Sara Bellucci, 37 anni, originaria di Sansepolcro, è una maestra di scuola primaria e da circa dieci anni insegna nelle scuole italiane all’estero. Dopo due lunghe esperienze in Russia e in Argentina, oggi porta avanti con passione il suo lavoro nella città più grande della Turchia, Istanbul. Per Sara la Turchia è un felice ritorno considerato che diversi anni fa aveva vissuto un’esperienza di Erasmus a Smirne.
Perché hai scelto Istanbul?
Ho deciso di tornare in Turchia perché, dopo tre anni dall’altra parte del mondo, sentivo l’esigenza di scegliere un posto dove mi sentivo a mio agio, che conoscevo bene e anche fisicamente più vicino all’Italia. Sono molto affezionata alla Turchia e mi sento tranquillamente di definire Istanbul una vera seconda casa. Sono arrivata ad agosto, prima dell’inizio dell’anno scolastico, e ora non so quale sarà l’immediato futuro, non potendo sapere come si evolverà la pandemia.
Com’è la situazione da te e nel resto del paese?
Qui il virus è in fase di crescita. Mentre in Italia forse a breve potrebbe iniziare una diminuzione dei casi, qui siamo ancora lontani dal picco. L’emergenza è iniziata con circa due settimane di ritardo. Quando qui hanno cominciato a capire che la situazione richiedeva un intervento immediato, in Italia le scuole erano già chiuse e le persone non uscivano di casa. In generale la situazione è abbastanza sotto controllo. Il governo ha subito chiuso le scuole, le attività commerciali, le realtà culturali. Il 16 marzo è stato il primo giorno di chiusura. Inizialmente è stato dichiarato un periodo di due settimane, ma poi hanno prolungato fino al 30 di aprile, anche se tutti pensano che la cosa si estenderà ulteriormente, forse fino a giugno. Ufficialmente, ad oggi, le scuole dovrebbero riaprire i primi giorni di maggio. Le università invece finiranno i corsi di quest’anno con gli esami online mentre a settembre è prevista la normale riapertura. Al 7 aprile i contagi sono circa 34.000 in tutta la Turchia, dei quali 12.000 ad Istanbul.
Come si sono mosse le autorità e che tipo di restrizioni sono in vigore?
Trentuno città nell’intero paese, inclusa Istanbul, sono completamente chiuse senza la possibilità di entrare o uscire. Nonostante questo ad Istanbul non è stata dichiarata una quarantena ufficiale, mentre in altre regioni, come l’Anatolia, sì. Anche se qui nessuno ti obbliga a stare in casa, da quattro settimane tutti ci stiamo lo stesso. Dove vivo io, nel quartiere di Taksim, che è molto centrale, sembrerebbero tutti rispettare le regole. Solo da alcuni giorni c’è il divieto di uscire di casa per i giovani sotto i venti anni e coloro che ne hanno più di 65, considerate fasce di età più a rischio. Per tutti gli altri c’è l’obbligo di mascherina quando si esce. A tal proposito farmacie e supermercati devono distribuire le mascherine gratuitamente e addirittura è possibile, tramite una richiesta sui siti istituzionali del governo, farsele spedire a casa. Come è successo in Italia, molte delle grandi aziende turche hanno cessato le produzioni abituali per riconvertirsi verso mascherine e apparati per aiutare la respirazione. Il vecchio aeroporto “Ataturk”, in disuso da poco tempo, è diventato invece un enorme ospedale dedicato al Covid-19.
Devo riconoscere che le autorità hanno agito prontamente. Va riconosciuta una grande velocità tra il decidere e il fare. Nel primo periodo, i miei colleghi ed io eravamo perplessi vedendo quello che accadeva in Italia mentre qui non si prendevano provvedimenti. Hanno aspettato fin che potevano aspettare per poi prendere misure adeguate. Speriamo che le mosse attuate serviranno a contenere il contagio.
Perché in Europa si parla poco o niente della situazione in Turchia?
Seguendo i media italiani, vedo che si parla poco della pandemia in tutto il Medio oriente, anche il caso eclatante dell’Iran è stato trattato pochissimo. A questo va aggiunto che il rapporto tra i media occidentali e la Turchia dipende molto da grandi interessi economici, anche se in questa situazione c’era solo da esporre i fatti. Andava raccontato che non c’è nulla di particolarmente diverso da quello che succede in altri paesi, anzi forse andava semplicemente detto che qui la situazione è migliore che in altre paesi.
Ritengo che il modo di fare informazione verso questa parte di mondo vada un po’ ad intermittenza e penso che in questo momento storico ogni paese sia concentrato principalmente in quello che succede all’interno dei propri confini.
E come viene raccontata nei media turchi la situazione in Italia?
Qui sono molto empatici e in particolar modo verso l’Italia. La vicenda italiana è stata raccontata esattamente come era, quindi i media erano sempre aggiornati sul collasso sanitario che c’è stato. Dati molto oggettivi e senza particolari dietrologie.
Una cosa carina è che molte signore che vivono nel mio palazzo, nonostante le difficoltà nel comprendersi, mi hanno chiesto nei primi giorni della crisi italiana se provenivo dal nord Italia. Ovunque si percepisca che sono italiana, in qualsiasi contesto si arriva a domande su come stanno i miei familiari o se i miei amici sono malati e addirittura alcuni si raccomandano che i miei genitori non escano di casa. Quindi la situazione italiana è sotto gli occhi di tutti e c’è stata davvero molta solidarietà.
Come è cambiata la tua vita e come sono cambiati i rapporti con le persone attorno a te?
Facendo la maestra, come tutti i colleghi mi sono dovuta adattare alla situazione. Facciamo didattica a distanza, cosa complessa, articolata, difficile. Richiede uno sforzo immane da parte mia, da parte dei bambini e anche delle famiglie. Quindi non avere più un rapporto fisico e reale con i miei bambini è stato un grosso cambiamento. Ovviamente la vita sociale si è ridotta a videochiamate. Questo accade proprio mentre arriva la primavera, quando di solito si usa fare picnic nei parchi lungo il Bosforo.
Intanto mantengo stretti contatti con la Valtiberina, sia con la mia famiglia che le amiche. Non mi fa impazzire restare chiusa in casa però voglio essere fiduciosa e pensare che non ci vorranno mesi prima di tornare ad una vita normale.
Proprio in questo momento sarei dovuta essere in Italia per le vacanze di Pasqua e invece hanno cancellato i voli. Ci siamo resi conto che la situazione andava male quando a febbraio amici di colleghe dovevano venire in Turchia e cominciava l’ecatombe della cancellazione dei voli, fino a quella dei nostri voli di ritorno. Ho la sensazione di essere bloccata senza sapere quando potrò tornare a casa. Sentirsi bloccati porta anche a risvolti psicologici e può diventare totalizzante come pensiero.
C’è qualche dettaglio quotidiano che ti ha particolarmente colpito?
Sì, il fatto che ogni sera, durante il richiamo alla preghiera delle 21, nell’appello del muezzin c’è anche un passaggio dove vengono ricordate le regole di igiene altamente consigliabili in questo periodo, come lavarsi bene le mani, usare le mascherine, rispettare la distanza di sicurezza. È curioso ed interessante sentire queste cose dall’altoparlante del minareto delle moschee.