Attaccante capace di giocare per la squadra e di segnare gol importanti, allenatore preparato e competente che ha vissuto tra l’altro due splendide stagioni alla guida del Sansepolcro, prima di riportare il Perugia dalla Serie D alla Serie C1 in appena 2 anni. La storia calcistica di Pier Francesco Battistini è ricca di soddisfazioni e di momenti intensi, prima in campo, poi in panchina. Romano di origine, toscano di adozione visto che abita da tanti anni ad Arezzo e che lavora a Sansepolcro. In ogni esperienza ha messo tutto sé stesso con serietà e passione, con grinta e personalità, con la voglia di incidere e di fare squadra. Battistini ha fatto le fortune di tante formazioni vincendo campionati di Serie D con L’Aquila (2 volte), Arezzo, Sangiovannese e Ravenna, laureandosi capocannoniere in C2 con la squadra valdarnese e segnando circa 200 gol in carriera. Alcuni di questi pesanti e per certi versi “storici” come quello che decise a favore dell’Arezzo il derby 1995-1996 con il Sansepolcro. Tanto micidiale in area di rigore, quanto attento alle esigenze della squadra, aspetto che si è rivelato fondamentale nella seconda parte della sua carriera, quella da allenatore. In panchina Battistini ha subito dimostrato competenza e professionalità ottenendo risultati prestigiosi e meritandosi sul campo di allenare tra i professionisti. Negli ultimi anni si è trovato in situazioni non sempre fortunate, ma le ha ogni volta affrontate a testa alta, rimanendo sé stesso e trovando altre strade in cui mettersi a disposizione nel mondo del calcio, diventando istruttore per allenatori e direttore generale dell’Arezzo Femminile. Oggi su TeverePost la sua storia calcistica.
Quando hai iniziato a giocare a calcio?
Abbastanza tardi. Fino a 17 anni ho praticato atletica leggera con buoni risultati, laureandomi campione regionale del Lazio in tre discipline: 80 metri, 2000 metri e salto in lungo. Giocavo anche a calcio con gli amici in un campetto di Roma, vicino casa. Fare atletica leggera mi ha permesso di sviluppare le mie doti fisiche e quella base mi è tornata utile, così come il giocare a pallone al campino, una vera “palestra” per molti in quegli anni. Il richiamo del calcio però prevalse e fui tesserato negli allievi del San Lorenzo, squadra di Roma che faceva solo settore giovanile. Lì giocai per due anni e nella seconda stagione, con la juniores regionale, segnai 25 gol. Un bel bottino che mi valse il passaggio in Interregionale all’Almas Roma, chiamato da mister Dal Monte che mi aveva allenato negli allievi del San Lorenzo.
Come andarono i primi anni nel calcio dei “grandi”?
All’Almas rimasi due anni. Giocavo spesso come attaccante esterno e qualche volta anche come punta vera e propria. Mi misi in luce siglando 5 gol in entrambe le stagioni e nel 1991-1992 passai a L’Aquila sempre in Serie D con Acori in panchina. Anche qui restai due anni e furono davvero positivi. Ci piazzammo due volte al 1° posto. Con la riforma dei campionati la vittoria non valse la promozione diretta, ma solo l’accesso agli spareggi con le vincitrici degli altri gironi ed entrambe le volte perdemmo in finale: nel 1991-1992 contro il Gualdo Tadino, l’anno dopo contro la Torres. Furono due annate importanti anche a livello personale per i gol segnati e perché fui convocato per le Universiadi di Buffalo del 1993.
Ci racconti le emozioni di quella avventura?
Fu un’esperienza meravigliosa. La possibilità di indossare la maglia della nazionale è già di per sé qualcosa di eccezionale, farlo in una manifestazione così prestigiosa e di spessore mondiale lo fu ancora di più. Pensa che il portabandiera dell’Italia in quell’edizione era Yuri Chechi, un campionissimo che non ha certo bisogno di presentazioni. Purtroppo sotto il profilo calcistico i risultati non furono straordinari, anche perché noi, al contrario di altre nazionali, ci presentammo senza calciatori professionisti. Militavamo tutti in Serie D, ma in quella squadra, diretta da mister Berrettini, c’erano comunque elementi di spessore. Segnai con la Nigeria il gol del nostro vantaggio trovando la deviazione giusta sotto porta e fu per me una grande emozione, anche se poi perdemmo 2-1. Loro correvano il doppio ed erano molto forti, come la Russia con cui pareggiammo e come l’Inghilterra che invece ci sconfisse.
Dove continuò la tua carriera calcistica?
