La dottoressa Bagattini racconta l’esperienza con il Covid

Il ricovero insieme alla madre che non ce l'ha fatta: “Assistite in modo estremamente professionale e con grande umanità”

L'ingresso dell'ospedale San Donato di Arezzo

La dottoressa Loana Bagattini, medico di base a Sansepolcro, è in convalescenza dopo che il Covid l’ha costretta a due settimane di ricovero, durante il quale sempre a causa del virus ha perduto la madre. “È molto dura non poter accompagnare nell’ultimo percorso proprio tua madre – ci dice – ma in questo dolore mi consola il fatto che si siano presi cura di lei in terapia intensiva la mia cara amica Candida Olivieri e tutti i suoi colleghi, a partire dal primario dottor Marco Feri, che l’hanno sempre trattata con grande umanità, dignità e affetto. Ho già avuto modo di ringraziare il reparto di malattie infettive del San Donato dove sono stata ricoverata – spiega – ma voglio sottolineare anche il duro lavoro che, senza mai dimenticare l’umanità, viene svolto in terapia intensiva. Oltretutto è proprio grazie a loro che io e mia madre siamo state ricoverate”, spiega la dottoressa Bagattini, che ricorda come sono andate le cose: “Ero a domicilio, positiva al Covid, e sono stata male per quattro o cinque giorni con febbre e tosse abbastanza leggere. Poi la dottoressa Olivieri della terapia intensiva, che mi telefonava per amicizia, si è accorta da un giorno all’altro che parlavo in modo alterato, non riuscivo a completare le parole. A quel punto, siccome qui purtroppo siamo un po’ impotenti, ha chiesto aiuto al suo primario. Il dottor Feri senza conoscermi ha attivato il 118, che è venuto a farmi un esame che si chiama emogasanalisi”. Un esame fondamentale, spiega la dottoressa: “In questa situazione andrebbe fatto molto più spesso, perché permette di fare diagnosi di polmonite molto prima. Purtroppo però le Usca, le unità che seguono a domicilio i pazienti che tutto sommato non stanno tanto male, non hanno i mezzi, non hanno la possibilità di fare questa diagnosi che a me è stata fatta tramite il 118 allertato da un medico”.

Dopo l’emogas madre e figlia sono state messe in ambulanza e ricoverate: “Per lei però è stato troppo tardi e dopo tre giorni è morta in terapia intensiva”, racconta Bagattini. “Io ero sotto il casco respiratorio e mi hanno detto che mia madre era morta, e intanto mi avevano preparato un letto in terapia intensiva perché pensavano a un mio peggioramento repentino”. Invece non è stato necessario: “Sono stata dieci giorni dentro questo casco, dove sei un po’ isolato dal mondo, senti solo il rumore dell’ossigeno e non ti muovi dal letto, poi mi hanno messo l’ossigeno ad alto flusso. In totale sono stata ricoverata 15 giorni che ho trascorso sempre a letto, quindi ho perso la muscolatura, devo ricominciare a fare le scale e recuperare da tutti i punti di vista. Intanto riesco a respirare da sola senza ossigeno”, dice la dottoressa, che tiene a evidenziare il proprio senso di gratitudine: “Sono stata assistita in modo non solo estremamente professionale ma anche molto umano, e questa cosa va detta”, ribadisce a conclusione del racconto di questa drammatica esperienza.

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