ritorno alla normalità. Una testimonianza preziosa da una delle principali capitali europee, dove l’approccio e le misure di contenimento dell’emergenza Covid-19 sono state molto differenti rispetto all’Italia.
Come si sono mosse le autorità locali durante la fase del lockdown?
Berlino inizialmente non è stato tra i Bundesland più colpiti della Germania a differenza di regioni quali Renania Settentrionale, Baden Württemberg e Baviera nel Sud e Sud-Ovest della Germania, per cui all’inizio si è stati molto a guardare come si evolveva la situazione in queste regioni e in Italia. In città le prime misure di sicurezza sono state prese autonomamente prima che venissero imposte da provvedimenti legislativi, ad esempio molti cinema, discoteche, teatri ed altri luoghi di aggregazione hanno cancellato gli eventi in programma prima ancora che fosse indetto il lockdown. Le prime restrizioni sono state imposte il 16 marzo con la chiusura di scuole, teatri, cinema, caffè, ristoranti ed altro. A differenza che in Italia l’obbligo di utilizzare la mascherina è stato introdotto da solo un paio di settimane e solo all’interno di supermercati e negozi. Fuori non c’è mai stato l’obbligo di utilizzarla, così come non è mai stato indetto un vero e proprio “lockdown”: le persone hanno sempre avuto la possibilità di uscire oltre che per recarsi al lavoro e a fare la spesa anche per fare attività fisica singola ed i parchi non sono mai stati chiusi. Per un paio di settimane è stato imposto di uscire solo in coppia e a debita distanza o in gruppo solo se conviventi. In generale rispetto ai racconti che mi venivano fatti dall’Italia di una situazione di caccia all’untore, qua c’è stata sempre un’atmosfera più rilassata rispetto alla “libertà” personale per cui non ho mai avuto l’impressione di essere una fuorilegge andando a correre o a fare lunghe passeggiate. È anche vero che una metropoli probabilmente si presta meno a questo tipo di dinamiche: di base non si conoscono le persone che si incontrano per strada e perciò ha ancora meno senso stare a speculare sul perché qualcuno si trovi fuori anziché in casa e ci si limita a pensare che la persona che ti ritrovi a fianco per strada abbia una ragione valida quanto la tua per essere lì.
Com’è la situazione oggi a Berlino dal punto di vista sanitario?
Dal 27 aprile a Berlino sono cominciati gli allentamenti delle restrizioni e ci troviamo in quella che Italia viene chiamata fase 2 (questa distinzione in fasi in realtà non esiste in Germania), anche se un paragone tra i due Paesi è poco significativo visto che, come raccontato prima, il lockdown qua è stato sì pesante, ma molto meno limitante che in Italia. Per questa ragione i vari articoli usciti nel nostro Paese su come i contagi in Germania fossero aumentati con l’inizio degli allentamenti sono pressoché privi di significato. In realtà mi sento più sicura ora che con le riaperture sono entrati in vigore anche gli obblighi di utilizzo di mascherine e le precauzioni igienico-sanitarie da adottare si sono fatte più precise rispetto, ad esempio, al periodo di Pasqua. In quel periodo ci sono state le prime giornate di bel tempo e 20 gradi, in concomitanza con le festività e i parchi sono stati affollati e le persone si sono riversate all’aperto senza alcuna protezione, affidandosi solo al buonsenso comune col rispetto della distanza ed evitando assembramenti. Buonsenso che forse ha alla fine prevalso con però tutte le numerosissime eccezioni del caso che naturalmente esistono anche nella “rigorosa” Germania. Le prime realtà a riaprire sono stati i negozi sotto gli 800 mq, i musei e le scuole elementari e medie (a scaglioni: ultimamente le classi sono suddivise in sottogruppi con lo scopo, di far rientrare a rotazione tutti gli alunni nelle loro scuole entro la fine dell’anno scolastico che in Germania è attorno la fine di giugno e riprende poi ad inizio agosto). Questo fine settimana potranno riaprire anche bar e ristoranti – non mi è ancora chiaro però con quali modalità e precauzioni – e dal 25 maggio gli hotel. Ancora chiusi rimangono università e scuole di specializzazione, palestre, cinema, teatri e sale concerti.
Ancora una volta nel nostro Paese si è parlato molto di “efficienza tedesca” nella gestione dell’emergenza. Confermi?
Per mia esperienza personale e facendo una generalizzazione direi che in Germania non siano tanto bravi a gestire le emergenze quanto piuttosto a pianificare a priori ed evitare il più possibile di ritrovarsi in situazioni inaspettate. Nel caso del Covid quello che sicuramente ha fatto la differenza rispetto ad altre nazioni è stato l’avere un sistema sanitario solido e, se non sbaglio, il maggior numero di posti in rianimazione di tutta Europa. Nonostante l’alto numero di contagi infatti, il numero di morti rimane tra i più bassi tra i Paesi duramente colpiti dal Covid. Questo ha comunque permesso di affrontare la situazione con un approccio più vicino alla ricerca di un’ “immunità di gregge”, anche se più ponderato, o quanto meno meglio celato e più cauto, rispetto alle prime sparate di un Boris Johnson di inizio pandemia in Inghilterra.