Nel 1993-1994 passai al Grosseto in Serie D. La squadra si classificò al 5° posto, io giocai quasi sempre e realizzai 10 reti. L’anno dopo mi chiamò il Rieti che era ultimo. Retrocedemmo in Eccellenza anche se io segnai qualche gol. Fu una stagione difficile, ma io e Mosconi venimmo notati dal direttore Falasconi che ci portò all’Arezzo, contro cui avevamo vinto tra l’altro al Comunale anche grazie a una mia doppietta.
L’Arezzo di Cosmi e di Graziani, il gol decisivo nel derby contro il Sansepolcro e il campionato vinto dopo il duello con il team biturgense che fu condizionato ovviamente dai famosi 14 punti di penalizzazione. Da dove partiamo per raccontare quella stagione così intensa ed emozionante?
Dalla soddisfazione nel vestire la maglia amaranto, dall’emozione nel conoscere Graziani, dall’empatia che si creò con Cosmi, da una squadra formata da calciatori molto forti e dal calore della tifoseria. Un’alchimia perfetta che ci permise di vivere una stagione magica. Il duello con il Sansepolcro fu stimolante ed intenso, perché anche quella bianconera era una compagine formidabile, in un campionato di altissimo livello. Non entro nel merito della sanzione, ma l’errore ci fu e anche se quei 14 punti di penalizzazione indirizzarono la stagione a nostro favore, il successo fu meritato. Con la vittoria del Comunale eravamo tornati al comando, nei 4 scontri diretti disputati in stagione non perdemmo mai e poi forse quella penalizzazione ci fece un po’ rilassare togliendo allo stesso tempo pressioni al Sansepolcro. Festeggiammo la matematica vittoria finale a 3 giornate dalla fine totalizzando 72 punti e perdendo solo 2 volte. Un’annata favolosa!
Ci racconti il tuo gol che decise il derby di andata al Comunale?
Eravamo nella ripresa e Mattoni calciò come al solito un corner a nostro favore. La sfera si impennò dopo il tocco fortuito di Giorgio Lacrimini scavalcando Bocchini che mi stava marcando, io staccai da terra con una grande elevazione arrivando a colpire di testa e indirizzando il pallone in rete. Un gol bello e fondamentale, che ricordo perfettamente, così come ricordo il boato dei tanti tifosi che erano presenti al Comunale. Una rete cercata e quasi “chiamata” se così si può dire, dato che all’intervallo avevo detto al fotografo: “mettiti vicino alla bandierina perché faccio gol”. Così andò, anche se in quello scatto c’è pure Mario Romanelli, che era corso ad abbracciarmi. Fu un momento da pelle d’oca.
Quel gruppo visto da fuori sembrava incarnare lo spirito del suo allenatore.
Serse era il nostro condottiero e aveva la stima di tutti. Ha fatto una bella carriera guadagnando sul campo i traguardi raggiunti e penso che meritasse anche qualcosa di più. Un uomo vero, pulito, corretto e capace di trasmettere il suo calcio. Io mi feci male con il Sansepolcro in Coppa e al rientro, dopo due allenamenti fatti, mi fece giocare dimostrando di avere fiducia in me e dandomi la carica giusta. Per me fu una stagione super con 15 gol in campionato e 5 in coppa. Fu merito anche suo. Ci sapeva fare e ognuno di noi dava il massimo. Il gruppo era forte e riuscì a esprimersi al meglio. Eravamo uniti e ci divertivamo. Ricordo le “zingarate” del sabato al Luna Park e la festa per la vittoria del campionato. Tanti momenti spassosi, ma quando si lavorava lo si faceva con estrema cura. Ho un unico rammarico per la mia avventura in amaranto.
Quale?
Non esser stato confermato a fine stagione. Mi ero meritato sul campo la possibilità di giocare in C2 e mi dispiacque molto non poterlo fare con la maglia amaranto. Qualche anno dopo Graziani mi disse di aver preso la decisione sbagliata e di essersi pentito. Il calcio si sa va così, ma le sue parole mi fecero piacere.
Dall’Arezzo passasti al Sansepolcro, ma le cose non andarono come speravi.
La squadra era forte ed arrivai con grandi motivazioni, ma purtroppo a Firenze contro la Rondinella mi feci male al ginocchio dopo aver saltato il portiere avversario su un passaggio in verticale di Franceschini. Restai in campo qualche minuto stringendo i denti, poi fui costretto uscire e a operarmi. Rientrai dopo 4 mesi, ma non ero a posto. L’anno successivo iniziai bene, ma qualcosa si era rotto e la mia avventura al Sansepolcro si concluse. Nonostante l’interesse del Gubbio a metà stagione fui ceduto in Serie D alla Valenzana di mister Bui e del grande presidente Amodeo. Faticai un po’ ad ambientarmi, anche perché dopo l’infortunio avevo cambiato modo di giocare, poi le cose andarono bene e in quella stagione segnai 18 gol.
