Prosegue la nostra rassegna sulle particolarità geografiche che interessano il nostro territorio. Quando si cerca su una carta politica delle regioni italiane l’exclave di Ca’ Raffaello, di cui abbiamo raccontato la scorsa settimana, si rischia di confondersi con una realtà simile ubicata leggermente a sud-est. Mentre la prima è un pezzo di Toscana immersa nella Romagna, oggi racconteremo le vicende storiche di un pezzettino di Umbria incastonata dentro le Marche.
Partendo da una domanda: cosa hanno in comune Papa Francesco e il Sindaco di Città di Castello? L’insolita risposta è che entrambi hanno titoli elettivi, il primo conferito dai cardinali e il secondo dai tifernati. Bergoglio è anche Capo di Stato, mentre Luciano Bacchetta è il Signore di un Baronato dove non vive nessuno dal 1971. La particolarità di questa vicenda si perde nel medioevo, quando una sperduta Baronia in un remoto luogo dell’Appennino cedette il titolo nobiliare al gonfaloniere di Città di Castello e di conseguenza oggi ai vari sindaci che si succedono.
Torniamo indietro nel tempo e proviamo a raccontare due diverse storie che non si contraddicono tra di loro e che sono entrambe al confine tra leggenda e verità. Una di queste narra il fatto che una grande carestia dovuta ad incredibili nevicate colpì il Baronato di Monte Ruperto nel XIII secolo e che nessuna delle vicine città inviò aiuti in soccorso della piccola comunità. Dalla relativamente lontana – per i mezzi e le strade dell’epoca – Città di Castello arrivò il cibo necessario a far sopravvivere la piccola comunità. Si dice che il Barone, privo di eredi, cedette il piccolo territorio a Città di Castello come segno di gratitudine. La traccia del passaggio sotto il dominio tifernate è datata 25 giugno 1256. È storia documentata da un atto pubblico che nel 1274 gli abitanti di Monte Ruperto godessero di agevolazioni fiscali al punto da pagare solo “cinque soldi per focolare per casa da versare il 27 agosto di ogni anno”.
Altra verità storica è che in quegli anni vi era la rivalità, spesso sfociata in guerra, tra guelfi e ghibellini. Si racconta, e qui affrontiamo la seconda storia, che il Baronato di Monte Ruperto, essendo in contrasto con le città limitrofe di Apecchio e Sant’Angelo in Vado, abbia chiesto e ottenuto protezione da Città di Castello.
Entrambe le storie hanno fondamenti di verità che le rendono plausibili. Anche ai giorni nostri sono successi episodi di cronaca invernale che ci ricordano l’epopea di Monte Ruperto. Non è un caso che nel 2012 una famiglia che abitava nella frazione tifernate di Scalocchio, non lontana dall’exclave e propaggine oltre lo spartiacque appenninico di Città di Castello, sia stata raggiunta ed evacuata in elicottero a causa di una nevicata che l’aveva isolata dal mondo per diversi giorni. Cinque anni dopo furono due le famiglie nella stessa zona ad essere soccorse, sempre a causa delle abbondanti nevicate, da un gatto delle nevi.
Nel XIII secolo Città di Castello dominava l’intera valle del Tevere e aveva possedimenti anche oltre gli Appennini. È probabile che quando Monte Ruperto si unì alla città umbra non si trattasse dell’annessione di un’isola amministrativa, ma fosse in continuità fisica, politica e geografica con il territorio tifernate. Non è un caso che tuttora oggi il confine umbro valichi di alcuni chilometri lo spartiacque sia oltre Bocca Serriola che nella zona di Scalocchio. Nel 1413 gli Ubaldini, signori delle zone limitrofe a Monte Ruperto, si sottomisero ai Montefeltro e di lì a poco tutti i loro territori passarono alle dipendenze di Urbino. Esattamente in quel momento la baronia divenne un’exclave di Città di Castello nel futuro Ducato di Montefeltro. Nel 1630 i territori di Urbino diventarono a tutti gli effetti una provincia dello Stato Pontificio e da allora Monte Ruperto non fu più confinante con un altro Stato, ma con una provincia e legazione della stessa entità politica. I destini della piccola comunità seguirono quelli di Città di Castello con l’ingresso a cavallo tra 1860 e 1861 nel Regno d’Italia, poi diventato Repubblica Italiana nel 1946.
Dal punto di vista geografico la Baronia confina con i comuni di Apecchio e Sant’Angelo in Vado e quindi oltre ad essere un parte di Umbria nelle Marche è anche un pezzo della Provincia di Perugia ubicato in quella di Pesaro e Urbino. Ha un’estensione di meno di tre chilometri quadrati e nessun abitante (mentre vi erano registrate due famiglie per un totale di 15 abitanti in occasione del censimento del 1853). All’interno del territorio, costituito da boschi e mulattiere, si va da un’altitudine minima di 412 metri sul livello del mare fino ad una massima di 727. Il Candigliano, affluente del Metauro, delimita la parte settentrionale di confine dell’exclave. Sono presenti alcuni ruderi di case, alcuni riconoscibili, altri devastati pure dal furto di pietre. In loco non c’è alcuna cartellonistica stradale o legata alle zone di caccia che faccia comprendere che si sta passando da una regione all’altra.
Il Piano regolatore di Città di Castello identifica tracce di edifici denominati Monte Ruperto, Chibondi, Calcineto, Caifarini e San Donato. Un’ulteriore località composta da un solo edificio, Pierpaoli, sembrerebbe appena oltre la linea di confine. Dal punto di vista teorico i vecchi edifici potrebbero essere recuperati e restaurati, quindi sarebbe tecnicamente possibile riportare abitanti in questo particolare territorio. L’unica via di comunicazione che attraversa una piccola parte della Baronia porta a più di un agriturismo situato nella parte marchigiana della valle del Candigliano. La bellezza del territorio e la sua tranquillità potrebbero far pensare alla possibilità di sviluppo di attività turistiche umbre anche sulla sponda destra del fiume. Ma se esiste una strada per arrivare a Monte Ruperto, comunque mancherebbero tutte le infrastrutture per rendere abitabile il territorio.