Doveva essere la prima volta che degli uomini camminavano sul Polo Nord, ma una serie di disavventure non permise di raggiungere questo importante obiettivo. Ancora peggio fu quello che accadde poche ore dopo il sorvolo del punto più a nord del pianeta. Il 24 maggio del 1928 fu una data maledetta per la storia dell’aviazione italiana, e gli avvenimenti di quel giorno condizionarono la vita di Umberto Nobile e portarono alla morte di parte dell’equipaggio del dirigibile Italia e di coloro, tra cui l’esploratore norvegese Roald Amundsen, che cercarono di salvare i superstiti.
Umberto Nobile e le precedenti esplorazioni
Di origine irpina, Umberto Nobile ebbe sempre una spiccata passione per l’ingegneria aeronautica, materia della quale divenne insegnante all’Università Federico II di Napoli. Durante il primo conflitto mondiale si occupò di costruzione di aerei e successivamente di dirigibili. Dopo la guerra assunse la direzione dello Stabilimento militare di costruzioni aeronautiche di Roma. Nel 1926 fu protagonista di un’impresa che lo rese famoso in tutto il mondo. A bordo del dirigibile di costruzione italiana ribattezzato Norge, assieme all’esploratore Roald Amundsen e del finanziatore americano Lincoln Ellsworth, intraprese un lungo viaggio che da Roma che lo portò in Alaska dopo aver sorvolato mezza Europa e soprattutto il Polo Nord. Quello del Norge è considerato il primo sorvolo ufficialmente riconosciuto del punto più settentrionale del pianeta Terra. Amundesn divenne il primo uomo al mondo ad aver visitato entrambi i poli. Il successo della spedizione ebbe un enorme clamore sia negli Stati Uniti che in Europa. Al suo ritorno in Italia Umberto Nobile venne ricevuto personalmente da Benito Mussolini che lo elevò di grado.
Il dirigibile Italia
Nel 1927 fu costruito un nuovo dirigibile che prese il nome di Italia. L’aeronave doveva servire per compiere un’impresa fino ad allora mai riuscita. L’obiettivo era raggiungere il Polo Nord e calare alcuni membri dell’equipaggio sulla superficie del ghiaccio. A supporto dell’idea di Nobile furono messe a disposizione molte risorse umane ed in parte economiche, poiché per il governo fascista il successo della missione sarebbe stata un’ottima vetrina a livello internazionale. In quel periodo esisteva tra l’altro una forte rivalità tra Italo Balbo e lo stesso Nobile, con il primo convinto sostenitore della maggiore utilità degli aeroplani, contrariamente a chi considerava rivoluzionario il dirigibile. Nobile avrebbe preferito usare per questo viaggio un nuovo prototipo di dirigibile ancora in fase di costruzione, ma non ebbe tempo di aspettarne il varo. La base dell’operazione era la Baia del Re situata sulle Isole Svalbard. Il viaggio di avvicinamento alle isole situate a nord della Norvegia fu un trionfo, con calorose accoglienze ricevute nelle tappe intermedie in molte località europee. Alla Baia del Re c’era al servizio della spedizione anche la nave militare Città di Milano al comando di Giuseppe Romagna. A bordo della nave anche un gruppo di alpini che avrebbero dovuto supportare la spedizione in caso di incidenti. A raccontare l’avventura fu inviato un cospicuo numero di giornalisti italiani che grazie all’uso del telegrafo potevano raccontare quasi in tempo reale gli avvenimenti artici. Nobile volle con sé alcuni degli uomini che lo avevano accompagnato nell’avventura con il Norge, oltre che tre scienziati, tra i quali un meteorologo, e due giornalisti. L’Italia arrivò alle Svalbard il 6 maggio 1928 e prima della missione più importante vennero fatti dei voli di prova, il secondo dei quali – tre giorni per oltre quattromila chilometri – decisamente utile per testare l’aeronave nelle difficili condizioni climatiche del grande Nord. Il viaggio più importante prese il via la mattina del 23 maggio con l’obiettivo di toccare il Polo Nord in occasione del giorno successivo, anniversario dell’ingresso in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale e all’epoca festa nazionale.