Dalla Valenzana alla Sangiovannese. Come fu l’esperienza con gli azzurri?
Mi chiamò il direttore Morandini, dicendomi dell’interesse della Sangiovannese e mi bastò parlare 5 minuti con mister Braglia per capire che quella era la decisione giusta. Tra l’altro trovai un altro grande presidente, Casprini, persona straordinaria. Nella prima stagione vincemmo tutte le 17 gare giocate in casa, realizzando un record incredibile, ma ci piazzammo al 2° posto, a un punto dalla Rondinella. Io siglai 16 gol mi sembra e fui confermato anche l’anno seguente quando in panchina arrivò Acori, un altro allenatore importante nella mia carriera. Vincemmo il campionato e fu un’altra grande gioia, festeggiata con una cena meravigliosa per il Corso con oltre 1000 persone. Società seria, tifosi appassionati, un bell’ambiente. In estate mi arrivarono offerte interessanti a livello economico, ma la voglia di restare in quella squadra e di giocare in C2 prevalse.
Scelta giusta considerando come andò.
Direi proprio di sì, visto che segnai 14 gol, laureandomi capocannoniere a pari merito con Tavano e Myrtaj. Le cose andarono alla grande fin dalla prima partita, vinta 2-1 al Franchi contro la Rondinella grazie ad una mia doppietta che rese inutile la rete di Tavano. In quel match realizzai un gol molto bello, allargandomi e calciando di collo destro dopo un rimbalzo all’incrocio opposto. Al ritorno invece non segnai e così guardai il nome del difensore che mi marcava. Si trattava di Barzagli, già fortissimo anche da giovane. Il gol realizzato contro la Rondinella è tra i più belli nella mia carriera, assieme a quello segnato con la Valenzana nella gara pareggiata contro il Pinerolo: una sforbiciata laterale dal limite con il pallone colpito molto alto da terra che andò al sette opposto.
Gli anni successivi della tua carriera da calciatore?
Andai alla Nocerina in C2, ma il ripescaggio in C1 cambiò le strategie della società. Arrivarono tanti giocatori e così dopo poco fui ceduto all’Acireale in C2 dove trovai mister Mazzarri, poi a fine anno tornai in Serie D al Ravenna con Gadda in panchina e vincemmo il campionato. Per me fu il 5° trionfo, anche se da novembre accusai un problema fisico al tendine d’achille. Ricordo un pareggio contro il Real Montecchio con gol mio e di Essoussi e il rigore decisivo nella penultima giornata contro il Riccione. A fine stagione mi operai. Dovevo restare al Ravenna, ma passai al Foligno in Serie D, società costruita per vincere a cui serviva un giocatore fisicamente pronto, mentre io non lo ero, così a metà anno andai al Carpi, ma dopo poche partite e qualche gol smisi di giocare per problemi all’anca.
I difensori contro cui hai vissuto i duelli più intensi e i compagni più forti con cui hai giocato?
Entrambe le liste sarebbero lunghe. Tra i duelli più belli metto quelli con Bocchini, tra i compagni più forti dico Giorgio Bresciani alla Sangiovannese, Alessio Bifini ad Arezzo e Italo Franceschini al Sansepolcro.
Tante soddisfazioni da calciatore e tante da allenatore. Come è iniziata la tua avventura in panchina?
Con il Subbiano in Eccellenza, giocatore e tecnico all’inizio, ma sulla mia pelle compresi che far coincidere i due ruoli era molto difficile e così mi concentrai solo sulla panchina. Era per me la prima volta sotto la Serie D e dovetti adattarmi a un modo diverso di fare calcio, con allenamenti serali e altri aspetti differenti da ciò a cui ero abituato. Comunque furono tre belle stagioni in continuo crescendo, impreziosite dalla finale con il Viareggio in Coppa, poi dal 3° posto in classifica e dal play off con il Monteriggioni. Ottima anche l’annata alla Castelnuovese con il raggiungimento della finale play off di Eccellenza in cui l’eliminazione arrivò dopo 2 pari con la Pianese. Poi mi chiamò il Sansepolcro in Serie D e il biennio in bianconero fu indimenticabile.
Quali i momenti più belli?