Com’è cambiata la tua vita negli ultimi mesi?
Nel quotidiano non troppo. Non ho mai smesso di recarmi in studio ogni giorno come d’abitudine. Verso la metà di marzo è stato predisposto tutto l’occorrente per passare in modalità home-working qualora qualcuno lo avesse desiderato ma alla fine abbiamo deciso tutti di continuare a recarci in studio. Diciamo che nella fase più acuta, il continuare a lavorare come d’abitudine era l’unica cosa a dare ancora una parvenza di normalità a tutta la situazione. Personalmente ho solo cominciato ad andare al lavoro a piedi invece che con i mezzi pubblici “allungando” così la mia giornata lavorativa di un paio d’ore, quindi nella mia settimana è rimasto tutto normale ma con ancora minor tempo per le altre attività quotidiane come spesa, sport, cucinare, pulire ecc. tutte cose che sono quindi andate a concentrarsi nei miei weekend insieme ad altre attività rimandate da tempo immemore, nel mio caso ad esempio, mi sto mettendo in paro con i crediti formativi per l’Ordine degli Architetti. Nel generale, invece, la mia vita è cambiata molto: da quando mi sono trasferita a Berlino ho viaggiato molto sia per lavoro che per vacanza e soprattutto per tornare in Italia periodicamente per far visita a famiglia ed amici. Questo è il periodo più lungo in cui sono rimasta lontana dall’Italia, essendo tornata l’ultima volta a Natale. In Germania tra pochi giorni cominceranno gli allentamenti sui controlli alle frontiere, in modalità diversificate a seconda dei paesi, ma non so immaginare quando viaggiare diventerà di nuovo un’attività pseudo-normale senza quarantene e senza grosse complicazioni. Sicuramente la mancanza di libertà di spostarsi liberamente e senza confini è l’aspetto che più accuso di tutta questa situazione.
Tu sei architetto. Il Governo cos’ha fatto per sostenere i professionisti?
Nel caso di lavoratori dipendenti la modalità di sussistenza più utilizzata è stata quella del lavoro ridotto, per cui il datore deve comunicare all’ufficio del lavoro il numero di dipendenti costretti a lavorare in orario ridotto e in quale percentuale. Se ad esempio un dipendente viene registrato come lavorante al 50% dell’orario usuale, il datore di lavoro sarà tenuto a pagare il 50% dello stipendio mentre una percentuale della quota mancante verrà pagata dallo Stato. Tale percentuale varia in relazione al nucleo familiare, età, stipendio tipo di lavoro ecc. e oscilla tra il 50-80%. Questa misura esisteva già prima dell’emergenza Covid ma è stata potenziata ed adattata all’attuale situazione: le percentuali di contributi statali sono state innalzate a scaglioni fino ad arrivare a quell’80% di cui dicevo prima, inoltre a fine mese viene fatta una verifica di quanto il dipendente abbia effettivamente lavorato e le percentuali possono venire modificate. Se ad esempio si è lavorato più di quanto inizialmente dichiarato, la quota di stipendio pagata da datore di lavoro e Stato viene modificata in base alle nuove percentuali. Questo è piuttosto comodo considerando che in questa situazione è difficile fare previsioni: nel mio caso ad esempio, potenzialmente esiste una quantità di progetti in corso sufficienti a garantire il normale lavoro di tutto l’ufficio, ma in realtà ognuno di questi progetti potrebbe subire rallentamenti o addirittura venire interrotto in ogni momento in relazione dell’evolversi delle situazioni dei vari soggetti coinvolti, dai committenti, alle imprese esecutrici ai singoli uffici edilizi e urbanistici dei vari comuni. Per quanto riguarda i liberi professionisti (categoria in cui rientrano ristoratori, proprietari di cinema, negozi, impiegati nel mondo dello spettacolo e artisti di ogni tipo), invece sono stati predisposti dei contributi economici che variano da 5.000 euro per le persone singole a 15.000 euro per piccole realtà fino a 5 dipendenti. Questi contributi, attualmente, possono essere erogati una sola volta e sono soggetti a tassazione.
Come è stata raccontata l’emergenza italiana dai media tedeschi?
Inizialmente c’è stata naturalmente molta attenzione a quanto stava succedendo in Italia e si seguiva l’evolversi della situazione nel Bel Paese con molta preoccupazione, ma questo non ha portato all’adottamento delle stesse misure restrittive a priori. Ora che la pandemia è ormai diffusa a livello globale, mi sembra che tutti gli Stati, in Europa e al di fuori, siano più che mai concentrati a risolvere le faccende di casa propria a scapito dell’ideazione di linee guida e procedure comuni. Sarebbe bello se questa reazione fosse solo una caratteristica di questo inizio fase 2 e che una volta “messa una pezza” ai disastri sanitari ed economici causati dal virus a livello locale, si cominciasse al più presto con la messa a punto di nuovi modelli di sviluppo sostenibili e comunitari.