La maggior parte delle persone cresciute nel mondo occidentale è convinta che la data di quella che è comunemente chiamata “Festa della Donna” sia legata ad un evento tragico avvenuto nei primi anni del XX secolo negli Stati Uniti d’America. Il 25 marzo del 1911 andò a fuoco a New York la fabbrica di camicie Triangle, dove morirono 146 persone, di cui 123 donne. L’evento scandalizzò l’opinione pubblica poiché emerse che la maggior parte delle persone decedute non poterono tentare di scappare dato che le porte dei piani superiori del palazzo erano state sprangate dai proprietari della fabbrica onde evitare perdite di tempo nelle pause di lavoro. Circa la metà delle vittime si erano lanciate dalle finestre. L’episodio fu sicuramente drammatico e contribuì a portare al centro dell’attenzione il tema della sicurezza del lavoro. In realtà l’origine dell’8 marzo è un paradosso della storia, dato che in realtà i fatti avvennero il 23 febbraio 1917, il primo giorno della Rivoluzione Russa, più esattamente quella di febbraio che portò alla caduta dell’Impero Russo con la nascita di un successivo governo provvisorio (qualche mese prima della più nota Rivoluzione d’Ottobre, che iniziò il 7 di novembre sempre del 1917). Il 23 febbraio del vecchio calendario giuliano corrisponde all’8 marzo dell’attuale calendario gregoriano.
Genesi della Giornata internazionale della donna
Il tema dei diritti femminili all’inizio del XX secolo era patrimonio solamente dei movimenti di ispirazione socialista e marxista. La prima dichiarazione della necessità di introdurre il suffragio universale femminile e non solo maschile risale al 1907, quando ad un evento dell’Internazionale Socialista al quale presero parte anche personaggi come Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, Lenin e Julij Martov, fu stabilito di lottare per questo diritto, possibilmente senza il sostegno delle donne appartenenti alla borghesia. L’anno successivo le organizzazioni femminili socialiste degli Stati Uniti ebbero una posizione meno rigida sul coinvolgimento delle borghesi nelle proprie lotte e diedero vita al “Woman’s day” che si doveva tenere annualmente l’ultima domenica di febbraio. Due anni dopo a Copenaghen i movimenti americani ed europei si incontrarono alla vigilia dell’VIII Congresso dell’Internazionale Socialista, con l’obiettivo di coordinare le azioni e concordare un unico giorno da dedicare alle rivendicazioni femminili. Questo non avvenne e negli Stati Uniti si continuò a celebrare la giornata nell’ultima settimana di febbraio mentre in Europa si scelse il 19 marzo, per quanto anno dopo anno la data spesso cambiasse e non fosse omogenea tra Paese e Paese. Nel 1914 in molte parti d’Europa scoppiò la Prima guerra mondiale che rese impossibile tentare di riorganizzare l’evento, ma con un’importante eccezione: il 23 febbraio del 1917, come abbiamo già detto 8 marzo del calendario gregoriano all’epoca in vigore in quasi tutta Europa, a Pietrogrado, capitale dell’Impero Russo, accadde qualcosa di inaspettato. La Russia stava combattendo la guerra contro gli Imperi centrali e la situazione per il regno dei Romanov era disperata. Una vera e propria carneficina era in corso da tre anni ai confini occidentali dell’immenso Paese e il malcontento popolare era salito a livelli elevati. Il mese di febbraio fu caratterizzato da scioperi nelle fabbriche finché il giorno 23 le donne della città misero in atto una manifestazione che si spinse fino al Palazzo d’Inverno. Madri, figlie, sorelle e mogli dei soldati chiedevano che la guerra finisse e che i propri uomini, quelli ancora vivi, potessero tornare dal fronte. Essendo molti uomini impegnati nella guerra, di fatto la gran parte delle fabbriche era mandata avanti da donne alle quali si unirono casalinghe esauste per la mancanza di pane e le difficoltà a reperire cibo per i figli. Le autorità furono colte di sorpresa e le reazioni furono moderate; in alcuni casi la forze armate inviate a reprimere la folla solidarizzarono con essa. Era l’inizio della rivoluzione ed esattamente una settimana dopo anche la fine della secolare dinastia dei Romanov. La Russia si apprestava a vivere una fase di instabilità che avrebbe portato tutto il potere ai Soviet pochi mesi dopo. Oltre a tutto questo era nato quello che conosciamo come 8 marzo.
Dopo il 1917
Una volta che il potere comunista si consolidò fu stabilito di ricordare la fatidica data con lo stabilizzarvi la Giornata internazionale della donna. In Italia fu festeggiata per la prima volta nel 1922 nella prima domenica successiva all’8 marzo. Con l’avvento del Fascismo la festività sparì dai calendari mentre in altre nazioni del mondo lentamente trovava spazio. La particolarità della ricorrenza portò la parte di mondo non comunista a non accettare volentieri che il giorno dedicato ai diritti delle donne coincidesse con la nascita di una rivoluzione. Proprio per questo nacquero leggende come quella della fabbrica statunitense: era necessario trasformare l’origine di quella ricorrenza. Anche le Nazioni Unite nel concordare l’importanza di un giorno dedicato alle lotte delle donne stabilì che ogni paese fosse libero di scegliere quale data dedicare all’importante tema.