Ce ne furono tanti, a partire dall’approccio con i dirigenti e con un gruppo formato da tanti giovani forti che arrivavano dal settore giovanile, il vero “motore” in quegli anni del Sansepolcro. Trovai una società seria, un ambiente ideale per lavorare e si crearono le condizioni per fa bene. Nel 2008-2009 i 71 punti conquistati ci permisero di chiudere al 2° posto, dietro soltanto alla corazzata Lucchese e poi ai play off dopo aver battuto la Sestese, perdemmo in finale con il Gavorrano. Anche la stagione dopo fu molto buona con la 6° posizione e altri giovani lanciati in prima squadra. Vorrei sottolineare la stretta collaborazione tra la prima squadra e il settore giovanile e l’orgoglio di tutti noi per lo Scudetto conquistato da quel gruppo di giovani sotto la guida di Maurizio Falcinelli. Un risultato che resta nella storia del Sansepolcro.
Poi arrivò la chiamata del Perugia e qui i momenti importanti immagino siano molti.
Fu un’avventura magnifica fino a un mese prima del mio esonero, dopo 2 campionati vinti e pur essendo in linea in C1 con gli obiettivi di inizio stagione. In Serie D vincemmo il campionato con 5 giornate di anticipo e la Coppa Italia Dilettanti battendo in finale la Turris. Arrivammo anche alla finale scudetto con il Cuneo, ma purtroppo perdemmo. Straordinaria anche la stagione seguente in C2. Vittoria del campionato con il record assoluto di 87 punti e trionfo in Supercoppa. Aver guidato il Perugia fino alla C1 rimane un grande orgoglio per me. In estate la società voleva cambiare direzione diciamo, ma i tifosi si opposero e ricordo ancora uno striscione che recitava “Battistini non si tocca”. Iniziammo anche bene con il successo a Bari in Coppa Italia Tim e con 4 successi di fila in campionato, ma alla prima frenata fui esonerato. Il trionfo in C2 mi valse però la Panchina d’argento, riconoscimento conferito dagli allenatori che per Serie A e Serie B quell’anno vinsero Antonio Conte e Zdenek Zeman. Ero in bella compagnia.
A Perugia hai tra l’altro lanciato Politano. È stato il giocatore più forte che hai allenato?
Eravamo andati a vedere la Primavera della Roma, impegnata nelle finali Scudetto e io chiesi alla società di prendere Politano. Dribblava tutti, era immarcabile e direi che l’intuizione fu giusta. Ho comunque allenato altri giocatori forti, in tutte le categorie, da Bigiarini del Subbiano che non c’entrava niente con l’Eccellenza fino a Clemente che a Perugia con me fece tanti gol.
Negli anni seguenti ti sei trovato in situazioni particolari con cui immagino non sia stato facile fare i conti.
Alla Reggiana in C1 fui esonerato a causa di un cambio di società anche se eravamo a metà classifica in un anno in cui non c’erano retrocessioni, al Taranto in Serie D lasciai a malincuore non certo per la mancanza di risultati dato che collezionammo 7 vittorie e 3 pareggi, a Foligno la media punti fu buona ma anche qui pagai il cambio di proprietà, a L’Aquila in Serie D accettai nonostante le problematiche societarie arrivando dopo 7 vittorie e 3 pari alla finale play off persa con il Rieti. Rimasi e l’anno dopo arrivammo al terzo posto, poi a Gavorrano fui esonerato a ottobre e a Matelica addirittura a settembre dopo un 4-0 per noi. Nel calcio succede. A volte le cose vanno e a volte no, ma ogni esperienza arricchisce il bagaglio personale e anche le delusioni aiutano a migliorare. Sono orgoglioso di quanto ho fatto, con i miei pregi e i miei difetti, in campo e in panchina. Ho sempre cercato di crescere e da allenatore mi è sempre piaciuto aggiornarmi o capire ciò che ruota attorno al calcio. Mi sono laureato ad esempio in psicologia portando la tesi sull’organizzazione e le correlazioni con il settore giovanile, studiando i “modelli” Empoli, Feralpisalò, Sansepolcro e ho ottenuto il patentino di allenatore professionista. Adesso sono istruttore del settore tecnico e dopo la chiamata di Massimo Anselmi ricopro il ruolo di direttore generale dell’Arezzo Calcio Femminile che milita in Serie C, campionato di interesse nazionale. Una bella e stimolante avventura. La squadra è formata da calciatrici forti che hanno passione e tanta voglia di giocare, direi anche più dei colleghi maschi.
Hai in programma di tornare a breve ad allenare?
Allenare mi piace moltissimo, ma ora come ora non lo so. Preferisco dare il massimo in ciò che sto portando avanti, poi vedremo cosa riserverà il futuro. Di certo a causa della pandemia tutto è più complicato e spero di cuore che si possa superare presto questa situazione.