di Meri Torelli
La ricetta di origine cilentana, non è altro che la scarola ripiena, o imbottita come dice la parola dialettale. La scarola è un ortaggio invernale che ci viene proposto dal nostro amico e Socio Luca Peruzzi che ringraziamo per la collaborazione.
Ingredienti
Dose per 2 persone
- 2 scarole
- 2 uova
- Una fetta di pane raffermo
- Mezzo bicchiere di latte
- Due cucchiai di olive nere denocciolate
- Una manciata di capperi
- 3 o 4 filetti d’acciuga
- Prezzemolo tritato
- 150 g di formaggio caprino grattugiato
- 1 spicchio d’aglio
- Sale e pepe
- Olio evo
Procedimento
Togliere la parti nere della scarola e immergerla in acqua fredda per togliere tutte le impurità, togliendo solo le foglie appassite.
Asciugare bene appoggiandola su un panno asciutto.
Nel frattempo all’interno di un contenitore sbattere le due uova aggiungendo un pizzico di sale, sbriciolare il pane precedentemente ammollato nel latte, il formaggio (se non si ha il caprino, va bene anche il pecorino o il parmigiano), le olive nere snocciolate, i capperi e i filetti d’acciuga.
Amalgamare bene tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto.
Dividere in due l’impasto e posizionarlo al centro delle scarole.
Chiudere le foglie a carciofo e legarle bene con dello spago per non far uscire il ripieno durante la cottura.
Mettere un po’ di olio nella casseruola e lo spicchio d’aglio.
Mettere la scarola e lasciarla cuocere per una quarantina di minuti col coperchio, avendo cura di girarla ogni tanto.
La scarola ‘mbuttunata può essere servita come contorno o anche come piatto unico.
Ais Delegazione di Arezzo – Gruppo operativo Valtiberina Toscana consigliano
a cura di Antonella Greco
I piatti poveri o “di recupero” sono spesso l’ancora di salvataggio di tanti pranzi o cene soprattutto in tempi di carestia, come stiamo attraversando. Prima una tremenda pandemia ci ha messi in ginocchio per due anni, ed adesso che stavamo provando a rialzarci, è scoppiata una inutile guerra a pochi chilometri di distanza. Il primo pensiero va alle popolazioni sia russe che ucraine, trascinate al sacrificio da burocrati arroganti e ambiziosi. E un pensiero va anche all’economia mondiale fortemente provata. Nn si trovano materie prime, niente olio, farina, beni di prima necessità. La ricetta di oggi, per i fortunati che vivono in campagna, si può realizzare senza andare al supermercato, al più dal pizzicagnolo di paese. Ed essendo una ricetta Campana, andremo ad abbinare un vino altrettanto campano: la Falanghina. Questo vino si produce con uve falanghina coltivate essenzialmente nella zona del Sannio ( Benevento), dei Campi Flegrei e Caserta. E’ un vitigno antico proveniente dai balcani e deve il suo nome al fatto che i pampini venivano legati ai pali denominati “falangi”. Nel corso dei secoli si era quasi del tutto estinto, ma essendo sopravvissuto alla fillossera, è stato rivalutato ed è tornato in auge. Il fatto di nn essere attaccato dalla fillossera, permette di coltivarlo a piede franco, senza innesto della vite americana. Viene vinificato essenzialmente in acciaio per nn perdere il corredo floreale e fruttato. Ne risulta un vino dal colore giallo paglierino con riflessi verdolini e un bouquet a cui si aggiunge una forte mineralità dovuta alla vicinanza del Vesuvio.
“Nunc est bibendum!”
I consigli di Augusto Tocci
Scarola – Non è altro che una varietà di cicoria. Qualcuno la chiama anche indivia o insalata da inverno perchè resiste alla stagione fredda, durante la quale in tavola sostituisce la lattuga.
Scegliamo bene – Ne esistono diverse varietà, fra le quali conviene ricordare quella a cornetto, che prende il nome dalle foglie grandi e larghe, disposte internamente a scala. Poi c’è quella tonda, dai cespi assai grossi serrati, con foglie bianche internamente, dentate costola larga. Quando è bianca è tenera, acquosa, delicata ma pastosa.
Pulizia e conservazione – Come per tutte le verdure da consumare crude la conservazione deve avvenire in ambiente fresco, come un magazzino ben reato o la parte bassa del frigorifero. Per quanto attiene alla pulizia, è quella ordinaria. Stacchiamo dal fusto e sciacquiamo accuratamente le singole foglie sotto l’acqua corrente, dopo averle tenute a lungo in ammollo. In questo modo si eliminano le sostanze organiche e chimiche usate in agricoltura, pericolose per la nostra salute. Non buttiamo le foglie esterne genere più verdi. Come per la cicoria, si possono mangiare cotte.
Le proprietà – Galeno, grande medico dell’antichità, diceva: “Sono amiche del fegato e non sono contrarie allo stomaco”. Le foglie eccitano l’appetito e sono lassative. Un ottimo depurativo, con azione favorevole addirittura sulla milza.