La tragedia
Favorita dai venti e dalla luce solare presente per tutte le ventiquattro ore, la spedizione arrivò nei pressi del Polo Nord dopo circa venti ore di viaggio. Le testimonianze raccontano che erano le 0:24, orario davvero emblematico considerata la ricorrenza. Il maltempo in arrivo sconsigliò di calare a terra gli uomini destinati a piantare una bandiera italiana e una croce in legno donata da Papa Pio XI. Entrambe furono lanciate sul pack direttamente dal dirigibile. Nonostante la mancata discesa l’evento portò a festeggiamenti a bordo dell’Italia accompagnati da un radiomessaggio destinato al Pontefice, al Re d’Italia e al Duce. Il dirigibile riprese la rotta verso la Baia del Re accompagnato da forti venti e successivamente anche da una coltre di nebbia. Attorno alle 8 del mattino venne telegrafato alla base che il viaggio stava procedendo a velocità molto lenta e che quindi era prevedibile un ritardo rispetto alle prime previsioni d’arrivo. Circa un’ora dopo il ghiaccio bloccò il timone dell’aeromobile con una significativa perdita di quota. Gli uomini dell’equipaggio risolsero la situazione e assieme al conseguente fermo dei motori riuscirono a riguadagnare metri riportando il dirigibile a più di mille metri di quota, seppure per pochi minuti. Poco dopo avvenne infatti una nuova perdita di altezza con il dirigibile inclinato sulla propria coda. A nulla valsero i tentativi di alleggerirlo gettando zavorra, e la cabina di comando si schiantò sul ghiaccio. Fortunatamente strusciando, cosa che consentì di mitigare la forza dell’impatto. Il resto dell’aeronave, privo della cabina, riprese quota portandosi via sei uomini che non sarebbero mai stati ritrovati. A terra rimasero in dieci, tra i quali il motorista Vincenzo Pomella, morto subito dopo l’impatto. Tra gli altri Umberto Nobile ferito ad una gamba e un braccio, Natale Cecioni con una gamba rotta e il meteorologo svedese Finn Malmgrem con una ferita alla spalla. Con i nove sopravvissuti c’era anche la piccola cagnetta di Nobile di nome Titina, che era la mascotte del viaggio.
Le cause del disastro non sono mai state chiarite. Successivamente all’episodio Umberto Nobile avanzò ipotesi relative alla presenza di ghiaccio nei motori e timoni, una perdita di gas avvenuta quando il dirigibile si era portato ad un’elevata quota sopra le nuvole dopo il primo mancato impatto con il pack, e infine un danneggiamento della superficie dell’involucro dovuta ad operazioni di pulizia fatte con scarpe non adatte. Chi successivamente condusse l’inchiesta per le autorità italiane prese in considerazione solo la responsabilità di Nobile, che avrebbe impartito ordini errati.
La tenda rossa
Con l’impatto a terra della cabina di comando caddero anche numerosi oggetti che si rivelarono utili alla sopravvivenza dei nove naufraghi. Tra questi una tenda che sarebbe servita agli uomini che dovevano scendere al Polo, le loro razioni di cibo e una piccola radio Ondina 33 ad onde corte, destinata sempre al presidio umano che doveva restare sul pack. Usando la vernice rossa che serviva per i rilevamenti di quota tramite lancio dal dirigibile la tenda fu colorata in modo da essere maggiormente visibile durante le ricerche. Ci vollero alcuni giorni e il talento del marconista Giuseppe Biagi per rendere la piccola radio funzionante, ma per una serie di cause la Città di Milano ancorata alla Baia del Re non riusciva a ricevere il segnale dei sopravvissuti. Nel frattempo il comandante della nave italiana aveva dato il via ai soccorsi noleggiando altre imbarcazioni adatte alla navigazione sul ghiaccio, mentre i giornalisti presenti in Norvegia non mancarono di far circolare la notizia della scomparsa del dirigibile Italia. Problema non da poco era che nessuno sapeva dove cercare, dato che nell’ultima trasmissione radio in cui Biagi aveva comunicato la posizione il dirigibile stava andando in una direzione che si allontanava da Baia del Re. In realtà i nove uomini erano a circa 250 chilometri dalla base, su un grande blocco di ghiaccio in continuo movimento.
La mancanza di risposte radio fece sprofondare nel pessimismo gli uomini rimasti nella banchisa. Grazie alla pistola in suo possesso Finn Malmgrem riuscì ad abbattere un orso polare che servi per procurarsi ulteriore cibo e un’utile pelliccia. Lo stesso Malmgrem, il vice di Nobile Filippo Zappi e il navigatore Adalberto Mariano presero la decisione di tentare di raggiungere delle isole che periodicamente apparivano all’orizzonte. Nobile sconsigliò questa pericolosa azione ma i tre non abbandonarono il proposito e si incamminarono. Pochi giorni dopo Nikolaj Šmidt, un radioamatore sovietico che viveva nel nord della Russia e si dilettava ad ascoltare conversazioni radio con un apparato artigianale, ascoltò il SOS di Biagi e comunicò la notizia al Cremlino, che a sua volta informò le autorità italiane. Grazie a questo finalmente anche la Città di Milano riuscì a comunicare con i superstiti anche se era difficile ricavare la posizione della tenda rossa. L’Unione Sovietica, e in particolare modo il professor Rudol’f Samojlovič, vecchio amico di Umberto Nobile, prese parte alle ricerche inviando il potente rompighiaccio Krasin che partì poco dopo dal porto di Leningrado. A questo punto oltre ai sovietici e agli italiani di stanza a Baia del Re presero parte alle ricerche anche navi e aerei di Norvegia, Svezia, Finlandia e Francia. Tra gli uomini che parteciparono vi fu anche l’esploratore Roald Amundsen, che sarebbe rimasto disperso assieme al suo pilota durante un volo di ricognizione. Solamente il 20 giugno un idrovolante italiano riuscì a localizzare la tenda rossa e iniziare un periodico lancio di rifornimenti ai sei superstiti. Il tentativo di raggiungere la terra ferma degli altri tre era proseguito invece tragicamente, con la morte di Malmgrem per assideramento. Tre giorni dopo il primo avvistamento l’idrovolante svedese di Einar Lundborg riuscì ad atterrare nei pressi della tenda rossa. Ripartì con a bordo Umberto Nobile e la cagnetta Titina, scatenando le accuse della stampa italiana sul fatto che il comandante avrebbe abbandonato per primo i propri uomini. In realtà Nobile era stato ricattato da Lundborg, che si sarebbe rifiutato di fare ulteriori voli di salvataggio se quello non avesse accettato di tornare alla base per primo. Dietro questo atteggiamento vi era una lauta ricompensa per Lundborg da parte della compagnia di assicurazione con cui Nobile aveva assicurato la propria vita. Nel viaggio successivo lo svedese si ribaltò in fase di atterraggio, rimanendo anch’esso bloccato assieme ai cinque italiani rimasti.