Paesi dove l’8 marzo è giorno festivo
In alcune nazioni del mondo la Giornata internazionale della donna è un giorno rosso nel calendario. Essendo una festività che ha avuto origine nel contesto della Rivoluzione Russa è naturale che in epoca sovietica fosse considerato un giorno importante. Dodici dei quindici stati che componevano l’Urss tuttora festeggiano l’8 marzo. Solo le repubbliche baltiche hanno abbandonato questa tradizione. Anche Mongolia, Afghanistan, Corea del Nord, Cuba, Vietnam, Laos e Cambogia festeggiano l’8 marzo, come alcuni stati africani tra i quali ricordiamo Angola, Zambia, Eritrea, Uganda, Mali, Burkina Faso e Guinea-Bissau. Ci sono alcune nazioni dove la ricorrenza è considerata una festività solo per la popolazione femminile. Tra queste Cina, Nepal e Madagascar. Nell’Europa occidentale la ricorrenza non ha mai avuto il valore di una festività civile seppure in Italia, forse grazie alla storica presenza di un forte sindacato e in passato di partiti molto impegnati sul tema, viene festeggiata sia in modo informale che con convegni dedicati al tema. È rimasta nel patrimonio culturale degli stati dell’Europa orientale dove, anche se non in forma ufficiale, si continua a valorizzare.
La mimosa e Teresa Mattei
Quando dopo la fine del Fascismo in Italia si ricominciò a festeggiare l’8 marzo fu scelto come simbolo un fiore diverso da quelli diffusi in Unione Sovietica o dalla violetta usata in Francia. Fu la deputata alla Costituente Teresa Mattei a proporre la mimosa, un fiore povero e facile da trovare anche nelle ultime settimane d’inverno. Fu subito supportata dalle altre deputate Rita Montagnana e Teresa Noce, mogli rispettivamente di Palmiro Toglietti e Luigi Longo. Curiosamente i rapporti con i loro mariti, esponenti di spicco del Partito Comunista Italiano, sarebbero naufragati poco dopo. Da allora, soprattutto in Italia, la mimosa è diventata il simbolo di questa ricorrenza e colora di giallo i negozi di fiori e le giornate delle donne quando viene regalata da colleghi di lavoro, compagni di scuola, familiari o persone vicine. A proposito di Teresa Mattei, fu la più giovane tra coloro che scrissero la Costituzione della Repubblica Italiana e anche l’ultima a morire nel 2013. Passò tutta la propria vita a difendere la Carta costituzionale, oltre a partecipare ad eventi di promozione della figura della donna e dei diritti dell’infanzia.
I due volti della ricorrenza e la sua modernità
In Italia con il passare degli anni l’8 marzo ha assunto due facce completamente diverse, quella impegnata e quella commerciale. Quest’ultima, talvolta, con il raggiungimento di formule di degrado destinate a svilire il ruolo stesso della donna. La Festa della Donna è spesso stata occasione di ritrovo festaiolo di rappresentanti del gentil sesso accompagnato spesso da speciali serate con spogliarelli maschili o alla presenza di pornostar o personaggi del mondo dello spettacolo. Senza ombra di dubbio le occasioni di divertimento hanno registrato molte più presenze di convegni sindacali o di iniziative istituzionali finalizzate a comprendere la reale motivazione dell’esistenza della Giornata internazionale della donna. Oltre a dimenticare le vere origini dell’8 marzo, la scomparsa nella maggior parte delle persone di coscienza politica o della militanza in forze partitiche o associazioni ha lentamente eroso l’attenzione che la Festa della Donna meriterebbe tuttora oggi. Se alcuni traguardi importanti in una parte di mondo sono stati indubbiamente raggiunti, ne restano ancora tanti per poter considerare superata l’esigenza di una giornata che faccia riflettere su questi temi.
Se tutto nacque per chiedere il diritto al suffragio universale femminile, si può affermare che questo sia un obiettivo raggiunto, anche se in alcuni paesi del Golfo Persico è arrivato soltanto nel XXI secolo. Formalmente l’unico stato europeo dove le donne non sono elettori né attivi né passivi e lo Stato Vaticano. In Libano permangono limitazioni dovute al grado di scolarizzazione della popolazione femminile e in altri Stati come il Sultanato dei Brunei non votano né le donne e neppure gli uomini. La parità dei diritti è formalmente prevista in molte Carte costituzionali ma non sempre pienamente applicata nella quotidianità. In politica, per esempio, nonostante in Italia le donne votino e possano essere elette dal 1946, per vederne una Ministro si è dovuto aspettare il 1976, Presidente della Camera il 1979, Presidente del Senato il 2018 e mai finora una donna è stata Presidente del Consiglio o della Repubblica.
In molti settori la retribuzione media di una donna è inferiore a quella di un uomo e il periodo di maternità continua di fatto a penalizzare la carriera lavorativa della donna soprattutto in mancanza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’unità che circa un secolo fa vedeva il mondo delle donne marciare in modo compatto verso degli obiettivi chiari e definiti oggi incontra qualche ostacolo in più anche all’interno dello stesso mondo femminile, che per esempio su tematiche come l’interruzione volontaria di gravidanza o la maternità resta oggi fortemente diviso tra posizioni giudicate conservatrici e altre progressiste.