L’unico mezzo in grado di penetrare i ghiacci era il Krasin, che però per problemi ai motori e per le difficoltà di navigare in quel tipo di condizioni si avvicinava molto lentamente ai luoghi dove era precipitato l’Italia. A bordo della nave rompighiaccio sovietica vi era un piccolo aereo che riuscì ad individuare Zappi e Mariano, che poi furono portati in salvo. A sua volta il velivolo sovietico dovette effettuare un atterraggio di emergenza sul ghiaccio e l’equipaggio fu recuperato in un momento successivo. Gli altri superstiti della tenda rossa furono recuperati dal Krasin la sera del 12 luglio, a distanza di quasi cinquanta giorni dal fatidico 24 maggio.
Conseguenze della vicenda
Dei sedici uomini a bordo del dirigibile Italia furono tratti in salvo otto superstiti e un cane. Alle otto vittime vanno aggiunti ulteriori dieci persone perite nelle operazioni di ricerca nel 1928 e nell’anno successivo, quando fu tentato nuovamente di scoprire dove era finito l’involucro del dirigibile. Quando l’aereo svedese riportò Nobile alla Baia del Re, da Roma arrivò l’ordine di togliere il comando all’irpino. Successivamente – anche qui determinante la rivalità con Italo Balbo – Nobile fu messo in disparte dal regime fascista e fu degradato. A nulla servì un colloquio privato con Mussolini per fornire la propria versione dei fatti. Privo di incarichi emigrò in Unione Sovietica e poi collaborò anche con il governo statunitense. Rientrato in Italia dopo la caduta del fascismo, fu eletto all’Assemblea Costituente come indipendente nella lista del Partito Comunista Italiano. Come numero di preferenze fu secondo solamente a Palmiro Togliatti, all’epoca Segretario del partito. Recuperò sia i gradi militari che gli incarichi lavorativi precedenti, e passò il resto della propria lunga vita a scrivere libri e fornire spiegazioni sulla vicenda che lo ha reso famoso.
Tra gli altri sopravvissuti ci fu anche Filippo Zappi, originario di Mercato Saraceno, dove è sepolto, che avrebbe svolto carriera diplomatica sia prima che dopo la Seconda guerra mondiale. Il radiotelegrafista Giuseppe Biagi, che divenne padre durante il periodo in cui era disperso nell’artico, visse ulteriori complesse avventure in Africa durante la guerra. Negli ultimi anni della propria vita fece il benzinaio a Roma.
Il ricordo della spedizione
Sono numerosi i musei, italiani e non, che conservano testimonianze dell’avventura del 1928. In Lazio, al Museo storico dell’aereonautica di Vigna di Valle, è conservata la cagnetta Titina impagliata oltre a cimeli e ricostruzioni della vicenda. A Milano presso il Museo nazionale della scienza e della tecnica è conservata la tenda rossa. La radio Ondina 33 si trova al Museo tecnico navale della Spezia, mentre la pelliccia dell’orso ucciso è a Trento. A San Pietroburgo ci sono parti del dirigibile e ancorato sulla Neva anche il rompighiaccio Krasin trasformato in museo. Altri ricordi di quell’evento sono distribuiti tra Oslo e la Baia del Re in Norvegia.
Infine, una fedele ricostruzione dell’intera vicenda della spedizione di Umberto Nobile è contenuta nel film La tenda rossa. Co-produzione italo-sovietica del 1969 del regista georgiano Michail Kalatozišvili, ospita un cast importante con la presenza di Sean Connery, Peter Finch e Claudia Cardinale, a cui vanno aggiunte le musiche di Ennio Morricone.